L’uomo che marcia per la pace

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John Mpaliza è arrivato a Bruxelles pochi giorni fa. Capelli rasta, viso liscio, occhiali a specchio, allegria, ma la marcia un po’ incerta. Questo ingegnere informatico congolese che vive da 17 anni in Italia ha percorso 1.600 chilometri dal 29 luglio scorso. Partito da Reggio Emilia ha attraversato sette paesi. Per sensibilizzare sulla necessità di porre fine alla guerra in nella Repubblica democratica del Congo, un massacro di milioni di persone (si parla di 3, forse addirittura 5 milioni in tredici anni) in quell’enorme, ricco paese i cui abitanti muoiono per stenti e violenze.

L’iniziativa di John, volontaria e non remunerata, fa volare la pace con le ali più leggere, quelle dei muscoli umani, l’alternativa a quei motori che contribuiscono con la loro sete fossile a provocare guerre. Durante il cammino John ha incontrato gruppi, organizzazioni non governative, istituzioni. E’ arrivato nel quartiere africano di Bruxelles dove lo hanno salutato persone di quattro continenti. Crede che sarà soprattutto la presa di coscienza dal basso a spingere i politici. Intanto ha voluto rompere il muro del silenzio su una guerra lunghissima che ha fatto milioni di morti. Chiede alla «comunità internazionale» risposte sull’embargo di armi, la gestione delle risorse minerarie, l’impunità dei responsabili.

Giorni fa una petizione firmata da un milione di congolesi per dire «no» alla guerra nella parte orientale e alla balcanizzazione del paese è stata consegnata da una delegazione di capi religiosi ed esponenti della società civile al vice-segretario Onu per il mantenimento della pace, Hervé Ladsous, al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite a New York. E’ stato chiesto di fermare l’ingerenza del Ruanda in Congo tramite il sostegno ai gruppi armati e alla loro opera di destabilizzazione nell’est del paese.

Intanto in Congo un gruppo di partiti di opposizione ha formalmente chiesto al parlamento di avviare un procedimento di messa in stato di accusa del presidente Joseph Kabila per alto tradimento; ci sarebbero prove di una «complicità tra il potere congolese e gli aggressori» in riferimento alla nuova ribellione, lanciata da una nuova frangia ribelle nota come M23, attiva da aprile nel Nord-Kivu.

Proprio mentre John arrivava a Bruxelles, si diffondeva la notizia che la Rdc permetterà l’esplorazione petrolifera nel più antico parco nazionale, il Virunga, ultimo rifugio dei gorilla di montagna, se le prime prospezioni daranno buoni risultati. La compagnia inglese Soco è stata la prima ad avere il permesso di condurre ricerche aeree nel blocco 5 vicino all’Uganda, malgrado l’opposizione di gruppi ecologisti. «Abbiamo il diritto di sapere quali risorse abbiamo, anche se sono sotto un parco o una foresta», ha detto il governo di Kabila. La legge congolese in realtà lo proibisce. Ma si può cambiare: si tratterà di confrontare, ha detto un ministro, il valore del petrolio con quello del parco. L’area ritenuta più ricca, la Albertine Graben, ha già attratto la francese Total, anche se rimane molto instabile per gli scontri fra governo e milizie ribelli.

Anche un recente rapporto del Wwf si sofferma sull’intreccio fra combattimenti e controllo e accesso alle risorse naturali. Lo sfruttamento illegale di legname pregiato e preziosi diamanti, coltan necessario all’elettronica e oro, avorio e cobalto, è una manna per i gruppi armati, fonte di finanziamento che perpetua il conflitto. Ne approfittano Ruanda, Uganda, Burundi e Zimbabwe. Mentre i congolesi fuggono in massa. Non possono più coltivare. Non mangiano (o mangiano animali protetti di foresta). Muoiono.

Chissà chi ascolterà John, e le migliaia di congolesi che dal dicembre del 2011 manifestano per chiedere la verità anche sulle ultime, contestate elezioni politiche.

Marinella Correggia da Serenoregis.org

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