www.unimondo.org/Guide/Diritti-umani/Genere/Pallavolo-ed-empowerment-femminile-Alessandra-Campedelli-in-Iran-e-Pakistan-265626
Pallavolo ed empowerment femminile: Alessandra Campedelli in Iran e Pakistan
Genere
Stampa
Quando l’Associazione culturale dell’ARCI “Mosaico” del mio piccolo paese mi ha chiesto di intervistare Alessandra Campedelli, non sapevo che avrei incontrato molto di più di una “semplice” storia di sport.
Chi è Alessandra Campedelli
Alessandra Campedelli è insegnante e allenatrice di pallavolo dal 1998, autrice del libro Io posso – Un’allenatrice di pallavolo in Iran e in Pakistan edito da Baldini + Castoldi (La nave di Teseo).
Lo sport è sempre stato una costante della sua vita. Come allenatrice, ha lavorato con molte squadre, prima a livello locale, poi in club importanti, come Trentino Volley e Verona Volley. Nel 2016 approda nella Nazionale di pallavolo femminile per atlete sorde e ottiene risultati significativi: tre argenti, un oro agli Europei e il premio come Best Coach.
A fine dicembre 2021 parte per l’Iran, dove allenerà la Nazionale femminile di Teheran. Prima della partenza, la Federazione iraniana l’aveva convinta con molte promesse: sembrava volesse avviare cambiamenti significativi e valorizzare la pallavolo femminile. L’obiettivo era rendere la squadra competitiva rispetto alle giganti del campionato asiatico. Ecco perché avevano scelto lei, un’allenatrice occidentale.
«Sono molti i motivi che mi hanno spinta a partire», racconta, quando le chiedo perché abbia fatto una scelta così radicale. «Le promesse che mi erano state fatte rappresentavano una sfida sportiva e culturale difficile ma interessante e io sono una persona che ama le sfide. E poi mi veniva offerta un’occasione che, nonostante tutti gli sforzi e i risultati, in Italia non riuscivo a ottenere.»
Campedelli riflette sulle sfide culturali a cui anche il nostro Paese è sottoposto: «Quando si pensa a un CT in Italia, non si immagina mai una donna, perché persiste l’immagine stereotipata dell’allenatore maschio e autoritario. Capita spesso che siano le stesse atlete a dire di preferire un allenatore uomo, perché si sentono più motivate dall’autorità maschile. Per me questo è un problema. Noi donne non abbiamo bisogno di motivazioni esterne che derivano dall’autorità maschile. La motivazione vera è interna e dobbiamo trovarla dentro di noi.»
Un biglietto per Teheran
Le viene finalmente data l’opportunità di dimostrare le sue competenze a livello internazionale. All’aeroporto di Teheran l’accoglienza è inattesa: «Ad aspettarmi c’erano tantissime donne comuni, speranzose che il mio arrivo rappresentasse il segnale di un cambiamento. Erano venute per esprimermi gratitudine.»
Campedelli trascorre la prima notte in un lussuoso hotel, poi viene trasferita in quella che sarà la sua casa per un anno. Gli atleti risiedono nel villaggio olimpico, ma maschi e femmine vivono e si allenano in campus separati. Gli impianti sportivi sono moderni e attrezzati, ma le contraddizioni non tardano ad emergere. Mentre la squadra maschile alloggia in un hotel a cinquestelle, con uno staff medico composto da un medico sportivo, ben due fisioterapisti e un massoterapista, Campedelli e le ragazze della Nazionale femminile non godono dello stesso trattamento.
Nel campus femminile il controllo è incessante, le ragazze dormono in camerate da dodici, con un piccolo comodino a testa, pochi bagni e poche docce. La stanza di Alessandra è appena di tre metri quadrati e ha le sbarre alle finestre. Le ragazze sono tenute a indossare sempre il velo, l’hijab, e a coprire braccia e gambe.
Gli spostamenti sono monitorati dal personale di servizio: «ogni volta che stavo per uscire, trovavo la governante fuori dalla porta della stanza. Era una signora gentile, ma prima che uscissi controllava che fossi in ordine e mi sistemava bene l’hijab.»
Ci sono voluti tempo e tante battaglie per ottenere cose che per noi sono scontate, come un’auto e le chiavi del campus per poter entrare e uscire senza avvertire nessuno.
