www.unimondo.org/Guide/Diritti-umani/Popoli-minacciati
"Dovremmo finalmente vedere nella difesa dei popoli indigeni non un atto di compassione ma un atto di autoconservazione, perché tutto ciò che ci è stato tolto dall'era industriale fra loro sopravvive almeno a livello di tracce. Se vogliamo definirci uomini avremo bisogno dell'aiuto di coloro che nella nostra sciocca arroganza chiamiamo sottosviluppati".(Robert Jungk - giornalista, attivista, ambientalista)
Introduzione
Le colonizzazioni hanno portato, per le popolazioni originarie, distruzione, stermini, genocidi. Per alcuni s’è trattato di veri e propri etnocidi visto che numerose etnie, dopo i contatti con il mondo civilizzato, non esistono più. Per altri invece la minaccia da allora non s’è fermata e, oggi, si presenta sotto molteplici forme. Ma non sono solo i diritti dei popoli indigeni ad essere minacciati, anche se sicuramente loro sono tra i più deboli. Unica nota positiva la maggiore visibilità che negli ultimi decenni hanno avuto le loro cause, la sensibilizzazione e le organizzazioni per la loro difesa e soprattutto l’autodeterminazione. Questioni molto controverse e che risultano complesse e necessitano di decisioni forti e coerenti con la Dichiarazione per i Diritti dell'Uomo.
Le minacce più frequenti e l'importanza delle popolazioni nella difesa del territorio
Spesso l'associazione tra popoli indigeni e popoli minacciati è quasi automatica, in realtà non tutti i popoli minacciati fanno anche parte della prima categoria, anche se quasi tutte le popolazioni indigene sono spesso minacciate e le loro cause s’ intrecciano sempre. Le minacce si riferiscono alla loro stessa esistenza e arrivano da più fronti.
Una che mise l'opinione pubblica internazionale davanti a una delle più pericolose minacce era quella proveniente dal cosiddetto colonialismo nucleare. Le imponenti manifestazioni antinucleari del 1995, nate in seguito alla decisione francese di realizzare nuovi esperimenti nel Sud Pacifico, diedero l'occasione per denunciare il fatto che la maggioranza degli esperimenti nucleari sia stata fatta in territori abitati da popoli indigeni.
Territori desertici, come in Australia e negli Stati Uniti, regioni abitate da popoli che non hanno accesso a fonti d'informazione e che, quindi, sono generalmente ignorati. Da non dimenticare che la maggior parte dei territori in questione sono colonie di fatto - come le Hawai o il deserto siberiano - o di diritto - come la Polinesia francese o il Tibet. Terre e popoli contro i quali, nel nome del progresso e dello sviluppo, viene portata avanti un'aggressione silenziosa e devastante. In molte culture indigene le sorgenti, i fiumi, i luoghi di sepoltura e le montagne rivestono un ruolo centrale.
Questo stretto legame fra terra e religione spiega perché la devastazione ambientale o la migrazione forzata possono mettere in serio pericolo l'esistenza di queste popolazioni e causare la disgregazione delle società autoctone. Nonostante il pericolo che corrono la questione indigena e ancor più quella dei popoli minacciati occupa pochissimo spazio nello scenario internazionale.
E' solo del 10 dicembre 1994, l'inaugurazione del Decennio Internazionale dei Popoli Indigeni da parte delle Nazioni Unite, rinnovato poi a scadenza fino al 2014. L'iniziativa promossa dall'ONU ha l'obiettivo di dare visibilità e contribuire a risolvere almeno i più urgenti problemi dei circa 300 milioni di indigeni.
Nonostante la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del 1948 sono ancora molti i popoli che vivono in colonie o in territori permanentemente occupati. Sei paesi membri dell'Unione Europea (Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Olanda, Portogallo e Spagna) conservano ancora una trentina di colonie nei Sud del mondo anche se spesso dietro una terminologia ambigua come territori d'oltre mare o simili.
