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L’attimo di silenzio assordante dopo il terremoto
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È ancora palpabile il ricordo della notte del terremoto. Il senso di impotenza e di vulnerabilità di fronte a eventi del genere è disarmante. Dal dodicesimo piano del mio appartamento di Quito la scossa del 16 aprile si è fatta sentire eccome, ci ha fatto tremare, ci ha privato di molte certezze che, con la solita presunzione umana, credevamo di esserci guadagnati. E ci siamo sbagliati, tutti, ancora una volta. I danni e lo shock subiti dalla capitale ecuadoriana sono certamente irrisori in confronto a quanto accaduto sulla zona costiera, in un lembo di terra che comprende le regioni di Manabí ed Esmerdaldas, quasi 400 km di azzeramento urbano. Il sisma si è riversato con tutta la sua forza devastatrice su quelle che sono le zone più povere del paese. Luoghi di gente umile, piccoli imprenditori, pescatori, che in pochi attimi hanno perso tutto ció per cui avevano lottato una vita intera. Il respiro amaro e affannato di chi ha sofferto la perdita dei proprio familiari. O di chi nella migliore delle ipotesi si ritrova senza casa, un tetto dove dormire, il proprio negozio, in un paese dove la cultura assicurativa é ancora troppo acerba. Il terremoto ha seminato i germi di un’emergenza umanitaria che si sta consumando ferocemente e chissa per quanto tempo ancora durerá. Le popolazioni colpite, ormai prive di qualsiasi tipo di possedimento, stanno trovando alloggio in alcune tendopoli, dimore provvisorie o addirittura in zone aperte, armate di qualche materasso e qualche tanica di acqua, per poter andare avanti. Le razioni preparate e distribuite dai funzionari e dai volontari delle numerose organizzazioni internazionali interventue sostengono i bisogni alimentari di una famiglia per circa 3 giorni, il minimo necessario per sentirsi un pó piú indipendenti.
Certo le organizzazioni internazionali si sono mosse rapidamente, a partire dalla Croce Rossa Ecuadoriana, UNICEF, Medecin Sin Frontiers, e via dicendo. Forse due parole si potrebbero spendere sul comportamento del Governo Ecuadoriano. Da una persona, come me, esterna ai fatti, estranea al paese fino a pochi mesi fa, che peró, inevitabilmente, riceve stimoli quotidiani sulla salute del paese. Il ritratto che ne scaturisce non é dei piú promettenti, alla faccia della solidarietá dimostrata dalla gran parte della popolazione ecuadoriana, e di quella grande unitá popolare tanto sbandierata dal partito politico del presidente Correa, la Revolución Ciudadana. Innazitutto la notizia del sisma é arrivata in ritardo, i media colombiani e giapponesi avevano giá messo al corrente i propri cittadini del terremoto (e dell’epicentro) ancor prima degli stessi ecuadoriani. Senza contare che la seconda scossa registrata circa alle 2 del mattino, si sarebbe potuta prevedere con un leggero anticipo e avvisare chi ancora si trovava all’interno della sua abitazione. Ma non sono solo gli aspetti comunicativi a evidenziare delle falle. Gli aiuti del governo sono arrivati tardi e in quantitá limitate, soprattutto per i primi giorni, i piú catastrofici, i piú disperati. I superstiti e i soccorsi occupati a recuperare i corpi intrappolati nelle macerie avevano e hanno il diritto di salvare il salvabile e a non dover combattere la fame e la sete, anche in quei momenti. La risposta del governo é stata apparentemente senza una pianificazione precisa, come succede a chi si accorge per la prima volta di essere esposto a questi tipi di rischi. Effettivamente la gente non ha memoria di un terremoto di questa magnitudo, 7,8 della scala Richter. A detta di molti, solo in questi giorni, a distanza di piú di due settimane dalla tragedia, si sta promuovendo una vera coordinazione tra il governo e il lavoro realizzato dalle numerose organizzazioni internazionali accorse, e si cominciano a vedere i risultati. Spesso sono le stesse organizzazioni a guidare l’intervento dello Stato, probabilmente piú abili, trasparenti e coscienti dei fatti rispetto ai funzionari pubblici.