Le viene assegnata una traduttrice che, ben presto, capisce essere stata istruita su cosa e come tradurre. Anche le atlete parlano poco e male l’inglese e l’incomunicabilità diventa un ostacolo: «Alle ragazze non viene insegnato l’inglese, perché è uno strumento di apertura verso il mondo, di emancipazione.»
Fortunatamente, Campedelli incontra una giovane allenatrice che parla bene l’inglese e che dimostra grande forza di volontà, voglia di imparare e affidabilità. Dopo molte insistenze, riesce a farla diventare la sua assistente.
La difficoltà di cambiare
Oltre al controllo, deve affrontare le dinamiche interne al suo team di lavoro. Lo staff tecnico sembra essere stato selezionato in base a criteri che hanno più a che fare con rapporti di potere, che con competenze e capacità.
«Tutte loro erano piene di attestati, che certificavano competenze che non possedevano affatto.» Eppure si scontra con l’impossibilità di trasmettere correzioni: «Soprattutto nelle squadre della Nazionale giovanile, ho trovato un muro. Lo staff non voleva che le cose cambiassero, perché ognuna temeva di perdere il piccolo spazio che si era ritagliata. Nessuna di loro voleva mettersi in discussione per la paura di perdere i piccoli privilegi conquistati. Così mi ritrovavo di fronte uno staff che cercava di compiacermi, ma appena mi allontanavo tornava a fare quello che aveva sempre fatto.»
Quando capisce che i suoi tentativi sono vani, chiede una modifica del contratto. Non intende più essere responsabile del settore giovanile.
Ma la resistenza al cambiamento è una sfida anche nella costruzione della squadra. Tra le atlete esiste una rigida gerarchia: «Sono arrivata in una squadra dove le atlete esperte erano abituate a trattare molto male quelle più giovani e a dare loro ordini. Le atlete giovani erano abituate a subire e a obbedire senza ribellarsi.»
La situazione precipita all’indomani della partenza per alcune amichevoli in Bulgaria: «Avevo convocato sia atlete esperte, ma anche una buona parte di atlete giovani, per dare loro la possibilità di misurarsi con una pallavolo di livello internazionale. Questo ha significato non convocare alcune veterane. Il giorno prima della partenza, dall’armadio sotto chiave dell’ufficio sparisce il passaporto di una delle atlete giovani selezionate. Il passaporto non è più stato ritrovato e la ragazza è dovuta rimanere a casa.»
Competizioni internazionali: Islamic Games e Coppa d’Asia
La Nazionale iraniana partecipa agli Islamic Games, le Olimpiadi della Solidarietà Islamica del 2022 a Konya, in Turchia. Un evento sportivo importantissimo. Anche in questo contesto, emergono le differenze fra Iran e gli altri Paesi di fede musulmana. Le atlete iraniane sono obbligate a tenere capo, braccia e gambe coperte, ma Campedelli non intravede lo stesso obbligo per le altre atlete. All’interno del villaggio olimpico, l’Iran è l’unica delegazione con due case separate per uomini e donne.
«Il controllo era costante anche all’estero, tant’è che dovevo lasciare a casa un’atleta per far posto a un’agente della polizia morale, mandata dal governo a controllare che rispettassimo le imposizioni.»
Nonostante l’argento – un podio storico, che l’Iran non vedeva dal 1956 – la Coppa d’Asia non porta i risultati sperati, e iniziano le critiche nei suoi confronti.
“Donna, Vita, Libertà” e la decisione di non rinnovare
È il 16 settembre 2022. Alessandra è in Italia per una vacanza e viene raggiunta dalla notizia della morte di Mahsa Amini, la giovane donna curdo-iraniana arrestata e uccisa dalla polizia morale perché indossava il velo in modo inappropriato. Scoppia la protesta al grido di “Donna, Vita, Libertà”.
Campedelli decide comunque di rientrare in Iran. A novembre, le sue atlete aderiscono alle proteste con un gesto eclatante: tutte quante postano sul loro profilo social una foto che emula il “bacio di Shiraz”.
Il “bacio di Shiraz” è la foto simbolo delle proteste, in cui due giovani si baciano pubblicamente.
Alessandra fa lo stesso in solidarietà con le sue ragazze e tutte le donne iraniane. Ma pochi secondi dopo, riceve una chiamata dalla Federazione: deve cancellare immediatamente il post. Lo fa, ma ormai ha la certezza che il suo telefono sia sotto controllo.
