La democrazia è nemica delle verità assolute

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La democrazia è nemica delle verità assolute. E viceversa. Cito Gustavo Zagrebelsky: "Nessuno, da solo e senza compagnia, può comprendere adeguatamente e nella sua piena realtà tutto ciò che è obiettivo, in quanto gli si mostra e gli si rivela sempre in un'unica prospettiva, conforme e intrinseca alla sua posizione nel mondo. Se egli vuole vedere ed esperire il mondo così com'è realmente, può farlo solo considerandolo una cosa che è comune a molti, che sta tra loro, che li separa e unisce, che si mostra a ognuno in modo diverso, e dunque diviene comprensibile solo se molti ne parlano insieme e si scambiano e confrontano le loro opinioni e prospettive".

La buona politica, condizione necessaria di una buona democrazia, è tale se si fonda su un approccio concretamente relativista, perché non c'è niente di meglio di rallegrarsi, socraticamente, quando qualcuno ti dice che stai sbagliando.

La democrazia ha bisogno di essere continuamente ripensata e rinnovata. Non esiste un approdo definitivo, un lido sicuro: ogni epoca ha bisogno di un suo discorso e di una sua prassi democratica, che va costruita a partire dai problemi e dalle esigenze dell’oggi. In Italia ci scontriamo con un ostacolo: ma la rottura dei monopoli e delle rendite di posizione generazionali, la rimozione di un blocco che detiene passato presente e futuro, non può essere frutto di una soluzione renziana.

Rimuovere un vecchio tappo di sughero per sostituirlo con un modernissimo tappo a vite Stelvin non sempre fa bene al vino. Meglio rimuovere il tappo e bere il vino assieme, e fuor di metafora meglio che la prassi del mettersi in gioco riguardi tutti, vecchi e giovani, ex sessantottini e indignati, pantere e orsi bruni, post-autonomi e neo-autonomisti. Nel Novecento si sono scritte le più belle pagine di teoria della democrazia e si sono affermate le peggiori pratiche autoritarie, centraliste e leaderistiche. Nel nuovo Millennio non si respira ancora un'aria nuova.

Impossibile non citare la crisi. Ne accenno in conclusione, anche se di solito si comincia dalla crisi, di questi tempi, necessario e stanco preambolo per iniziare un discorso. Secondo me la crisi è un po' in crisi. Non la crisi come fatto storico, quella è ancora in piena forma. E' in crisi la crisi come categoria interpretativa. Mi sembra che, dopo qualche anno, non si sia prodotto l'unico vero risultato che la crisi poteva salubremente portare: una radicale ridiscussione delle certezze acquisite. Non significa, sia chiaro, la gogna pubblica degli iperliberisti e la santificazione immediata dei catastrofisti apocalittici pre 2008. Al contrario, se c'è una cosa stucchevole è il ritornello "noi l'avevamo detto", o un più erudito "bastava rileggersi Marx".

Io credo sia sconfortante che tutti, oggi, escano dalla crisi con la stessa testa che avevano sul collo al momento di piombarci dentro. Gli entusiasti della crescita lo erano prima e lo sono ora, i sostenitori della decrescita allo stesso modo, così come non sembrano affatto cambiate le avverse posizioni in tema di lavoro, welfare, politiche migratorie. La melassa parlamentare che ribolle sotto il governo tecnico è solo una caricatura di quella ricostruzione politica imposta dalla consapevolezza della crisi. La crisi, così, rischia di restare poco più di un alibi per l'immobilismo. E anche l’immobilismo, come già detto, non è affatto amico della democrazia.

Tommaso Iori da Politica Responsabile

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