Sui diritti umani l’Italia resta inadempiente

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Un anno fa, il Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (abbrev. “Consiglio”) presentava all’Italia novantadue raccomandazioni nell’ambito della Revisione Periodica Universale (UPR) in tema di rispetto e promozione dei diritti umani nel nostro Paese. A un anno esatto da quelle raccomandazioni, il Comitato per la Promozione e Protezione dei Diritti Umani (abbrev. “Comitato”) ha presentato il primo rapporto di monitoraggio sulla base delle indicazioni dell'Onu, un documento che non vuole essere unicamente “una denuncia delle carenze e delle inadempienze del nostro Paese in materia di diritti umani”, ma intende “contribuire ad instaurare un dialogo puntuale e costruttivo con le istituzioni e sollecitare e collaborare allo sviluppo di strategie, politiche e azioni di rafforzamento della promozione e protezione dei diritti umani in Italia”.

Il Comitato è stato fondato dalla Fondazione Basso nel 2002 e conta oggi 83 organizzazioni non governative che operano a vario titolo nel campo della difesa e della promozione dei diritti umani. Fra le sue finalità, quella di sostenere il processo legislativo per la creazione in Italia della “Istituzione nazionale indipendente per i diritti umani” – raccomandata già nel 1993 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e nel 1997 dal Consiglio d’Europa – e promuove “attività culturali per la diffusione di informazione su problematiche relative ai diritti umani […] con il fine di attirare l’attenzione del pubblico sulle violazioni che possono esserci nei paesi a democrazia consolidata”.

Il rapporto del Comitato dovrebbe diventare oggetto di riflessione e dibattito, nella politica come nella società civile, non solo perché “costituisce un primo risultato, ancora migliorabile, di un progetto di monitoraggio con cadenza annuale all’interno del ciclo quadriennale della UPR ed è il frutto di un processo di ricerca, discussione, partecipazione e crescita della società civile italiana”, ma anche perché è il frutto di uno sforzo congiunto da parte di organizzazioni diverse che si uniscono per offrire un quadro condiviso, e quindi molto articolato, sulla situazione dei diritti umani in Italia.

Ma come si articola la Revisione Periodica Universale? Essa rappresenta uno dei meccanismi di controllo di nuova generazione che le Nazioni Unite hanno messo in campo negli ultimi anni per operare un’analisi accurata ed estesa sul rispetto dei diritti umani. Istituita nel 2008 nell’ambito di una serie di riforme del sistema delle Nazioni Unite, l’UPR ha l’obiettivo di valutare periodicamente i progressi compiuti in materia di diritti umani. Il metodo di analisi e di raccolta dati prevede un monitoraggio che viene effettuato a prescindere dalla ratifica dei trattati internazionali e che utilizza tre fonti: il Governo, che presenta una sua relazione sulla situazione dei diritti umani; il rapporto che autonomamente le Nazioni Unite fanno sulla situazione del rispetto dei diritti umani nello Stato in questione; il rapporto stilato dal Comitato sulla base dei dati raccolti fra le ONG, le agenzie ONU, le organizzazioni internazionali che sul territorio si occupano di diritti umani. Tutto questo a partire dal principio che i diritti umani e le libertà fondamentali vanno garantiti a tutti, senza distinzione alcuna.

In questo quadro la situazione italiana, a un anno di distanza dalle raccomandazioni, presenta molti punti di fragilità, che richiederebbero in alcuni casi una decisa inversione di rotta. Ne elenco brevemente alcuni.

Primo, la mancata ratifica del protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura, nonostante l’Italia abbia assunto l’impegno al momento della candidatura al Consiglio per il triennio 2007-2010: “Ciò significa che l’Italia non è ancora dotata di un organismo indipendente che possa visitare e ispezionare i luoghi di detenzione, inclusi i centri per migranti e richiedenti asilo. I blandi tentativi di presentare un disegno di legge per l’introduzione dell’autorità risultano in linea di continuità con l’inadempienza, ancor più grave, derivante dall’assenza del reato di tortura all’interno del codice penale italiano. Il rifiuto della raccomandazione numero 8 è stato giustificato dal rappresentante dell’esecutivo italiano con l’esistenza di un complesso di norme che rendono già sanzionata la condotta di violenza fisica e psicologica sulle persone sottoposte a restrizioni della libertà personale. La giurisprudenza recente ha invece dimostrato come fatti di rilevante gravità non sono risultati perseguibili proprio per la mancanza di un’autonoma fattispecie nell’ordinamento interno”. Tutto questo acquista un peso ancora maggiore se si tiene conto che più della metà delle 92 raccomandazioni al nostro Paese riguardano i diritti dei migranti e dei rifugiati, nonché le discriminazioni razziali e i diritti delle minoranze etniche. Non a caso il comitato richiama con preoccupazione all’accentuarsi degli strumenti di repressione nei confronti degli immigrati e alla mancanza di una legislazione organica in ordine al riconoscimento dei diritti dei rifugiati.

