www.unimondo.org/Notizie/La-perseveranza-di-Shobana-218543
La perseveranza di Shobana
Notizie
Stampa

Foto: M. Canapini ®
Vista dall’areoplano l’India appare gialla, mangiata da arbusti secchi e zolle farinose. Se è vero che un terzo del paese soffre la fame, le periferie di Calcutta, a primo acchito, ne sono l’emblema. Mendicanti, storpi, cani randagi, orfani, Chapati, pazzi, tossicodipendenti, corvi, Chay, coppie d’innamorati, barbe lunghe, baffoni, henné, santoni, rifiuti, mosche, mosche ovunque. E ancora: un bue, un maiale, una gallina, uno scoiattolo, un pugno di baracche, due aquiloni. Roti, un giovane venditore di noccioline, un anziano in bicicletta, tre donne sfregiate dall’acido, scimmie, gibboni, scapole uscenti, salsa Masala, carcassa di cane mangiata da vermi. L’universo crepita in mezzo metro di ghiaia. Galleggiamo in una nube polverosa; centinaia di persone paiono intrecciarsi, correre, sudare, alla ricerca di un riparo, un lavoro, un pavimento ombreggiato. Tutto si paga a Calcutta: favori, stenti, servizi. Pensavo fossero estinti i cosiddetti uomini-cavallo, sostituiti col tempo da motorini, Tuk Tuk o biciclette. Ecco invece un vecchio, coi muscoli tesi, affranto dallo sforzo, trasportare un casto borghese vestito di bianco. L’uomo bestia compie sforzi infiniti, come Sisifo diretto sulla cima di una montagna anonima; non si scorgono altopiani a Calcutta, solo strade dure che conducono gruppi di sventurati nei viluppi dei bassifondi indiani.
Il sorriso sdentato della strada crepita fino all’uscio di casa. Una paura infantile attanaglia lo stomaco, induce a cercare tracce di sicurezza: un supermercato, una brioche calda, una voce amica. Sulle rive sassose di Varanasi, la città-tempio, aguzze pile di legno emanano fumi neri. I corpi dei defunti vengono trasportati sopra fascine ornate di stracci colorati. Nessuno ride, piange, si agita. Solo una donna, in preda a deliri ultraterreni, viene allontanata dalla celebrazione mentre il corpo del marito comincia a sfrigolare; i muscoli bruciano, la stoffa si rompe, gli arti morbidi rivelano l’osso incandescente. Da decenni Varanasi è un inceneritore artigianale di anime, un viatico di misticismo collettivo.Osservandola dalle viscere, tra i tanti connotati, pare abbia il lungomare di Venezia, l’atmosfera del Maghreb ed il pendio acuto di qualche borgo ligure. Sale come un trambusto una fanfara grezza di ottoni e tamburi. Undici bambini ballano freneticamente, come selvaggi, in cerchio. L’energia dei corpi fa precipitare le ombre nel caos. La serata è pervasa da odore forte d’incenso e hashish. La carcassa di un asino galleggia a due metri dalla riva; un Sadhu cosparso di cenere si piega sulle ginocchia, beve in trance l’acqua di madre Gange, incurante del corpo senza vita. Alla fine dei giochi, dopotutto, rimarranno solo ossa nella cenere grigia. Solo ossa nelle cenere. Solo ossa. Solo.
Visioni. Un adolescente cieco, smarrito in mezzo al traffico infernale, procede sicuro bucando il rumore di marmitte. Lo giuro, ho visto passare una limousine bianca, lucentissima; è schizzata via lasciandosi alle spalle un mucchio di case rotte e un bambino gonfio d’aria, le gambette scheletriche, il solito sguardo da adulto. In un batter d'occhio un gruppo di scimmie accerchia il Tuk Tuk, fermo in un quartiere invecchiato che pare sgretolarsi. Tra le chiome degli alberi spunta un'insegna annerita dalla ruggine: "Little Star School". Un luogo in cui dal 1996 ad oggi sono stati accolti centinaia di bambini orfani, disagiati, provenienti perlopiù dalla discarica di Nagwa o dal distretto fatiscente di Samneghat. Le maestre istruiscono gratuitamente i minori insegnandoli i precetti della lingua inglese (e qualche lavoretto manuale). Scambio due parole con Asha, colei che ha dato vita al progetto. “Dalla fine degli anni ‘90 ho cominciato ad interessarmi assiduamente ai bambini del quartiere. Sono stata ispirata dalla figura di mio padre, eterno combattente per gli ultimi della società. Con il mio fidato amico e collaboratore Zio Pierre siamo riusciti a trovare 90.000 USD, indispensabili per costruire le fondamenta della prima scuola distrettuale. Inizialmente sedevano per terra, senza banchi né lavagne, sul tetto di un edificio decrepito”. Asha pulsa dentro il Sari bianchissimo, maneggia scartoffie, fotocopie, telefoni fissi. Non ha un minuto di tregua. “Oggi possiamo contare sull’aiuto prezioso di decine di volontari, sia locali che stranieri. Tempo fa ad esempio è passato lo staff italiano di T’Immagini Onlus, una piccola associazione di Pesaro. Grazie all’aiuto di tutti insomma garantiamo l’educazione a 850 bambini circa. Sei ore al giorno per sei giorni a settimana… l’utenza della scuola continua a crescere. Contiamo quarantotto insegnanti e diciotto volontari e oltre alle discipline scolastiche integriamo lezioni di Yoga, giochi all’aperto, danza… la strada è ancora lunga”. Resistere per infondere speranza. Maschi e femmine, notando la macchina fotografica, assumono pose grottesche, buffe, a tratti maliziose; entrambi i sessi hanno gli occhi cerchiati di nero. “Aguzza lo sguardo e tiene lontano il malocchio” racconta un vecchio, forse il bidello. Al primo piano incontro Shobana, diciotto anni, che vanta, per via dell’età, il nomignolo mummy. “Ho perso i genitori quando ero molto piccola. Ha tre anni vivevo sola, per strada; ho passato un anno intero in un tempio hindu per sopravvivere. I giorni, per quanto crudeli, sono volati e ora abito qui, nell’ostello femminile della scuola. Vorrei studiare sociologia per trovare un lavoro in ambito umanitario e fare la mia parte: sostenere, dare voce a chi non ha voce”. Le tuniche variopinte delle donne animano i corridoi svuotati. Le voci degli studenti rimbalzano tra i calcinacci, provocando echi impercettibili. Vidhi ha undici anni. La scorgo seduta sul bordo del letto. Scoprirò che le piace studiare l'inglese, impazzisce per il colore rosa e vorrebbe diventare una dottoressa. Fino a poco tempo fa viveva di stenti nel misero distretto di Dashaswamedh, sobborgo di Varanasi. Ogni giorno era una sfida, ma grazie alle briciole distratte dei turisti Vidhi è sopravvissuta, abbandonando un mondo di spifferi e fame. Se ne sta lì, con la guancia appoggiata al vetro della finestra lucente. La immagino felice, nell’atto di ascoltare musica dal suo mp3. Al di là della paura.
Matthias Canapini

Matthias Canapini è nato nel 1992 a Fano. Viaggia a passo lento per raccontare storie con taccuino e macchina fotografica. Dal 2015 ha pubblicato "Verso Est", "Eurasia Express", "Il volto dell'altro", "Terra e dissenso" (Prospero Editore) e "Il passo dell'acero rosso" (Aras Edizioni).