Un treno per la Cina, dentro la Cina

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PROVINCIA DELLO YUNNAN - Venire in Cina, magari per pochi giorni, e ricercare luoghi d’un tempo ormai perduto, ha deluso le aspettative della gran parte dei viaggiatori che ho incontrato. Nelle grandi città, da Pechino a Shanghai, da Xi’an a Kunming, ho visto molte gambe rigide, passi di occidentali bloccati per timore di non comprendere dove andare, quando la giusta direzione era proprio davanti a loro.

Come tanti anch’io ero a caccia di una Cina “esotica”, rurale e meno moderna – che ho trovato e che presto vi racconterò –. Ho percorso il paese da est a ovest, come l’arte cinese del Feng Shui insegna. Da Shanghai a Kunming (capoluogo della provincia meridionale dello Yunnan) in treno per due giorni. Molte carrozze, dalla prima alla terza e il mio posto nella seconda classe. Nonostante la differente ingegneria, il “tu-tum” di ruote su binari assomigliava a quello delle ferrovie russe incontrate due mesi fa. Da Mosca alla Siberia impossibile comprendere una parola, da Shanghai a Kunming qualche dialogo in più.

Vagone numero 7, cuccette aperte, ognuna con sei rigidi letti. Ogni cinese con la sua dose di spaghetti istantanei, l’acqua bollente sempre disponibile agli estremi di ogni carrozza. Fumo libero e continuo rumore di sottofondo della digestione incontrollata di passeggeri in fuga dalla frenetica vita shanghaiese.

Sdraiata sul piccolo letto ho guardato in alto pensando agli innumerevoli aerei che quotidianamente muovono milioni di persone da una provincia cinese all’altra (solo dalla capitale partono circa 900 voli al giorno e a volte la causa della difficile gestione del traffico aereo è causata proprio dalla poca visibilità per l’elevato inquinamento atmosferico). Di giorno invece ho goduto della visione filmica di verdi risaie intervallate dai tetti blu di unità di lavoro maoiste ormai decadute. Fra una pausa e l’altra, seguendo la direzione opposta alla corsa del treno, sono andata di vagone in vagone per conoscere qualcosa in più attraverso la vita delle persone.

Turisti cinesi giovani e meno giovani, uomini disoccupati delusi per non aver trovato in Shanghai ciò che speravano, molti migranti lavoratori che hanno approfittato della festa di metà autunno (Zhongjiuqie) per riabbracciare la propria famiglia. Una varietà di passeggeri che, nonostante le fermate, è rimasta pressoché invariata dalla stazione di partenza a quella di arrivo.

Le piccole guest house sono la meta preferita di tutti i viaggiatori. Diverse nazionalità, ma tutte accomunate dallo stesso feeling: essere in un paese diverso da quello immaginato. Templi ristrutturati invasi da negozi e souvenir di ogni tipo, resti imperiali spesso spogli dai colori che si sperava di ammirare. Colline che sembrano cantieri, palazzi che prendono il posto di alberi millenari. Meno biciclette e più motori, pubblicità a LED riflesse fra i finestrini della metropolitana e le mura del tunnel sotterraneo. Sputi costanti, bagni in comune nel centro di molte città. Grida, ristoranti di ogni tipo, spreco di acqua e cibo, nessun riciclaggio apparente. Tutto ha contribuito a deludere i sogni dei viaggiatori che ho conosciuto.

Lontano dai centri nevralgici industrializzati però i paesaggi bucolici caratterizzati da tetti all’insù, natura e ruscelli d’acqua cristallina esistono ancora, e ospitano tradizioni, religioni, leggende e templi di ogni tipo. In questi luoghi la vita di ogni persona è impegnata a conservare un’enorme ricchezza, mantenendo minuziosamente un equilibrio fra passato e modernità – le persone guidano bici elettriche per andare al lavoro e abitualmente si fermano per praticare una pausa di Tai Chi Quan –.

Nel frastuono di questo cambiamento usi e costumi millenari persistono, così come l’equilibrio che solo un cinese in queste situazioni sarebbe in grado di mantenere. Infatti una simile orchestra urbana in un paese europeo porterebbe alla follia, sia dei musicisti che del loro pubblico. Questa è la grande differenza fra il nostro pensiero e quello cinese. Il primo “agisce”, il secondo “trasforma”. Noi agiamo secondo uno scopo finale ben preciso e, lungo la via per raggiungerlo, restiamo rigidamente chiusi al tocco dei mutamenti che potrebbero cambiare i piani prefissati. Loro invece ascoltano il cambiamento, se incontrano un nemico che ostacola l’obiettivo ultimo non lo affrontano, ma lo evitano. Si muovono traendo la miglior efficacia dalla situazione circostante: non eliminano le difficoltà, ma cercano di trasformarle semplificandole.

La grande Cina, ancora una volta, è un altrove che ci offre possibilità di crescita e cambiamento. Il mio invito, in questa occasione, è quello di venire in Cina per percepire quello che questo paese sta vivendo, cercare la storia fra le pagine di una buona lettura e, come nel gioco delle differenze, sedersi per osservare in cosa il popolo cinese si distingue dal resto del mondo.

Francesca Bottari

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