Ma anche numerosi paesi extraeuropei, spesso ex-colonie europee, hanno tradito lo spirito anticolonialista del non-allineamento. Nella gran parte dei casi i popoli indigeni non aspirano ad un proprio stato, almeno che non ne avessero già uno in precedenza. Il loro obiettivo è quasi sempre l'autonomia, con particolare attenzione per i diritti territoriali.
I popoli autoctoni nel contesto internazionale
A partire dagli anni Cinquanta vari popoli indigeni iniziano ad organizzarsi a livello locale. Tra questi, gli Indiani del Nordamerica con il Congresso Nazionale degli Indiani d'America - NCAI - ed i Sami con l'Associazione dei Sami Svedesi (SSR). Negli anni settanta, invece, si formano le prime organizzazioni a livello regionale ed internazionale.
Nel 1973 si tiene a Copenaghen la prima conferenza dei Popoli Artici, che riunisce Inuit, Sami ed Indiani d'America. L'anno successivo viene fondato il Consiglio Internazionale dei Trattati Indiani - IITC - attraverso il quale le lotte dei nativi nordamericani ottengono dignità giuridica e rilievo internazionale.
Nel 1975 nasce a Port Albern in Canada, il Consiglio Mondiale dei Popoli Indigeni, per la prima volta Maori ed Eschimesi, Indiani e Aborigeni australiani cercano di definire una politica comune. La creazione del nuovo organismo segna una tappa fondamentale, e negli anni successivi si aggiungono altri popoli, come gli Ainu del Giappone e gli indios sudamericani.
Nel 1977 anche l'ONU organizza a Ginevra una conferenza internazionale sulla discriminazione dei popoli amerindiani. Nello stesso periodo nasce in Alaska la Conferenza Circumpolare Inuit, che promuove le istanze eschimesi a livello internazionale. I popoli del Pacifico meridionale si uniscono per opporsi al colonialismo nucleare e nel 1980 vede la luce il Movimento per un Pacifico Denuclearizzato ed Indipendente.
Pochi anni più tardi nasce in Australia il Servizio Legale Aborigeno, che intende portare avanti le rivendicazioni indigene. Il Gruppo di Lavoro dell'ONU sui Popoli Indigeni UNWGIP nel 1982, conferma il crescente interesse delle Nazioni Unite per la questione indigena. La riunione del nuovo organismo, che inizia a tenersi regolarmente ogni estate a Ginevra, diventa un forum internazionale al quale partecipano rappresentanti indigeni, attivisti ed esponenti governativi.
Nel corso degli anni ottanta il Gruppo di Lavoro ha iniziato a lavorare alla Carta dei Diritti Indigeni che ha poi portato alla Dichiarazione dei Diritti dei Popoli Indigeni del 2007 (in.pdf). Un precedente è rappresentato dalla Convenzione 107 dell'ILO sulle popolazioni indigene e tribali del 1957 per poi arrivare alla Convenzione ILO 169 (in.pdf) del 1989, relativa ai popoli indigeni e tribali nei paesi indipendenti.
Questa, finora recepita solo da pochi stati - tra i quali non si annovera l'Italia - costituisce oggi l'unica norma di diritto internazionale che riconosca i diritti dei popoli indigeni nei confronti degli stati in cui vivono. Nel 2009 Obama ha promesso ai capi di 562 tribù indiane un incontro annuale al fine di non dimenticare i nativi.
Organizzazione delle Nazioni e dei Popoli non riconosciuti - UNPO e la dichiarazione di Mataatua
Nel 1991 nasce all'Aia l'Organizzazione delle Nazioni e dei Popoli Non Riconosciuti UNPO. Si tratta del primo organismo che riunisce i popoli minacciati senza limiti geografici - dai Mapuche ai Timoresi, dai Kurdi agli Ungheresi della Transilvania. Esistevano già diversi organismi analoghi, ma le minoranze europee ed i popoli indigeni rimanevano comunque ben distinti e rappresentati da organismi quasi impermeabili fra loro. L'UNPO non accetta movimenti terroristici o che comunque facciano uso della violenza. Il suo scopo principale è quello di fornire alle minoranze un valido supporto giuridico per l'affermazione dei loro diritti.