Secondo, la mancanza di un’istituzione nazionale per i diritti umani è ancora più grave se si tiene conto che il 19 giugno l’Italia è entrata a far parte del Consiglio. Tale mancanza, ritiene il Comitato, appare incomprensibile se si tiene conto della nostra tradizione costituzionale e dei valori che la sorreggono, delle azioni promosse a livello europeo e internazionale, degli studi universitari e delle organizzazioni che lavorano per la tutela dei diritti umani. A questo livello il problema è più politico che culturale, poiché “i Principi di Parigi richiedono il coinvolgimento nonché la partecipazione attiva della società civile in almeno tre fasi di vita dell'istituzione nazionale per i diritti umani: creazione, composizione, meccanismi e metodi di cooperazione tra la Commissione diritti umani e la società civile”

A un terzo livello si colloca l’educazione ai diritti umani. Il 23 Marzo 2011, il Consiglio ha adottato la Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’educazione e la formazione ai diritti umani, e ne ha raccomandato l’adozione all’Assemblea Generale entro il 2011: “Il testo della Dichiarazione definisce l'educazione e la formazione ai diritti umani come un processo permanente che include non solo l'acquisizione di conoscenze e competenze, ma anche lo sviluppo di atteggiamenti e comportamenti per difendere i diritti umani riconoscendo il ruolo fondamentale che un'efficace educazione ai diritti umani gioca nella prevenzione delle violazioni e nella promozione di pari opportunità per tutti”. Il problema è che, nonostante le dichiarazioni di principio, tale educazione “non è ancora entrata a pieno titolo nell’assetto istituzionale e sociale e manca di sistematicità, essendo rimessa alla discrezionalità dei singoli dirigenti scolastici e docenti, oltre che all’impegno delle associazioni di volontariato”.

Analogamente, il rapporto denuncia la permanenza di situazioni di una forte discriminazione dei diritti delle donne: “Sotto il profilo della proclamazione del principio è evidente che in Italia le Pari Opportunità trovano piena legittimazione a livello istituzionale, ma nell’ambito del mercato del lavoro persistono forti discriminazioni, e, ciò che più preoccupa, non sempre la direzione in cui procede il Governo è quella di una loro concreta attuazione”. Fra l’altro, “la disuguaglianza nell’accesso al mercato del lavoro e la disparità di diritti e salari continuano a colpire le donne, e in particolare donne migranti e donne rom. Ad oggi in Italia la disparità salariale tra uomo e donna viene computata intorno al 17% (1.077 euro per le donne a fronte di 1.377 euro per gli uomini come media nazionale) con punte di distacco tra settori pubblici e privati che portano questi ultimi a differenziali che arrivano sino al 30% circa. Ciò in ragione non di una differenziazione dei regimi contrattuali bensì dell'assenza di politiche di sostegno alla conciliazione e condivisione delle responsabilità genitoriali e familiari che diminuendo i tempi di lavoro per le donne hanno un impatto diretto sulle retribuzioni (produttività, straordinari, progressioni di carriera)”.

L’elenco potrebbe continuare con le osservazioni sui diritti dei minori, sull’affollamento nelle carceri o sulle carenze dell’informazione. Ma ciò che preoccupa è il fatto che spesso non si registra nell’opinione pubblica la percezione di vivere in un Paese che ha davanti un cammino da compiere nella tutela dei diritti umani. E che invece, più umilmente, dovrebbe cominciare a chiedersi quali passi sono obbligatori per garantire a tutti i propri diritti fondamentali.

Alberto Conci

Fonte: Cooperazione tra consumatori

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