Sudafrica: a Soweto anche le messe cominciano al suono delle vuvuzelas

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A Johannesburg anche le messe cominciano al suono delle vuvuzelas. Per chi guarda le partite nel salotto di casa all’altro capo del mondo saranno una persecuzione, ma qui in Sudafrica le trombette di plastica sono parte imprescindibile della festa, negli stadi e non solo.

Ore 9 di domenica mattina, parrocchia di Zondi, nel cuore di Soweto, il sobborgo di Johannesburg dal quale è partita nel ’76 la lotta per abbattere il regime dell’Apartheid, oggi abitato da due milioni di persone. Descrivere la folla riunita nella chiesetta per la messa domenicale è difficile persino quando la si vede dall’interno. Due terzi dell’assemblea indossa la maglietta dei Bafana Bafana, la nazionale sudafricana. Le signore sfoggiano copricapi a tema calcistico, oppure parrucche con i colori del Sudafrica, ogni particolare è festa e voglia di celebrare. E da queste parti la celebrazione, anche quella che uno sguardo estraneo definirebbe “al di sopra delle righe”, è una cosa seria.

Puntuale arriva il suono delle vuvuzelas: all’inizio del rito l’assemblea decide di sottolineare così l’entusiasmo per i Mondiali. Dall’altare i due sacerdoti, un sudafricano e un tedesco, sorridono e partecipano. Ridere non è vietato durante la celebrazione. Cantare, ballare, suonare, esultare hanno loro spazi e tempi. In occasione dei Mondiali, le diocesi sudafricane hanno diffuso nelle parrocchie un libretto di preghiere ad hoc (“A Church on the ball: prayer book”). In prima pagina, in cima a una serie di note rivolte “a pellegrini e fans” della World Cup c’è ancora lei, la vuvuzela: “Una trombetta unica e tipica della traduzione sudafricana” si legge, “che viene soffiata con un entusiasmo che spacca le orecchie durante le partite di calcio, per sostenere la propria squadra o intimorire quella degli avversari”.

A Zondi chi dovesse proporre di “mettere la sordina alle vuvuzela” sarebbe guardato come un abitante di Marte. Bisognerebbe dirlo ad Aldo Grasso, che sul “Corriere della Sera” ha definito le trombette «noiose come uno sciame di zanzare inferocite, moleste come i bongo nelle notti estive». Molesti i bonghi? Uno sguardo interrogativo correrebbe sui visi spaesati degli abitanti di Zondi, che vivono a poca distanza da Vilakazi Street, la strada in cui hanno abitato Nelson Mandela e Desmond Tutu, meta di pellegrinaggi e tour culturali.

Poco lontano l’Hector Pieterson Memorial ricorda il massacro di ventitré studenti neri da parte della polizia avvenuto il 16 giugno del 1976. Il movimento che avrebbe infiammato le township, portando all’ingovernabilità del Paese e costringendo il regime fondato sull’apartheid a venire a patti, partì da tredicenni e quattordicenni della Orlando West Junior School di Soweto, che decisero di marciare contro a una circolare emanata dal segretario all’educazione che imponeva anche ai neri come lingua di apprendimento l’afrikaans.

Di fronte al memoriale, i turisti venuti in Sudafrica per le partite dei Mondiali si fermano a leggere la targa che ricorda Hector Pieterson, 13 anni, il primo studente ucciso dalla polizia (nei giorni seguenti morirono circa duecento giovani) e diventato il simbolo della ribellione. A 16 anni dalla fine dell’apartheid, a Soweto l’orgoglio per la nascita della “Nazione arcobaleno” è ancora forte. E ogni occasione per riportarlo in vita è bene accolta, anche se si tratta “solo” dei Mondiali di calcio. Zittire le vuvuzelas è impossibile. Fiato alle vuvuzelas!

Emanuela Citterio (inviata di Unimondo in Sudafrica)

P.S.: Apprendo ora che anche il Nobel per la pace, l'arcivescovo emeritoDesmond Tutu ha rivolto una parola a tutti quelli che hanno protestato contro le vuvuzelas: “Buuuuh!”

 

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