www.unimondo.org/Notizie/Italia-la-cultura-si-mangia-anche-in-tempo-di-crisi-126225
Italia: la cultura si mangia anche in tempo di crisi
Notizie
Stampa
Varando la nuova Finanziaria il Ministro Tremonti ha detto e poi smentito che “la cultura non dà da mangiare”, non produrrebbe cioè benefici materiali, rappresentando quindi un costo. Si potrebbe semplicemente rispondere a questa affermazione ricordando che i benefici immateriali della cultura sono di per sé fondamentali per la formazione e la crescita di ogni essere umano e di ogni Nazione, oppure ricordare come ha fatto lo scrittore Andrea Camilleri in una recente “lista” ospitata da Fabio Fazio che il concetto di cultura è ben più ampio rispetto a quello inteso dal ministro.
Ma non è tutto! Per capire come e quanto la cultura possa esprimere delle potenzialità ecomomiche ci ha pensato una recente ricerca (.pdf) presentata dallo studio The European House - Ambrosetti a Florens 2010, la prima Biennale dei beni culturali e ambientali. “Per ogni euro investito nel settore culturale, infatti, - ha sottolinato Valerio De Molli, Managing Partner The European House-Ambrosetti - l’impatto diretto, indiretto e indotto sul sistema economico è di 2,49 euro”.
Ciò significa che un incremento del Pil di 100 Euro nel settore culturale ne genera 249 nel il sistema economico, di cui 134 Euro al di fuori del sistema culturale stesso. Ma non è finita. Lo studio che ha incorciato una serie molto ampia di dati sfruttando un nuovo indice chiamato Florens index, ha dimostrato in maniera scientifica gli effetti dell’investimento culturale anche sull’occupazione, tanto che “per ogni incremento di unità di lavoro nel settore culturale, l’incremento totale sulle unità di lavoro nel sistema economico è di 1,65”. Cioè per ogni 2 posti di lavoro creati nel settore ne viene generato uno in un settore diverso.
“La crisi economica internazionale – ha precisato De Molli – ha indotto un’evoluzione dei modelli di sviluppo, polarizzandoli, di solito alternativamente, verso settori innovativi, ad esempio la green economy o anti-ciclici, ad esempio i settori tradizionali; il settore dei beni culturali e ambientali è invece un settore in cui entrambe le dimensioni sono abbinabili, essendo di fatto simultaneamente anti-ciclico e ad alta potenzialità di innovazione”.
La cultura, quindi, è potenzialmente una gallina dalle uova d’oro che produce effetti positivi sull’economia e sull’occupazione. Qualche esempio? Lo studio propone il Festival dell’economia di Trento con un ritorno quattro volte superiore alla spesa e il Festival della letteratura di Mantova capace di un ritorno ben sette volte superiore all’investimento.
“La cultura non è un costo né un lusso, è una risorsa - ha concluso Giovanni Gentile, ideatore di Florens 2010 - lo è in generale, ma ancor più in tempi di crisi. È uno dei pochi settori che possono produrre risultati rilevanti. Non dimentichiamo che parliamo di una risorsa nostra, che nessuna ci può togliere, perché l’arte, il patrimonio architettonico, l’ambiente sono l’essenza dell’Italia [...] Riscoprire il valore, anche economico, della cultura sarebbe il modo migliore per celebrare il 150° dell’Unità d’Italia”.
Dello stesso avviso anche i dati contenuti nell'ultimo Rapporto Cotec (Fondazione per l’innovazione tecnologica) che dimostrano “l'importanza vitale della promozione del capitale umano, della ricerca, dell'innovazione e della cultura per dare qualche chance al nostro paese”.
Dimostrato che la cultura è un potenziale volano economico in un periodo di crisi caratterizzato da un preoccupante smantellamento totale del welfare è lecito chiedersi se sia una scelta economica e morale saggia preferire le armi alla cultura e scoprire, come ricorda Francesco Vignarca coordinatore di Rete Disarmo, “come l’Italia sia tra i big players del commercio internazionale d’armi, attestandosi tra i 5 maggiori fornitori internazionali assieme a Francia, Germania ed Inghilterra di armamenti convenzionali” e con una larga percentuale di esportazioni dirette principalmente ai Paesi in via di sviluppo (Africa, Asia e Sud America).
Il Governo italiano, interessato a rivedere la legge sull’export di armi e tra i principali azionisti dell’eticamente equivoca Finmeccanica, oggi ha intenzione di acquistare 131 nuovi F-35 multi-funzione per un costo che si aggirerebbe attorno ai 14 miliardi di euro.
Come ricordava la redazione di Unimondo in un recente editoriale con la stessa spesa “possono essere costruiti 3.000 nuovi asili, scuole più sicure con certificazione antisismica (2 su 3 non ce l’hanno), 10 milioni di pannelli solari, la ristrutturazione del centro storico de l'Aquila, treni per pendolari ed un assegno di disoccupazione per tutti i precari che perdono il posto di lavoro...”, e magari anche rilanciare l’industria culturale italiana.