Sempre all'inizio degli anni novanta si intensificano le iniziative che cercano di dare spazio ad un aspetto molto particolare della questione indigena: quello che riguarda il continente africano. In particolare la conferenza di Dar es Salam in Tanzania nel 1992 e quella di Copenaghen nel 1993, quest'ultima organizzata dal IWGIA.
Temi importantissimi per la questione dei popoli minacciati, quali la biodiversità, le nuove tecnologie, la gestione ambientale, le arti, la cultura e la difesa delle lingue vengono affrontati nella conferenza che si tenne a Whakatana in Nuova Zelanda nell'agosto 1993. Promossa dalle nove tribù maori di Mataatua, riunì oltre 150 delegati indigeni provenienti dal Giappone, dalle Americhe, dall'India e da varie parti del Pacifico.
La conferenza terminò con il documento finale, noto come Dichiarazione di Mataatua, che rappresenta un importante salto di qualità nella difesa dei diritti indigeni a livello internazionale. Tra i punti importanti quello di sviluppare un codice etico relativo all'uso di materiale indigeno (scritto, registrato o videoregistrato), istituire centri di educazione, di ricerca e di formazione professionale, tornare in possesso di alcune terre per potervi praticare la produzione agricola secondo le nozioni tradizionali, esaminare la legislazione relativa alla protezione dei beni archeologici, vita ad un organismo dotato di meccanismi per sostenere i popoli indigeni nella difesa del loro patrimonio culturale, per controllare ogni nuova legge che riguardi i diritti di proprietà culturale ed intellettuale dei popoli indigeni.
Si discusse anche del progetto Genoma che secondo i conferenzieri deve essere interrotto, e le sue implicazioni morali, fisiche, politiche ed economiche devono essere discusse ed approvate dai popoli indigeni. La ricerca genetica in corso infatti rappresenta un grave pericolo per l'integrità fisica e culturale dei popoli indigeni.
Dal Chiapas a Seattle per la dignità e contro il monopolio delle multinazionali sulla vita dei popoli minacciati.
L’evento che ha messo l'opinione pubblica davanti al problema dei popoli minacciati è quello che avviene ai confini del Messico, quando il 1° gennaio 1994 a San Cristobal de las Casas iniziava la rivoluzione portata avanti dall' Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Gli indigeni del Chiapas, messi ai margini della società messicana scendono in piazza armati e con un cappuccio in testa (per essere visibili darà poi il subcomandante Marcos) per chiedere dignità e diritti. L'evento scatenante è l'entrata in vigore del Nafta o Alca, il trattato di libero commercio tra i tre stati nord-americani. La rivoluzione richiama l'attenzione mondiale, dando una nuova sferzata di visibilità alle cause dei popoli minacciati, ma mettendo anche le basi a quello che poi verrà chiamato movimento no-global.
L'anello di congiunzione è Seattle, nel 1999 in occasione del vertice della WTO oltre alle più note manifestazioni, viene stilata una dichiarazione con richieste concrete: “Noi, popoli indigeni provenienti da diverse parti del mondo, siamo giunti a Seattle per dar voce alla nostra grande preoccupazione sul modo in cui l'Organizzazione Mondiale del Commercio stanno distruggendo la Madre Terra, di cui facciamo parte, e la sua pluralità culturale e biologica”.