La realtá é peró piú allarmante di come é stata dipinta: il governo dell’Ecuador non era preparato ad affrontare un’emergenza di questa entitá. La confusione generalizzata nella quale si sono gestiti i primi giorni dopo il terremoto non gli ha fatto una gran pubblicitá, e non ha di certo aiutato chi aveva piú bisogno della sua presenza. Arrivavano donazioni di viveri che venivano razionate e assegnate senza l’avvallo dello Stato, e senza un vero criterio di efficienza. Finendo per ignorare certi paesi periferici e generare situazioni di violenza tra i sopravvissuti. Gli scavi sono stati eseguiti con le risorse disponibili, onestamente poche di fronte alla tragedia in atto. Alcune persone hanno testimoniato di aver dovuto insistere affinché si prolungassero oltre il terzo-quarto giorno le operazioni di rinvenimento. Altri hanno sostenuto che il governo si sia dimostrato superficiale, che non stesse facendo tutto il possibile, addiruttura che stesse insabbiando quella che era la reale gravitá dell’accaduto, perché impossibilitato a stanziare fondi immediati.
L’Ecuador sta attraversando una crisi economica, iniziata l’anno scorso che si é acutizzata con l’inesorabile caduta del prezzo del petrolio nell’ultimo anno e mezzo. Questo fattore sommato a un dollaro sempre piú caro e un’inflazione galoppante hanno determinato un netto crollo della bilancia commerciale del paese, la cui economia dipende massicciamente dalle esportazioni di oro nero. Il 2016 giá si prospettava un anno di “vacche magre”, il terremoto ha falciato il paese forse nel peggior momento economico degli ultimi sette anni di governo. Con conseguenze disastrose per le popolazioni della costa, stimate in piú di 660 vittime accertate, e un bilancio per la ricostruzione che probabilmente supererebbe il costo di 3 miliardi di dollari presuppostato dal presidente Correa. Interi paesi sono rasi al suolo, strade che non hanno piú un’identitá e ricordi che svaniscono nella polvere. Ai danni materiali vanno aggiunti i danni causati al settore turistico, che si protrarranno per chissá quanto tempo, data l’enorme quantitá di infrastrutture collassate.
Il pacchetto di misure approvato per reagire all’emergenza consiste fondamentalmente in un aumento indiscriminato di tasse (l’IVA la fa da padrone). Si sono accesi nuovi finanziamenti e si é firmato un altro credito con la Cina. Tuttavia il governo rimane a corto di fondi e non si é preso nessun impegno a potare l’esuberante amministrazione pubblica. A questo proposito un aneddoto ricorre emblematico nella testa di molti Ecuadoriani: fino a pochi anni fa esisteva un fondo di solidarietá per emergenze, blindato per costituzione. Nel 2009 quando il prezzo del petrolio toccava i 100 dollari al barile, il presidente Correa disse che si trattava di fondi inutili, convinto che non vi sia miglior denaro di quello speso in “investimenti”. Detto fatto si approvó una modifica costituzionale per investire il fondo in spesa corrente statale, cioé per pagare la sua immensa macchina burocratica. Se si fosse mantenuto il fondo, con regolari apporti di capitale, a quest’ora ci sarebbero 16 miliardi di dollari pronti per coprire l’emergenza.
Come se non bastasse: il quinto giorno dal terremoto Correa si é presentato in un centro della provincia di Manabí. Registrato da telecamere e circondato da un gruppo di terremotati, ha risposto con parole che si commentano da sole: “Qui nessuno mi perde la calma, nessuno mi grida o lo faccio arrestare. Vecchio o giovane che sia, uomo o donna, nessuno si mette a piangere o a lamentarsi.”.
Tre minuti di silenzio, passati in sovraimpressione in onore delle vittime del sisma, sono lí apposta a rammentarci quanto possa essere evanescente il sipario che divide la vita dal suo scadere. E, alle volte, non hai neppure l’opportunitá di ascoltare gli applausi che ti meriti.