Canada: il petrolio, gli indigeni e le “ragioni dell’economia”

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Avendo incontrato più difficolta del previsto nel costruire l’oleodotto Keystone tra Alberta e Stati Uniti, di cui avevamo parlato in un precedente articolo, il governo canadese sta scommettendo su alcuni piani alternativi: primi su tutti, l’espansione della Trans Mountain Pipeline e della Northern Gateway, due oleodotti che dovrebbero passare attraverso la British Columbia per l’esportazione in Asia di petrolio da sabbie bituminose. Anche in questi casi, come in quello dell’oleodotto internazionale tra Canada e Stati Uniti, il progetto necessita non solo il via libera del governo canadese (che è già arrivato), ma anche l’approvazione dei rappresentanti locali e del governo della British Columbia. E anche questo negoziato sta prendendo una piega piuttosto spinosa per il governo guidato da Stephen Harper.

Da una parte, il governo della provincia della British Columbia ha mostrato un timido supporto dovuto a ragioni economiche più che a opportunità politiche. L’oleodotto che dovrebbe collegare i giacimenti di sabbie bituminose in Alberta con le coste settentrionali del British Columbia creerà infatti posti di lavoro, aumenterà le entrate fiscali, e ridurrà la dipendenza da altri fornitori. Il governo federale attribuisce al progetto una valenza strategica perché darebbe il tanto agognato sbocco sul mare agli immensi giacimenti petroliferi dello Stato interno dell’Alberta, con beneficio per le casse sia federali che degli Stati coinvolti. Dall’altra parte, i sondaggi dicono che l’80% della popolazione dello Stato che dovrebbe ospitare il terminale di carico del Northern Gateway è contraria all’iniziativa. A portare avanti una fiera opposizione al progetto sono stati soprattutto i rappresentanti dei nativi americani e delle First Nations, che mantengono il diritto di controllare la gestione ambientale delle terre tradizionalmente sotto la loro autorità. Secondo il First Nations Land Management Regime le First Nations hanno il diritto stabilito per legge di gestire autonomamente la terra, le risorse e l’ambiente dei territori dove risiedono. La legge offre inoltre alle First Nations il potere di decidere e valutare tutte le nuove opportunità di sviluppo economico.

Dopo mesi di tentennamenti e rinvii, l’ultima settimana di settembre una delegazione di ministri del governo federale ha incontrato i rappresentanti dei nativi della British Columbia per esaminare le condizioni sotto le quali sarebbe possibile realizzare vari progetti di sfruttamento delle risorse energetiche localizzate nei territori dello Stato. Il Ministro per le risorse naturali Joe Oliver ha provato a enfatizzare i grandi benefici economici per la provincia e ha suggerito che la realizzazione dell’oleodotto è “un’opportunità di trasformazione per le First Nations e le loro comunità”. Da parte sua, Art Sterritt, direttore esecutivo delle First Nations della costa pacifica, ha voluto chiarire che lui vede l’incontro in maniera differente: “Questa è la nostra opportunità per far sapere direttamente a un gruppo di ministri che per noi il Northern Gateway è un progetto morto”.

Quale risultato di una fiera resistenza all’oleodotto Keystone XL, il pubblico è diventato più cosciente dei pericoli della produzione delle sabbie bituminose. Già nel 2012 gli ambientalisti e le comunità si erano mobilitati e avevano minacciato iniziative di disobbedienza civile per evitarne la costruzione. La resistenza potrebbe valicare i confini del Canada e complicare ulteriormente la questione dell’oleodotto Keystone XL tra Canada e Stati Uniti. Qui anche i nativi Sioux delle Black Hills e del South Dakota stanno entrando nella partita: gli oleodotti minacciano le loro risorse idriche e, secondo i rappresentanti delle comunità locali, violano i trattati con il Governo Usa.

La battaglia si gioca anche sul piano della comunicazione. Nella settimana dei negoziati, le tribù della British Columbia hanno realizzato un video pubblicitario comparso in televisione e su YouTube. Il video usa le immagini drammatiche della fuoriuscita di greggio dalla Exxon Valdez in Alaska nel 1989 con il sottofondo sonoro di The Sound of Silence di Simon & Garfunkel per denunciare il rischio imposto dall’ipotizzato andirivieni di superpetroliere in una delle regioni più incontaminate del mondo. Il video si chiude chiamando in causa il Primo Ministro Canadese con la domanda: «La gente del British Columbia ha deciso. Stephen Harper la ascolterà?».

Lorenzo Piccoli

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