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La Sicilia ha sete
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Immagine: Unsplash.com
La Sicilia ha sete, e non da poco tempo. La cronica e cronicizzata situazione della regione, che suona come una beffa definire ancora “emergenza”, affonda le radici in decenni di negligenza e malagestione. Se oggi salta di più agli occhi è solo perché, come per tutte le storture, la crisi climatica la sta facendo detonare presentandoci il conto di anni di inefficacia istituzionale.
Ben lontane dal percepirla come un’emergenza, le persone che abitano in Sicilia sono ormai abituate alla loro normalità senz’acqua: temperature sempre più elevate, piogge sempre più scarse o più violente e rubinetti sempre più a secco.
Già la scorsa estate l’isola ha affrontato una siccità di portata inaudita. Le temperature al suolo di intere aree della Calabria e della Sicilia hanno misurato più a 4.1 °C rispetto alle medie stagionali e accumulato un deficit di pioggia di più di un anno. Gli agricoltori hanno visto i raccolti ridursi tragicamente a causa della mancanza d’acqua e sono stati costretti ad anticipare di molto il periodo dell’irrigazione. La produzione di arance è calata del 50%, quella di olio d'oliva del 50%, i cereali del 70% e i foraggi dell'80%, con punte di azzeramento totale. Gli allevatori sono stati costretti ad acquistare foraggi da altre regioni e a considerare l'abbattimento del bestiame per evitarne la morte per sete. In città come Licata, nel libero consorzio comunale di Agrigento, la carenza d'acqua è una costante, con interruzioni nell'erogazione per diverse settimane. Questo costringe le famiglie a ricorrere ad autobotti private, che impiegano giorni ad arrivare. I supermercati vengono presi d'assalto per l'acquisto di casse d'acqua.
Reti colabrodo e dighe fantasma
Non c’è solo la crisi climatica: le cause della scarsità idrica siciliana affondano le radici in un deficit strutturale e gestionale profondo. I dati parlano chiaro: in Sicilia, oltre la metà dell'acqua immessa nella rete viene dispersa. Non è una situazione che riguarda solo l’isola. L'Istat ha rilevato che nel 2022 l'Italia ha perso 3,4 miliardi di metri cubi d'acqua durante la distribuzione, una quantità sufficiente a soddisfare le necessità di 43,4 milioni di persone in un anno. Le reti idriche sono obsolete, risalenti talvolta agli anni ‘50, con tubature che perdono percentuali significative di acqua, raggiungendo punte del 60-70% in alcune aree come Agrigento e Messina.
A questo si aggiunge la drammatica situazione degli invasi: su 46 grandi e medi invasi, molti sono fuori esercizio o in esercizio con limitazioni. Un volume teorico di 1,1 miliardi di metri cubi si riduce a circa 700 milioni, con il volume utile effettivo per gli utilizzi a fine giugno 2025 stimato in meno del 30%. La Corte dei Conti, in un dossier dell'agosto 2025, ha puntato il dito contro la carenza di manutenzione, i mancati collaudi, l'interrimento per l'accumulo di sedimenti e la frammentazione delle competenze. Dighe come quella di Trinità (Castelvetrano, TP) o Rosamarina (Caccamo, PA) sono state svuotate per ragioni di sicurezza o per mancanza di controlli, sversando milioni di metri cubi d'acqua direttamente a mare, mentre i campi restano all'asciutto. La diga di Pietrarossa (Mineo, CT), definita "opera strategica" nel 1956, è tuttora incompiuta.
Soluzioni e fondi “evaporati”
La risposta politica al disastro, storicamente, si è sostanziata in annunci roboanti, promesse utopistiche e, in definitiva, interventi frammentari e inefficaci. L’attuale governo regionale ha stanziato fondi e promosso l'installazione di tre dissalatori mobili a Gela, Porto Empedocle e Trapani, per un investimento di 100 milioni di euro. Ogni impianto produrrà 96 litri d'acqua al secondo, una quantità sufficiente alle necessità di circa 40.000 persone. A fronte dei 4,7 milioni di abitanti dell'isola e ai 3.300 litri al secondo necessari solo per l'area metropolitana di Palermo. Una falsa soluzione che, per funzionare, avrebbe bisogno di elevate quantità di energia, che potrebbero far quadruplicare le tariffe per gli utenti, in una regione dove le famiglie già pagano una delle bollette più salate d'Italia.
A Palermo, l'acqua razionata è già più cara, con un aumento del 7% delle tariffe. Ad Agrigento, la gestione privata passata da "Girgenti Acque" a "Aica" ha lasciato debiti e infrastrutture degradate, con fondi regionali da 37 milioni per la manutenzione che sembrano "evaporati", e un ex assessore indagato per corruzione in appalti idrici. La Corte dei Conti ha rilevato che su 5,3 miliardi di euro investiti nel settore idrico in Italia, la Sicilia ha drenato 764,1 milioni, ma pochi progetti sono stati effettivamente completati. Nel decennio 2010-2020, solo il 7,5% dei quasi 5 miliardi di euro destinati al miglioramento delle infrastrutture idriche si è concretizzato in opere concluse.
La mobilitazione della società civile
Su larga parte del territorio sono nati diversi comitati, associazioni e gruppi formali e informali di cittadine e cittadini che denunciano quanto accade. Lo scorso autunno i comitati di Enna e le mamme di Caltanissetta hanno promosso momenti di protesta, chiedendo ai sindaci di prendere posizione a loro tutela. La scarsità di una risorsa tanto essenziale genera, inevitabilmente, una guerra da tra poveri. Come accaduto alla fine del novembre 2024, quando sindaci e cittadini dei comuni dell’ennese hanno occupato il potabilizzatore della diga Ancipa per impedire che l’acqua venisse dirottata a Caltanissetta. Nello stesso periodo c’è stata una grande mobilitazione davanti alla Regione Sicilia, a Palermo, dove manifestanti da Agrigento, Caltanissetta ed Enna hanno sfidato la giunta Schifani al grido di “Acqua! Acqua!”.
I comitati si fanno portavoce dell’atavica questione dell’inefficienza delle infrastrutture, come il gruppo messinese “Vogliamo l’acqua dal rubinetto!”, che denuncia che a causa di condutture antiquate e allacci abusivi la città perde circa il 53% della propria acqua.
Il greenwashing dietro l’angolo
La Corte dei Conti e l'Autorità di Bacino hanno ribadito la necessità di un Piano di messa in sicurezza del sistema idrico siciliano da 1,3 miliardi di euro, che includa interventi di sfangamento degli invasi, messa in sicurezza delle dighe e riuso delle acque reflue per l'agricoltura. Ma l'attuazione è lenta e frammentata. Cresce la crisi, e con essa il pericolo di speculazioni da parte dei privati. Il gruppo Webuild ha presentato un piano da 900 milioni per costruire dissalatori e ripristinare bacini in due anni. Progetto che preoccupa il fronte ambientalista, che teme che si tratti di greenwashing volto a nascondere i danni ambientali e gli esorbitanti guadagni che la società potrebbe ricavare dalla costruzione dello Stretto di Messina, cui è associata.
Rita Cantalino

Napoletana, classe ‘88. Freelance, collabora con diverse testate. Si occupa di ambiente, clima e diritti umani, con uno sguardo particolare agli impatti sanitari e sociali delle contaminazioni di natura industriale.