Pakistan, la sofferenza delle minoranze religiose

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Il nord del Pakistan non è soltanto la regione dove si nascondeva indisturbato Osama Bin Laden e le zone tribali al confine con l’Afghanistan non sono soltanto una terra di nessuno dove imperversano i gruppi fondamentalisti, ma racchiudono in sé tesori storici e culturali quasi sconosciuti ma della massima importanza per chi vuole davvero capire la complessità del mondo islamico e la situazione reale di quella parte dell’Asia.

Tra Pakistan e Afghanistan, alle pendici dell’imponente catena montuosa dell’Hindukush, in valli riposte e incontaminate, si incontra ancora oggi un popolo dai capelli biondi e dagli occhi chiarissimi che la leggenda e forse la storia narrano essere discendenti dei greci di Alessandro Magno oppure, risalendo nella dimensione del mito, addirittura progenie del dio Pan o di Dioniso a cui alcune pratiche cultuali e folkloriche sono chiaramente attribuibili.

Stiamo parlando del popolo dei kalash, antichissimi abitanti dell’ex Kafiristan (che significa “terra degli infedeli”) che oggi si chiama Nuristan, cioè “terra della luce”. I kalash sono di etnia indo-ariana, parlano una lingua, il kalashwar, derivante dal sanscrito, conservano tradizioni del Turkestan orientale, oggi cinese, e soprattutto professano una religione tutta particolare, sciamanica e politeista, che permette comportamenti morali aperti e disinibiti in totale contrasto con la mentalità islamica storicamente conservatrice e che, negli ultimi anni, ha assunto in quelle regioni i caratteri fanatici e intolleranti dell’integralismo.

Ma da sempre i kalash sono simbolo vivente del diverso e, per questo, vanno normalizzati o eliminati. Non si contano nei secoli i tentativi di conquistare definitivamente la “terra degli infedeli” e di sterminarne gli abitanti rei di rappresentare una realtà esterna alla “vera fede islamica”. Molti cercarono di risalire le valli dei kalash: intorno all’anno 1000, l’esercito turco dei Ghaznavidi, sotto la guida di Mahmud, il sultano conquistatore dell’India, tentò vanamente la conquista; stessa sorte toccò a Tamerlano, il celebre discendente di Gengis Khan, quattro secoli dopo; e infine nel 1896, l’emiro Kabul Abdur Rahman, con l’avallo del governo di Sua Maestà britannica, perpetrò una vera strage, penetrando nelle montagne dell’attuale Pakistan nord-occidentale, dove i kalash avevano cercato di rifugiarsi. La loro terra fu rinominata Nuristan, per celebrare l’arrivo della luce della verità islamica.

L’aura misteriosa di questo popolo non cessò di interessare scrittori, scienziati e personaggi stravaganti in cerca della verità e, negli anni ’70 del secolo scorso, una parte della generazione hippy stufa dell’abituale viaggio in India. I kalash continuano a rappresentare un unicum che però deve essere compreso nella sua realtà effettiva senza cadere nella descrizione fantasiosa del mito. Questi piccoli gruppi (si parla di 5-10 mila persone), confinati in ristrette enclave, non rappresentano soltanto un interessante argomento di ricerche etnografiche ma con la loro stessa presenza testimoniano la pluralità di quel contesto culturale. Oggi sappiamo quanto la questione delle minoranze religiose sia la chiave per il futuro del mondo islamico e non solo: giungere a una tutela effettiva (non solo vagamente garantita a livello normativo ma disattesa nei fatti e avulsa dalla sensibilità comune delle persone) significa superare lo scoglio fondamentale per una possibile via democratica basata sul rispetto almeno dei più elementari diritti umani, quello della sopravvivenza della propria cultura.

Oggi il Pakistan rappresenta un luogo simbolo in cui si fronteggiano due scenari contrapposti: il continuo e sanguinoso scontro tra culture diverse (con le minoranze destinate a soccombere o a difendersi con la forza) oppure la convivenza e il rispetto anche degli esigui gruppi portatori di una propria identità peculiare. Nel paese ci sono varie minoranze religiose: l’1,6% circa di cristiani e induisti, circa 20.000 sikh e gruppi di parsi, buddhisti, ebrei e appunto kalash.

Nell’ultimo periodo l’attenzione dei mezzi di comunicazione internazionali si è concentrata sulla legge sulla blasfemia (con la condanna a morte, per ora non eseguita, di Asia Bibi) e sulle violenze contro i cristiani. L’uccisione del governatore del Punjab prima e poi del ministro cristiano per le minoranze religiose testimoniano una situazione insostenibile che trova le sue radici non tanto in un atavico odio religioso tra cristiani e musulmani ma nella mancanza di istruzione, nell’analfabetismo diffuso, nell’arretratezza della cultura tradizionale. Insomma in problemi di educazione, presenti soprattutto nelle aree rurali. Ancora una volta ciò che manca è il rispetto dell’alterità, sia essa religiosa o etnica: la paura del diverso, sia esso un cristiano o un kalash in Pakistan oppure un rom in Europa, genera soltanto mostri.

Piergiorgio Cattani

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