www.unimondo.org/Notizie/L-Africa-cammina-ma-l-Europa-non-se-ne-accorge.-150131
L’Africa “cammina” ma l’Europa non se ne accorge.
Notizie
Stampa
Con l’Ebola che fa un po’ meno paura – nel senso che non ci sono più europei tra le vittime – sono calati anche i riflettori occidentali sull’Africa. Certo, c’è il terrorismo, c’è l’immigrazione, ma in genere se ne parla solo in termini di emergenza o, ancora una volta, di vittime tra i nostri connazionali. Eppure di questo sterminato continente sappiamo ben poco, e ancora meno facciamo per imparare a conoscerne meglio le complessità e la ricchezza, nonostante l’ottica globale sia ormai imprescindibile, in tutti i settori: dalla politica all’economia, dalla cultura alla sfera sociale. Proprio questo nostro approccio ancora irrimediabilmente eurocentrico è stato uno dei temi principali affrontati al convegno intitolato “Africa, continente in cammino”, una tre-giorni organizzata a Roma dai Comboniani, ricca di dibattiti, mostre, musica ed eventi. Un’occasione preziosa di incontro e scambio tra istituzioni, ong e società civile, soprattutto in questo momento di evoluzione anche positiva che diversi paesi africani stanno vivendo e di cui, come sempre, sui media mainstream regna l’assoluto silenzio.
Poco sappiamo del dinamismo che da un po’ di tempo a questa parte ha pervaso moltissime società africane, con le popolazioni che pian piano hanno preso coscienza del ruolo chiave che ricoprono nella rinascita non solo politica ma anche economica del proprio paese. “La soluzione dei nostri problemi deve nascere da dentro” ha ribadito Samia Nkrumah, figlia del primo presidente del Ghana indipendente, durante la tavola rotonda di sabato 14 marzo. Perché i problemi, nonostante questo risveglio iniziato a partire dagli anni ’90, non sono certo finiti. “Dopo secoli di colonialismo e sfruttamento abbiamo lottato proprio per poter controllare finalmente la nostra economia e le nostre risorse – afferma Nkrumah – Eppure, a 50 anni dalla vittoria, non ci siamo ancora riusciti. Continuiamo a dipendere dall’export delle nostre materie prime, oro, petrolio, diamanti, mentre dobbiamo poi comprare i prodotti finiti, a prezzi altissimi”. In pratica, l’Africa avrebbe ottenuto l’indipendenza politica ma non quella economica, continuando a dipendere dai prestiti del FMI, che sono vincolanti e spesso obbligano a tagliare le spese in settori chiave come l’educazione, la salute e la produzione domestica. “Questo genera povertà, e noi africani dobbiamo imparare a dire no. Siamo una popolazione fatta soprattutto di giovani, che però migrano perché non c’è lavoro. Ma se noi ci focalizziamo sulla nostra produttività, possiamo creare una base per l’autosufficienza e autodeterminazione, e quindi creare lavoro”.
In questo, l’Europa potrebbe giocare un ruolo fondamentale, eppure gli interventi sono tutt’oggi basati perlopiù sugli aiuti in denaro e sull’invio di truppe militari, senza studiare a fondo e favorire quelle esperienze politiche e sociali positive che pure esistono e che possono fare da apripista. La sensazione dei relatori presenti al convegno, infatti, sembra quasi essere che l’Europa, per pigrizia e ignoranza, si stia lasciando sfuggire la grossa opportunità di diventare partner strategico in questa cosiddetta “rinascita africana” e raggiungere così due scopi con un solo mezzo: “Perché l’interesse in tutto questo è anche nostro – spiega il presidente di Amref Italia Mario Raffaelli – L’Africa comprende il 40% delle risorse strategiche del mondo. In molte zone le istituzioni democratiche sono cresciute e con esse la società civile, vero antidoto contro la corruzione tutt’oggi molto presente. La nascita di una classe media ha creato a sua volta un mercato interno, e per la prima volta gli investimenti diretti esteri hanno superato l’aiuto pubblico allo sviluppo. Una tendenza dalle enormi potenzialità per tutti, ma che comporta anche dei rischi: per questo è necessaria la cooperazione, che detti delle regole e degli standard globali”.