Pochi giorni dopo il presidente iraniano Raisi convoca atleti e atlete degli Islamic Games per un incontro. Una chiara mossa propagandistica. Le atlete non vogliono partecipare, ma non hanno facoltà di scegliere. Nella notte alcune ragazze fuggono, mentre lei e quelle rimaste vengono portate in Parlamento.
Prima di entrare, la Federazione chiede alla più giovane di leggere una lettera preparata: «L’ho vista leggere la lettera e iniziare a piangere. Allora ho deciso di intervenire e ho detto alla Federazione che nessuna delle mie atlete avrebbe letto qualcosa che non avesse scritto di suo pugno.»
Campedelli viene portata via da alcune guardie che non parlano inglese. Le requisiscono orologio e cellulare, perciò comunicare è impossibile. Alla fine interviene una guardia che parla inglese e l’allenatrice viene riportata dalla sua squadra.
Al rientro, Alessandra decide che non rinnoverà il contratto: «Ero andata per aiutare le ragazze e contribuire a un cambiamento. Mi era stata espressa questa volontà, ma erano solo parole. Una strategia di facciata, mentre tutto doveva restare com’era.»
È febbraio 2023 e Alessandra può tornare in Italia.
Destinazione Pakistan
Gennaio 2024. A contattarla era stata la no profit americana Empower Sport Academy, fondata da emigrati pakistani benestanti. Vogliono restituire al proprio Paese di origine un po’ della loro fortuna, puntando sull’empowerment femminile attraverso lo sport.
Alessandra accetta la nuova sfida: costruire una Nazionale di pallavolo femminile, partendo praticamente da zero.
Questione di mancanza
L’inizio è traumatico: «Al mio arrivo all’aeroporto di Islamabad non c’era nessuno ad aspettarmi: si erano dimenticati di me.»
Il campus non è paragonabile nemmeno a quello iraniano: anche qui le viene assegnata una stanza, ancora più piccola e angusta. La palestra è dotata di una struttura pericolante. Campedelli mobilita tutte le conoscenze che ha in Italia per farsi spedire una rete regolamentare e dei pali appropriati.
L’esperienza in Pakistan è segnata dalla mancanza. Mancano risorse materiali, visione strategica e, soprattutto, l’interesse della Federazione per la squadra femminile.
Diversamente dall’Iran, non ci sono disparità con la squadra maschile, ma la Federazione non investe nelle atlete. Il cibo è inadeguato e insufficiente e le ragazze non hanno possibilità di formazione e crescita.
Campedelli adatta gli allenamenti alle esigenze delle atlete, programmando allenamenti notturni durante il Ramadan. Tiene anche lezioni sulla gestione del ciclo mestruale: «Poi però mi sono resa conto che non c’erano gli assorbenti e quindi era difficile alzarsi dal letto. Figuriamoci allenarsi.»
Dentro il campo si ripresenta la dinamica gerarchica tra atlete esperte e atlete giovani. Anche qui, costruire una squadra su queste basi si rivela un compito complesso.
Un’occasione di crescita
Campedelli decide di portare la squadra in Italia per dare un’opportunità di crescita sportiva e non solo alle ragazze. Raccoglie i fondi e si assume tutta la responsabilità, anche penale, della trasferta.
Lo shock culturale è forte: le ragazze faticano ad adattarsi ai ritmi, al cibo e allo stile di vita italiani. Il loro comportamento viene percepito come “maleducato” da chi le ospita, ma per Alessandra (anche in qualità di insegnante) diventa un’occasione di riflessione: «Ho pensato alle difficoltà delle persone che arrivano qui in Italia. Pretendiamo che si adattino al nostro modo di vivere, dando per scontato che a tutti siano stati dati gli strumenti necessari per maturare flessibilità e capacità di adattamento.»
A questo punto, Alessandra capisce che il suo compito è concluso e decide di non rinnovare il contratto.
Ciò che resta
Le esperienze vissute e le lezioni apprese emergono da ogni capitolo del suo libro. Ma quel che resta sono anche le critiche, talvolta sfociate negli insulti, da parte di chi l’ha giudicata senza conoscerla.
Anche queste critiche fanno parte delle dinamiche di oppressione e competizione femminile che lasciano spazio a chi ha sempre deciso al posto delle donne. In Italia, come altrove, sono le dinamiche del patriarcato.
Alessandra Campedelli, anche in opposizione a quelle dinamiche, si è messa in gioco e ha piantato un seme. Piccolo o grande che sia, rimane un seme da cui può germogliare il cambiamento.
Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.