Si denunciano la liberalizzazione del commercio e lo sviluppo orientato all'esportazione, cioè i principi ed i processi dominanti che la WTO attivamente sostiene, che hanno un effetto devastante sulla vita dei popoli autoctoni. Si rivendica il diritto originario all'autodeterminazione, alla sovranità in quanto nazioni, ed i trattati e gli altri accordi tra nazioni e popoli indigeni ed altri Stati nazionali, calpestati da gran parte delle convenzioni della WTO. Le conseguenze negative di queste convenzioni sulle comunità, come le devastazioni ambientali, la militarizzazione e la violenza che di sovente accompagnano i progetti di sviluppo, sono gravi e richiedono immediata attenzione. Il furto e la brevettabilità delle risorse biogenetiche,ovvero piante scoperte, coltivate ed usate dai popoli indigeni come cibo, come medicinali e per riti sacri, sono già state brevettate negli Stati Uniti, in Europa ed in Giappone.
La Convenzione sui diritti di proprietà intellettuale (TRIPs) permette di brevettare esseri viventi e distingue - con un artificio - piante, animali e microrganismi. L'Accordo generale sui servizi (General Agreement of Services/GATS) promuove la liberalizzazione degli investimenti e la prestazione di servizi, rafforzando il dominio ed il monopolio delle imprese straniere in importanti settori dell'economia.
La Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale stabiliscono le precondizioni per la liberalizzazione, la deregolamentazione, e la privatizzazione nei Paesi imprigionati nella trappola del debito. Queste condizioni sono state ulteriormente appesantite dalla WTO. I popoli indigeni a Seattle chiedono di partecipare su un piano di parità, in modo che siano considerati i punti di vista spirituali e culturali. Quello che per noi rappresenta progresso per i popoli indigeni spesso significa faraonici progetti idro-elettrici che arginano interi corsi d'acqua, grazie ai quali molti territori indigeni atti alla caccia, alla pesca ed alla coltivazione vengono sommersi; monocolture che sfruttano vaste parti di terre indigene per farci crescere frutta da esportazione, come banane ed ananas, che sarà poi vendute nei paesi industrializzati.
In questo modo la terra dei popoli autoctoni viene continuamente ridotta, la popolazione si accalca in spazi sempre più piccoli, e la miseria che ne deriva viene poi imputata alla sovrappopolazione. Il ruolo da protagonisti in questo processo viene giocato dalle compagnie multinazionali spesso strettamente legate ai governi dei paesi dei Sud del mondo.
Diritti collettivi e popoli minacciati
Una delle più importanti denunce che fanno i popoli minacciati è quella di non essere riconosciuti come popoli, e questo porta ai più spaventosi crimini ed alle peggiori violazioni dei diritti umani. Torture, assassinii, arresti arbitrari, carestie programmate, spoliazione delle terre. Per le culture indigene il concetto di diritto individuale esiste solo all'interno della collettività. E' dagli obiettivi comuni, dalle relazioni interpersonali e da quelle con la Madre Terra che derivano i diritti e le responsabilità dei singoli.
Negare il riconoscimento dei diritti collettivi significa negare al singolo i vantaggi della loro identità collettiva. Tutti i popoli hanno diritto all'autodeterminazione e gli stati che si oppongono all'esercizio di questo diritto cercano di evitare l'applicazione del diritto internazionale ai popoli indigeni per evitare le evidenti implicazioni che derivano dai criteri internazionalmente accettati.
Secondo Ted Moses - attivista indigeno e politico - per non cadere nell'ambito di applicazione del diritto internazionale, hanno escogitato un sistema molto semplice: hanno deciso che i diritti di popoli non esistono se evitano di considerarli tali. Vengono definiti popolazioni, comunità, gruppi, società, persone, minoranze etniche; poeople (gente), al singolare. In pratica, qualunque termine andrà bene per definirli, purché non sia peoples (popoli). Si riduce così un concetto plurale ad un anonimo termine singolare per evitare di dover riconoscere il diritto all'autodeterminazione “ci daranno tutti i nomi possibili ma mai l'unico vero - peoples (popoli)”.
