«No War Factory», i gioielli fatti con gli scarti delle bombe

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Un viaggio può cambiare la vita. Si parte con leggerezza, come se fosse una vacanza, e si torna completamente diversi, rivoluzionati interiormente. E quella vita, quella solita vita tra casa e lavoro, non ci basta più. È stato così per Massimo Moriconi e Serena Bacherotti, giovani coniugi viareggini che nel 2009 si presero una lunga vacanza di tre mesi. Destinazione Tailandia, Cambogia, Vietnam. Il classico tour del sudest asiatico. Videro la povertà, quella vera, i bambini vestiti di niente, gli orfani senza affetti, le capanne fatiscenti del Terzo Mondo. Non potevano restare indifferenti, l’esistenza di prima non era più possibile. Lei parrucchiera, lui bagnino, hanno trovato nuove ragioni di vita.

A mani nude

Cominciarono a scattare fotografie per scuotere le coscienze degli italiani. Quelle fotografie finivano nei calendari che vendevano per beneficenza. I primi fondi servirono alla costruzione di un orfanotrofio. Quei viaggi continuarono, nel 2014 andarono in Laos e fu folgorazione a prima vista. Trascorsero tre mesi come volontari per un’associazione canadese in un villaggio remoto. Senza luce, senza acqua, senza comfort. La vita vera (e dura) degli ultimi. Lavorarono a mani nude raccogliendo sassi per costruire la scuola del villaggio. Fu lì che scoprirono i ragazzi amputati, quelli feriti dagli ordigni bellici inesplosi disseminati dappertutto. 

Il Laos è uno dei Paesi al mondo più martoriati dalla guerra, il suo territorio è stato sventrato da nord a sud tra il 1964 e il 1973. La Piana delle Giare fu pesantemente bombardata dalle forze aeree americane che operavano contro le forze comuniste del Vietnam del Nord e del Pathet Lao. Furono sganciati 262 milioni di bombe a grappolo antiuomo. Un aereo carico di bombe ogni 8 minuti, per 9 lunghissimi anni. Ottanta milioni di queste mine non sono esplose e sono tutt’ora una minaccia per la popolazione. Lavorando al ritmo attuale, saranno necessari altri 125 anni per il completo sminamento del Paese. Serena e Massimo sentivano il dovere di fare qualcosa. Volevano reagire all’indifferenza, urlare al mondo il martirio dei laotiani. Fu così che nacque «No War Factory», la società che trasforma le bombe in gioielli. «La svolta - racconta Massimo - avvenne quando al mercato di Luan Prabang vedemmo sulle bancarelle collane, braccialetti, orecchini, anelli e altri gioielli realizzati con l’alluminio degli ordigni bellici. Andammo a visitare i villaggi sperduti dove venivano rinvenuti quegli ordigni e scoprimmo piccole comunità di contadini intenti alla lavorazione di quelle bombe disseminate nella vegetazione del territorio». Una scoperta sensazionale: le bombe trasformate in tesori, le mine diventate gemme. Un messaggio che doveva arrivare in Occidente. Nacquero collaborazioni coi capi villaggio, tutt’ora in corso. «Acquistiamo i manufatti artigianali dalle comunità locali, li trasformiamo ulteriormente attraverso i nostri orafi in Italia e li rivendiamo, destinando il 10 per cento del profitto al sostentamento dei villaggi e all’ong Mag (Mine Advisory Group), che si occupa dello sminamento e di rimozione di ordigni inesplosi».

Inno alla vita

Gioielli bellissimi dagli scarti delle bombe. Non solo bracciali e collane, ma anche portachiavi, gadget, pashmine, magliette. Nel 2018, grazie alle vendite di questi oggetti, si è incrementato il lavoro di molte comunità laotiane e sono stati donati 2.500 dollari ai villaggi per l’acquisto di 25 filtri per depurare l’acqua e 1.550 dollari all’ong di sminamento. Quello che era un esperimento è diventato un lavoro per Massimo e Serena. Anzi, una missione, a cui lo scorso gennaio si è aggiunto l’amico di famiglia Riccardo Biagioni. Negli scorsi mesi, è stata lanciata anche una produzione di diamanti etici, totalmente tracciabili, che andranno a impreziosire i gioielli di «No War Factory». Tutti i gioielli, venduti on line, sono certificati come atossici, esenti nichel e non radioattivi. E sono oggetti originali. Un inno alla vita, costruito tenacemente da due ragazzi che trascorrono gran parte dell’anno tra i villaggi del Laos e che hanno risposto all’orrore della guerra con l’amore, sotto forma di gioielli da indossare.

Jacopo Storni da Corriere.it

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