Operazione risveglio della comunicazione (e delle coscienze) su Gaza

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Immagine: Twitter.com/UN

15 febbraio pomeriggio. Manifestazione di protesta in nome della “verità” sotto la sede di Repubblica, in via Cristoforo Colombo a Roma. Si rivendica un deciso “stop alla censura” su quanto sta accadendo negli ultimi 4 mesi nel conflitto israelo-palestinese e su un silenzio, additato come complice, del bagno di sangue in corso nella Striscia di Gaza. Oltre 30mila civili palestinesi uccisi secondo le stime più recenti che, nella comunicazione mainstream giornalistica, appaiono quasi dimenticati: l’assenza di un attento spazio alla guerra, un uso di parole edulcorate quali “morti” anziché “uccisi” e dei verbi impersonali e senza soggetti (gli assassini), un timore di essere tacciati costantemente di insensibilità e di antisemitismo, queste le principali accuse dei circa 150 manifestanti pro-Palestina. Si rivendica verità, il primo degli obiettivi di un buon giornalismo, non di prendere le parti di uno dei soggetti del conflitto.

È la prima volta che emerge una tale insofferenza verso i mass media, già evidenziata sui ben più democratici social network. E non può che aver dato una spinta in tal senso quanto accaduto pochi giorni fa alla 74° edizione del Festival di Sanremoda Ghali che con “Casa mia” canta “Di alzare un polverone non mi va (va)/ Ma, come fate a dire che qui è tutto normale/ Per tracciare un confine/ Con linee immaginarie bombardate un ospedale/ Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane/ Non c’è mai pace” e alla fine della performance chiede “lo stop al genocidio” all’indignazione con un post su Twitter/X dell’ambasciatore di Israele a Roma, Alon Bar, che scrive “Ritengo vergognoso che il palco del Festival sia stato sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile”. E poi la tempesta mediatica risvegliata paradossalmente dal comunicato stampa dell’amministratore delegato della RAI, Roberto Sergio, letto da Mara Venier a Domenica In dopo un nuovo appello di Ghali a favore della pace, che ha affermato la piena solidarietà al popolo di Israele e alla Comunità Ebraica, e priva di accenni alla crisi umanitaria nella Striscia di Gaza. Ecco che allora “L’orgoglio di essere Ghali in un mondo di Mara Venier. Stop al genocidio. Stop alla censura”, scritto su uno dei cartelli presenti alla manifestazione del 15 febbraio, indica il punto di rottura della società civile con i mass media.

Nello stesso giorno della protesta, il direttore generale di Medici Senza Frontiere si domanda pubblicamente, e in maniera retorica, “quante migliaia di morti civili servono per ritrovare la coscienza” e su Twitter/X la ong tuona “Come siamo arrivati al punto che chiedere pubblicamente la fine di un massacro e protezione di tutti i civili sia un messaggio fazioso? Come hanno fatto oltre 28.000 vittime di guerra a scomparire dalla coscienza pubblica e politica?”. Se la politica non sembra dare risposte e neanche voce alla richiesta di pace, i mass media tanto meno, è solo la società civile che si sta muovendo e addirittura i musicisti dal palco di Sanremo. Il paradosso di dover giustificare che il “qualunquismo pacifista” equivale alla richiesta del rispetto delle norme del diritto umanitario che indicano chiaramente che in azioni di guerra non vanno colpiti né i civili né gli ospedali (né i giornalisti). Il rispetto delle Convenzioni di Ginevra in primis e di tutte le Convenzioni internazionali sui diritti umani adottate dal secondo dopoguerra non ammette deroghe a questi principi che principi in realtà non sono perché si configurano giuridicamente come norme: né per gruppi definiti terroristici né per eserciti regolari degli Stati. Il richiamo alla pace arriva in questo caso tanto per Hamas quanto per Israele. Lo sbilanciamento attuale delle forze in campo, la sproporzionalità dell’intervento israeliano nella Striscia di Gaza e il sangue versato dai civili impone oggi una coscienziosa interruzione delle operazioni militari di Tel Aviv. L’obiettivo della società civile e dell’ONU è lo stesso: cessate il fuoco immediato, aiuti umanitari illimitati, liberazione degli ostaggi israeliani del 7 ottobre, trattative per dare una soluzione politica condivisa e duratura ai due popoli. 

In attesa che la politica faccia, si spera, il suo corso, la musica continua a dettare la politica della pace. Come nello storico evento di registrazione di “We are the world” del 1985, quando ben 45 celebrità della musica, i cosiddetti artisti di USA for Africa, raccolsero fondi per la popolazione etiope gravemente colpita da una carestia, anche in Italia qualcosa si muove. Il 25 febbraio al Palapartenope di Napoli si terrà il Life for Gaza per sensibilizzare l’opinione pubblica, sostenere la causa del popolo palestinese e raccogliere fondi da destinare a Medici Senza Frontiere e Palestinian Medical Relief che operano nei territori occupati dalle azioni di guerra. Sul palco non saliranno solo musicisti ma anche attrici, scrittori, poeti, intellettuali e disegnatori (un elenco lunghissimo!) che, a rotazione, intoneranno brani di lotta, poesie antiche, stralci di romanzi, pagine di letteratura attraverso cui affermare e ribadire l’urgenza e la necessità imprescindibile di interrompere immediatamente i bombardamenti e gli attentati contro il popolo palestinese. 

Seppur qualcuno la additerà come un “qualunquismo pacifista”, cantiamo, chiediamo, scriviamo, urliamo, disegniamo, sollecitiamo con tutti i mezzi a nostra disposizione un immediato cessate il fuoco.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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