Le organizzazioni che danno voce e difendono i popoli minacciati
Oltre all'auto-organizzazione esistono delle associazioni esterne che appoggiano le cuase dei popoli minacciti, tra queste l'Associazione per i Popoli Minacciati (Gesellschaft für bedrohte Völker, GfbV) fondata ad Amburgo nel 1970, nata con l'obiettivo di sviluppare un'attività in difesa delle minoranze - etniche, linguistiche e religiose - senza limiti geografici né ideologici. Oggi la GfbV è una delle più importanti organizzazioni per la difesa dei diritti umani/diritti dei popoli, con sedi in sei paesi europei (Austria, Bosnia, Germania, Italia, Lussemburgo e Svizzera) e status consultivo presso le Nazioni Unite.
Survival invece è un' organizzazione mondiale che sostiene i popoli tribali di ogni continente attraverso campagne di mobilitazione dell’opinione pubblica. È stata fondata nel 1969, in seguito alla pubblicazione di un articolo di Norman Lewis sul Sunday Times inglese in cui venivano denunciati i massacri, il furto di terre e il genocidio in corso nell’Amazzonia brasiliana. Lavora a stretto contatto con le organizzazioni indigene locali, con particolare attenzione verso i popoli tribali che rischiano maggiormente e che, di solito, sono quelli venuti a contatto più di recente con il mondo esterno.
Survival è stata la prima organizzazione a richiamare l’attenzione sugli effetti distruttivi dei progetti della Banca Mondiale, ora largamente riconosciuti come un’importante causa di sofferenza in molti paesi poveri. L’obiettivo principale delle sue campagne è quello di mettere i popoli tribali nelle condizioni di decidere autonomamente del loro futuro e dell’utilizzo delle loro risorse. Survival è l’unica grande organizzazione per i popoli tribali a rifiutare fondi dai governi nazionali e a dipendere dai cittadini per il suo finanziamento.
Popoli non contattati
Secondo gli ultimi dati raccolti, sono almeno duecento le popolazioni indigene in isolamento volontario di cui si ha qualche traccia o indizio di esistenza ai bordi della foresta amazzonica, sono le ultime non contattate di tutto il continente americano.
La definizione di isolamento volontario è un compromesso linguistico che serve a identificare tutte quelle popolazioni che non hanno avuto un contatto documentato e risalente a qualche generazione fa, con la nostra storia. Sono sopravvissute allo sterminio virale, che a causa dell'arrivo degli europei nel nuovo continente, ha preceduto e facilitato l'opera dei conquistadores iberici, infettando mortalmente circa 60 milioni di persone, secondo gli ultimi studi, in solo cento anni. Hanno dovuto ricercare sempre nuove rotte migratorie nella foresta, per evitare le nuove strade, gli oleodotti, le piattaforme estrattive, gli incendi speculativi per creare nuovi pascoli, gli abbattimenti forestali, luci, rumori, presenze costanti e nuove che premono ai bordi del loro mondo. Sono circondati, costretti ad avere incontri, e scontri, con altre popolazioni che, come loro, stanno fuggendo verso il centro del loro pianeta che si restringe sempre più.
Darcy Ribeiro, famoso antropologo brasiliano che ha convissuto con molti gruppi indigeni in contatto iniziale, definiva la storia del contatto come “un vero sterminio, senza che abbia portato loro nessun elemento positivo”. Tra i pericoli che incombono sul mondo dei popoli in isolamento volontario, lo sfruttamento di risorse naturali è quello più ricorrente, per ampiezza d'impatto, investimenti e organizzazione anche quando non è legale.
Ma oltre il contatto con trafficanti di legna esotica e ingegneri petroliferi impegnati in campagne di trivellazione ed esplosioni sotterranee alla ricerca dell'oro nero, tutti rigorosamente sotto scorta armata, il cosiddetto “turismo informale” è tra tutti i contatti il più insidioso. Ci sono però anche i ricercatori e cacciatori di biodiversità, che nella speranza di trovare nuove formule da brevettare osano approcci con le popolazioni non contattate per carpirne i segreti e gli usi tradizionali.
