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Non una, ma due volte vittime
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Giulia Morello - Foto indicata da G. Morello
Questa è la prima di tre interviste di approfondimento in preparazione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne: abbiamo raccolto tre testimonianze, tre punti di vista, tre prospettive. Parleranno nelle prossime Paola di Nicola Travaglini dal mondo giudiziale, e una fonte anonima dal mondo delle Sopravvissute. Oggi risponde alle nostre domande Giulia Morello dalla società civile.
A testimoniare come la società civile si sia attivata è appunto quest’ultima: autrice e registra che da sempre concentra il suo lavoro su tematiche sociali e ambientali, è anche la referente del progetto “Never Again – Contro la vittimizzazione secondaria” con l’associazione MASC aps.
A cosa ci si riferisce quando si parla di vittimizzazione secondaria?
La vittimizzazione secondaria interviene nel momento in cui le istituzioni con cui le donne entrano in contatto quando decidono di uscire dalla violenza finiscono invece per renderle vittime una seconda volta, ad esempio sottovalutando o disconoscendo il vissuto di violenza, o dandone una rappresentazione che lede la loro dignità o giustifica la violenza.
L’iniziativa di cui sei referente come lavora su questo tema?
Il progetto Never Again, lanciato il 25 novembre scorso e co-finanziato dal programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza dell’Unione europea, punta a potenziare una risposta di sistema al fenomeno della vittimizzazione secondaria, proponendo una campagna di sensibilizzazione nazionale ed un modello di formazione rivolto alle forze dell’ordine, ad avvocati/e, a magistrati/e ed a giornalisti/e. Never Again è coordinato dall’Università della Campania Luigi Vanvitelli e realizzato insieme a D.i.Re-Donne in rete contro la violenza, Il Sole 24 ore-Alley Oop, M.A.S.C.-Movimento artistico socio culturale, Maschile plurale e Prodos Consulting-European Projects and Funds, ed è sostenuto dal programma Diritti Uguaglianza e Cittadinanza dell’Unione europea.
Secondo te la società sta cambiando rispetto a certi temi?
Un dato importante e che davvero fa riflettere secondo me, sono i/le 1000 iscritti/e al corso di formazione online su “La vittimizzazione secondaria nel contesto della violenza contro le donne” attivato lo scorso 14 ottobre. Il corso, destinato a chi lavora nella giustizia, avvocati/e e magistrati/e, nelle forze dell’ordine e nei media, ha anche ricevuto l’accreditamento dal CNF, Consiglio Nazionale Forense, e consente ad avvocati/e professionisti/e e praticanti di conseguire 9 crediti formativi. Questo dato positivo a mio avviso parla chiaro: sì, la società sta cambiando.
Che ruolo ha l’arte nel progetto Never Again?
All’Associazione M.A.S.C. aps è stato affidato un compito delicato; da un lato la creazione di uno spettacolo interattivo integrato al percorso formativo in presenza e dall’altra la creazione di un video contest con iscrizione gratuita rivolto a giovani adulti tra i 18-39 anni. Quest’ultimo è il primo concorso in Italia dedicato a questo tema e speriamo che tante e tanti giovani contribuiscano con la loro creatività a costruire il cambiamento necessario per porre fine alla vittimizzazione secondaria. Credo moltissimo nella cultura come motore di cambiamento sociale, perché in primis la questione è culturale e non dobbiamo scordarcelo.
Dalla tua prospettiva, quanto e come è attiva la società civile?
La società su questo tema si attiva ogni giorno di più ma è innegabile che la strada sia lunga, tortuosa e in salita per arrivare ai risultati attesi. Serve un profondo cambiamento culturale e serve il contributo di tutti e tutte per attuarlo. Mi sembra che su certi temi quel silenzio pesantissimo ed assordante si sia rotto, ma questo ancora non basta.
Dal fuori sembra che siano sempre le donne a mobilitarsi su questo tema, che in realtà è figlio della questione maschile. Tu come la vedi?
Le donne sono quelle che a mio avviso sentono il problema: lo hanno scritto nella propria pelle, lo vivono e ci si confrontano quotidianamente. Gli uomini vicini e attivi in questa causa ci sono ma sono ancora troppo pochi. Sono pochi quelli che riescono a comprendere profondamente il problema e che sono pronti a dare il proprio contributo. La storia ha fornito loro pagine più semplici e piene di privilegi più o meno evidenti. Se ci pensi, la prossimità a un tema è quel che ci muove verso un’azione: lo facciamo quando aderiamo a campagne sociali e scegliamo quella che sentiamo più “vicina”, che ci smuove qualcosa dentro. Nel nostro caso, ritengo che il silenzio e/o una errata narrazione di certi temi non ne abbia permesso una conoscenza approfondita. La nostra cultura, e quindi la nostra quotidianità, è intrisa di patriarcato, tutte noi siamo cresciute in un contesto fortemente maschilista per cui il processo di individuazione dei modelli errati e la relativa decostruzione necessita del tempo, del tempo che però non abbiamo. Le notizie di cronaca parlano chiaro, non possiamo più rimandare il problema e servono strumenti per chi opera nel mondo della giustizia e dell’informazione.
Si potrebbe fare qualcosa in più o di diverso? Cosa?
Si, certamente partendo appunto dalla sensibilizzazione e da una corretta informazione sul tema. Bisognerebbe parlarne di più, e più correttamente, nelle scuole, nei media, nei luoghi di cultura. Rompere un silenzio, a volte pesantissimo, è il primo passo verso la costruzione di una società più equa ed inclusiva.
Novella Benedetti

Giornalista pubblicista; appassionata di lingue e linguistica; attualmente dottoranda in traduzione, genere, e studi culturali presso UVic-UCC. Lavora come consulente linguistica collaborando con varie realtà del pubblico e del privato (corsi classici, percorsi di coaching linguistico, valutazioni di livello) e nel tempo libero ha creato Yoga Hub Trento – una piattaforma che riunisce varie professionalità legate al benessere personale. È insegnante certificata di yoga.