Verso un esercito europeo? (2)

Stampa

[L'articolo di Maddalena D'Aquilio conclude quello di ieri]

Finora l’esercito europeo è stato soltanto un abbaglio. Dagli anni novanta in poi si sono ripetuti diversi tentativi (chiaramente falliti). Al programma radiofonico Tutta la città ne parla di Radio3, il generale Vincenzo Camporini li ha elencati: erano gli anni ’90 e, sulla scorta di ciò che era appena successo in Kosovo, si palesò la prima proposta di un esercito comune di 50.000/60.000 unità che sarebbe dovuto intervenire su decisione del Consiglio, quindi una decisione politica. Ma la politica estera e di difesa era (ed è) una prerogativa prettamente statale e l’ipotesi sopra descritta rimase soltanto un’ipotesi. Fecero la stessa fine anche gli European battlegroups, nati nel 2005 e mai utilizzati.  

Comunque sia, dalla presa di Kabul è ritornato in voga il tormentone delle Forze Armate europee sia fra i corridoi europei, che sui media. Il primo a prospettarne l’idea è stato il rappresentante della UE per gli affari esteri e le politiche di sicurezza, Josep Borrell, che in un’intervista al Corriere della Sera ha congetturato l’idea di un gruppo di primo intervento di circa 5.000 soldati. Favorevole ad un’autonomia strategica è anche il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che nel suo blog ha scritto: «La UE e i suoi Stati membri devono avere un peso maggiore nel mondo, per difendere i nostri interessi e i nostri valori e per proteggere i nostri cittadini.»

A lui si è aggiunto il commissario per il mercato interno Thierry Breton, che all’indomani della presa di Kabul, aveva twittato che la tragedia afgana aveva evidenziato la dipendenza europea dalle politiche esterne e di sicurezza di Washington. Secondo Breton si è raggiunto un punto di svolta, in cui la difesa comune europea non è più solo un opzione. Per lui l’unica domanda sarebbe il quando. Non solo. Dopo l’incontro dei ministri della difesa a Brdo, in Slovenia di inizio settembre – ha twittato: «dobbiamo trarre insegnamento dalle lezioni per l’Europa e progredire verso una capacità di azione in autonomia e solidarietà ai nostri confini e fuori.» 

Più che un progetto comune, al momento i 27 sembrano solo uno scoordinato insieme di eserciti. Il ché si tramuta in duplicazioni e repliche nelle dotazioni, eccessi di capacità e acquisizione di barriere difensive. Ne consegue uno spreco enorme e inconfutabile: si calcolano circa 26.4 miliardi all’anno (qui infografica del 2017). L’inefficienza è evidente: nel 2019 un articolo sul sito del Parlamento europeo riportava che in Europa c’erano sei volte più sistemi di difesa che negli Stati Uniti. Ciononostante, a superare la soglia del 2% di PIL per la difesa entro il 2024 – concordata al vertice NATO del 2014 in Galles – non sarebbero molti fra i 27 membri. Da un report NATO si evince che i Paesi europei che nel 2020 erano Grecia, Romania, Estonia, Lettonia, Polonia, Lituania e Francia. 

Invece, guardando il grafico relativo alle spese per l’attrezzatura in quota alle spese per la difesa, la musica cambia. A superare la guideline NATO del 20% ci sono Lussemburgo, Ungheria, Slovacchia, Francia, Lituania, Lettonia, Polonia, Romania, Italia (24,6% nel 2020 contro il poco più del 10% nel 2014), Spagna, Paesi Bassi e Danimarca. 

Alcune prove di cooperazione fra Stati in materia di difesa sono state sperimentate negli ultimi anni. Dal 2017 la PESCO (coordinazione strutturata permanente) prevede 47 progetti collaborativi in vari settori della difesa. Nel 2017 il Fondo Europeo per la Difesa (EDF) aveva intrapreso due progetti precursori: l’Edidp – programma di sviluppo dell’industria europea della difesa – per il valore di 500 milioni e la Padr – azione preparatoria in ambito della difesa – per 90 milioni. Recentemente, il Parlamento europeo ha approvato l’accordo sancito tra Commissione e Consiglio sull’EDF, a cui sono stati stanziati 7,9 miliardi del bilancio 2021-2027. 

Ma i “ma” e i “però” sono tanti e chiaramente irrisolti. Forse per questo alcuni studiosi mostrano scetticismo: ad esempio, Dario Fabbri della rivista di geopolitica Limesin un’intervista ad Huffington Postesprime i suoi dubbi riguardo il fatto che soldati di diversi Stati siano disposti a morire per gli interessi degli altri. Perché in fin dei conti, quando si parla di esercito si parla di guerra e quando si parla di guerra si parla di morte. Senza contare l’opinione pubblica con cui l’Unione dovrebbe fare i conti e la questione dei vertici, perché qualcuno lo dovrà pur comandare questo esercito. 

L’ostacolo maggiore è, ancora una volta, di natura politica: la questione dell’unanimità. Gli stessi 27 hanno interessi e priorità diversi e non è affatto scontato che tutti pensino all’esercito comune come ad una priorità. Motivo per cui è stato riportato che, all’incontro in Slovenia, la Ministra della Difesa tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer, avrebbe proposto l’uso dell’art. 44 del Trattato per superare il blocco dell’unanimità. Il ricorso all’art. 44 permetterebbe al Consiglio di dare il mandato di una missione ad un gruppo di Stati membri che parteciperebbero su base volontaria. Ciò sbloccherebbe l’impasse dell’unanimità, ma richiederebbe anzitutto una votazione (all’unanimità). Nel frattempo, Borrell dovrà preparare lo Strategic Compass (bussola strategica) che verrà presentato il prossimo novembre. Il documento dovrà proporre le future soluzioni strategiche europee.  

Ma per fare un esercito comune ci vuole una politica estera condivisa. Senza cooperazione e unità d’intenti, senza obiettivi chiari e condivisi, senza la volontà di cedere quella parte di sovranità così gelosamente custodita, senza la volontà di mediare e la capacità di mettere in comune strumenti e competenze, insomma, senza la volontà di essere Unione non si va da nessuna parte. Al momento, sul fronte della politica estera sembra che i 27 non abbiano ancora deciso dove vogliono andare, o meglio, non abbiano ancora deciso se sono disposti ad andare insieme. 

Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.

Ultime notizie

La scheggia impazzita di Israele

11 Settembre 2025
Tel Aviv colpisce, implacabile, quando e come gli pare, nella certezza dell’impunità interna e internazionale. (Raffaele Crocco)

Eternit e panini kebab

10 Settembre 2025
Un pellegrinaggio sui campi da rugby italiani, con lo scopo di condividere e raccontare le capacità riabilitative, propedeutiche e inclusive della palla ovale. (Matthias Canapini)

I sommersi!

08 Settembre 2025
Entro il 2100 il livello marino sulle coste italiane potrebbe aumentare di circa un metro. (Alessandro Graziadei)

Stretching Our Limits

06 Settembre 2025
Torna Stretching Our Limits, l’iniziativa di Fondazione Fontana a sostegno delle attività de L’Arche Kenya e del Saint Martin.

Il punto - Il balletto delle "alleanze fragili"

05 Settembre 2025
Nel balletto delle “alleanze fragili”, una partita fondamentale la sta giocando il genocidio a Gaza. (Raffaele Crocco)

Video

Serbia, arriva a Bruxelles la maratona di protesta di studenti per crollo alla stazione di Novi Sad