La strada, però, sembra essere in salita. Secondo Alfredo Mantica, ex sottosegretario con delega per l’Africa “l’Europa ha capito ben poco del processo di decolonizzazione, ed è inutile rispetto all’Africa perché ciascun Paese parla nella prospettiva delle proprie ex colonie e surroga la mancanza di visione politica con il denaro”. E l’Italia? “Qui sull’Africa abbiamo pochi interlocutori – continua – Dopo la perdita delle colonie nessuno ha mai voluto approfondire e capire la storia dell’Italia in Africa. A parte la questione immigrazione, il continente è nel dimenticatoio, parlarne all’opinione pubblica, ma anche agli imprenditori, è difficile. Eppure l’Italia deve cercare di costruirsi un ruolo di portatrice di pace”. Tanto più che è proprio la pace a mancare in molte aree e paesi del continente: “Gran parte dell’Africa è dilaniata dalle guerre civili che hanno la caratteristica di durare di più delle guerre tradizionali e di lasciare odi difficilissimi da superare” spiega ancora Mario Raffaelli, che denuncia il miope atteggiamento occidentale soprattutto sulla questione del terrorismo: “Abbiamo sempre optato per interventi militari, senza mai accompagnarli a delle soluzioni politiche. Eppure tutti sanno che c’è un filo rosso che lega al-Shabaab al Mali e Boko Haram alla Siria: un substrato di povertà, di arretratezze sociali e di tragedie che i terroristi sono abilissimi a usare per i propri fini”.
Che dire poi delle armi che proprio dall’Occidente e dai paesi più ricchi vanno ad alimentare i vari “conflitti dimenticati” e che spesso finiscono nelle mani proprio di quei gruppi che con il nostro intervento intendevamo combattere. “In Africa, soprattutto nell’area del Nord, c’è una crescita costante delle spese militari – ha spiegato il vicepresidente di Archivio Disarmo Maurizio Simoncelli – Il principale paese esportatore è l’Ucraina, seguito da Cina, Russia e Francia. Poi ci siamo noi”. E il mercato illegale: sui 500 milioni di armi leggere che circolano nel mondo, secondo le associazioni ben 100 milioni si troverebbero in Africa, un commercio spesso quasi impossibile da tracciare e monitorare nonostante la storica stipula, l’anno scorso, dell’Arms Trade Treaty (che però molti paesi chiave, come Usa, Cina e Russia, non hanno firmato o ratificato).
E intanto, noi ci focalizziamo sulla nostra paura dell’immigrazione che secondo l’europarlamentare ed ex ministro italiano dell’Integrazione Cécile Kyenge, non va vista come un problema ma come un fenomeno naturale, in modo da trovare soluzioni equilibrate, che rimettano al centro la persona e non gli interessi della propaganda politica. “L’Africa deve diventare una priorità per l’Europa, visto che nei prossimi anni molti paesi andranno alle elezioni – ha precisato Kyenge, che già con la sua Commissione ha intrapreso un cammino positivo in questo senso – Ben consci che gli africani chiedono di essere accompagnati e non sostituiti nella ricostruzione del loro paese”.
Anna Toro

Laureata in filosofia e giornalista professionista dal 2008, divide attualmente le sue attività giornalistiche tra Unimondo (con cui collabora dal 2012) e la redazione di Osservatorio Iraq, dove si occupa di Afghanistan, Golfo, musica e Med Generation. In passato ha lavorato per diverse testate locali nella sua Sardegna, occupandosi di cronaca, con una pausa di un anno a Londra dove ha conseguito un diploma postlaurea, sempre in giornalismo. Nel 2010 si trasferisce definitivamente a Roma, città che adora, pur col suo caos e le sue contraddizioni. Proprio dalla Capitale trae la maggior parte degli spunti per i suoi articoli su Unimondo, principalmente su tematiche sociali, ambientali e di genere.