I portavoce degli “invisibili”
“La situazione critica di estrema vulnerabilità dei popoli indigeni in isolamento e contatto iniziale, nell'esercizio dei loro diritti umani e fondamentalmente del loro diritto alla vita, richiede un urgente adozione di azioni politiche che diano risposte efficaci alle necessità di protezione”. Così si appellano i partecipanti all'ultimo convegno sul tema, tenutosi a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia nel novembre 2006. Sono decine di rappresentanti di movimenti indigeni istituzionalizzati che hanno deciso di diventare portavoce ufficiali degli “invisibili”.
E finalmente il 13 aprile si è costituito il Comitato Indigeno Internazionale per la Protezione dei Popoli Indigeni in Isolamento Volontario e in Contatto Iniziale (CIPIACI), formato da organizzazioni indigene di sette nazioni del Sudamerica. La fondazione di questo gruppo di lavoro sul tema ha l'obiettivo di rendere visibili le istanze dei popoli senza voce; gli interventi urgenti a carattere politico dovranno essere in appoggio “alla prosecuzione del lavoro intrapreso soprattutto da organizzazioni indigene in questo ambito che hanno stabilito spazi di visibilità nazionale e internazionale nel corso di diversi anni di lavoro”. Infatti, la comunanza di sensibilità e la conoscenza del territorio fanno delle organizzazioni indigene locali i referenti naturali e ideali per le politiche di difesa e promozione della causa.
Conclusioni
Nonostante vengono ripetutamente violati i loro diritti umani, civili, politici, pur avendo già perso molto in termini culturali ed ambientali, i popoli minacciati si sono oggi raccolti in movimenti locali ed internazionali per portare avanti una lotta in sintonia coi tempi, in costante contatto con l'ONU e gli altri organismi sovranazionali.
Grazie a questa presa di coscienza e alla sensibilizzazione sulla causa ma anche grazie alla promozione della conoscenza dei popoli tribali e del loro mondo, si mettono in luce l’importanza del loro stile di vita per il futuro del pianeta e la necessità di considerare la diversità un’opportunità e non un ostacolo. Dal 1969, l’atteggiamento del mondo occidentale nei confronti delle popolazioni tribali è mutato; prima di allora, la scomparsa o l’assimilazione dei tribali veniva data per scontata mentre oggi, almeno in alcune regioni, si comincia a riconoscere l’importanza della loro esperienza e dei loro valori oltre che i loro diritti inalienabili alla vita e alla terra.
Ci sono ancora parecchi ostacoli da superare, come razzismo, dittatura, avidità. Come riassume Vincent Brackelaire, sociologo e antropologo, che ha stilato il documento riassuntivo del primo incontro internazionale sui popoli in isolamento volontario, svoltosi a Belem do Parà, in Brasile, nel novembre del 2005: “Dopo cinque secoli di contatti disastrosi che hanno causato la scomparsa di centinaia di popoli, solo alla fine del ventesimo secolo è cominciata a cambiare la percezione delle cose, e bisogna attendere solo l'inizio del XXI secolo perché ci si preoccupi in modo globalizzato della sopravvivenza dei popoli indigeni in isolamento. Molte specie animali in via di estinzione sono molto più protette, grazie a specifici protocolli di difesa internazionale, rispetto agli ultimi popoli sconosciuti del pianeta, con le loro società, culture, saperi che rischiano di scomparire prima di essere conosciuti”.
Bibliografia
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Bruno Marcon, Tragedia degli indios. Cronaca ultima di un genocidio che dura da cinquecento anni, Edizioni del noce 2004
Franz Fanon, I dannati della terra, Einaudi 1967
L. Hernandez Navarro, Chiapas, La rebelion de los pobres, Hirugarren Prentsa, S.L. , Donostia, 1994
J. Nash, Mayan visions : the quest for autonomy in an age of globalization , Routledge, New York -London 2001
(Scheda realizzata con il contributo di Elvira Corona)
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