Droghe: la comunità diventa carcere, no del Cnca

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A Castelfranco Emilia è stato inaugurato il primo carcere privato per tossicodipendenti. Il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) prende le distanze da un'iniziativa di cui ha appreso notizia solo dai giornali: la proposta governativa di avvio di una nuova sperimentazione nell'area carcere e tossicodipendenze a partire dal prossimo mese di aprile e gestita da un "certo" privato sociale. Per la Federazione, il silenzio su tale iniziativa sarebbe complice verso modalità che non solo non si condividono e nelle quali non ci si lascerà coinvolgere, ma nei riguardi delle quali è urgente una forte azione di contrasto.

Il CNCA, a partire dalle numerose esperienze attive da anni nelle carceri italiani e svolte in collaborazione con gli operatori pubblici sia dell'area sanitaria che della Giustizia, esprime dunque preoccupazione per tale proposta e chiede l'avvio di una riflessione seria sulla questione carcere e tossicodipendenza, a partire dai seguenti punti:

1) Da anni il CNCA, insieme a tutte le realtà che operano negli istituti di pena italiani, pone la questione carcere tra le priorità dell'intervento sociosanitario nel nostro paese. Si registrano punte di una gravità eccezionale: le numerose morti in carcere, le overdose, le varie forme di abbandono o l'assenza di interventi organici e strutturali per la scarsità delle risorse sia professionali sia economiche investite, fino a giungere alla totale assenza di interventi in alcune situazioni specifiche. Le persone tossicodipendenti in carcere risultano superare le 15.000 unità ogni anno; appare, quindi, necessario attivare un piano organico di interventi più che nuove progettazioni "spot" isolate, non ripetibili e di forte profumo elettorale e politico.

2) Le poche informazioni disponibili sull'esperienza di Castelfranco ci descrivono un capovolgimento della filosofia dell'intervento delle comunità in carcere, con l'assunzione di responsabilità contenitive e di supporto alla detenzione da parte degli operatori sociali. Tale trasferimento del percorso delle comunità e del ruolo degli operatori in un percorso per detenuti, pur se tossicodipendenti, comporta una rinuncia ai fondamenti stessi del percorso terapeutico, cioè la libera scelta e la responsabilità della persona nell'avvio e nel prosieguo del programma rieducativo - principi che il CNCA ritiene ineludibili nei propri interventi. In sé, la presenza degli educatori non modifica da sola la valenza puramente contenitiva che il carcere attualmente esplica. Ci preoccupa la proposta di trasformazione dell'educatore in guardia carceraria e del percorso terapeutico in lavoro in carcere. Riteniamo piuttosto che il lavoro sia estremamente utile ed efficace in contesti di affidamento e detenzione alternativa alla struttura carceraria stessa (la comunità o i servizi territoriali).

3) Vogliamo poi con estrema franchezza esprimere anche viva preoccupazione per il ruolo improprio e inaccettabile che alcune organizzazioni del privato sociale hanno deciso di condividere nell'esperienza di Castelfranco Emilia. Riteniamo che si rischi una altissima ambiguità in cui le dimensioni educativa e trattamentale, come talvolta è già successo, si convertano in un'esperienza gravemente coercitiva, in una logica puramente dissuasiva, creando forte ambivalenza tra luoghi della giustizia e messaggi pseudo-trattamentali. I rischi che vediamo nell'iniziativa di Castelfranco Emilia ci paiono amplificati anche dal fatto che tale esperienza viene affidata a realtà del privato sociale di cui non condividiamo i dichiarati metodi di dissuasione e di contenimento, a volte estremi, che si vorrebbero legittimati dal fatto che il fine giustifica i mezzi.

4) Preoccupa anche l'assenza, nella proposta governativa, di una progettualità condivisa con la rete territoriale e lo scavalcamento delle competenze pubbliche territoriali. Riteniamo, invece, che vadano sviluppate progettazioni e percorsi condivisi con tutte le componenti sia pubbliche sia private che con il carcere collaborano: Enti locali, Sert, comunità, associazioni, operatori della Giustizia. Le numerose seppur faticose esperienze all'oggi avviate - a Milano, a Roma, a Firenze - ci insegnano come sia possibile un approccio diverso, tra carcere e territorio, tra pena e cura, tra reato e tossicodipendenza.

Non servono le "pseudo carceri modello"; il carcere non può essere il nuovo scenario dello scontro politico, serve un progetto vero e complessivo con interventi organici e strutturali che prevedano un ricorso ben più significativo e integrato alle misure alternative alla detenzione.

Fonte: Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza

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