Il trollaggio diplomatico di Victor Orbán

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Tutto si può pensare di Victor Orbán eccetto che non sia un consumato uomo politico che, con le sue macchinazioni, è il simbolo di una destra estrema sempre più votata in Europa. Il presidente ungherese riesce a ricoprire la parte del leone persino sulla scena internazionale, tanto da essere stato accostato a leader politici di grandi Paesi come Putin e Trump. In quanto paladino dell’idea di un’Europa alternativa, Orbán ha dimostrato di essere in grado di attaccare gli equilibri di potere dall’interno. 

Come sappiamo, i cittadini europei hanno eletto i loro rappresentati all’europarlamento nelle elezioni di inizio giugno. Per gli eurodeputati essere parte di una famiglia politica è importante perché i ruoli di coordinamento vengono spartiti fra i vari gruppi politici. Fidesz, il partito ungherese di Orbán, era uscito dalla famiglia dei popolari nel 2021 ed era finito per buona parte della legislatura nel calderone dei non iscritti. Verso la fine della passata legislatura, erano state tentate manovre di avvicinamento con l’omologa italiana per entrare nella famiglia dei conservatori. I nazionalisti, però, hanno questo problema di dividersi sui contrasti nazionali. Così Fidesz aveva chiuso con ECR dopo che il partito ultranazionalista romeno Aur era entrato a far parte del gruppo. 

In questo contesto nasce la nuova piattaforma politica europea di Victor Orbán: i Patrioti per l’Europa. Il premier ungherese lo ha annunciato il 30 giugno da Vienna, circondato dagli altri fondatori della destra nazionalista austriaca e ceca. La notizia ha infervorato il cuore dei loro fan, che hanno riesumato un nostalgico orgoglio austroungarico. Non a caso, il neonato clan è stato subito rinominato K.u.k. (kaiserlich und königlich, imperiale e reale) o Impero asburgico.

Il fervore dei patrioti è subito trasceso dagli antichi confini austriaci, boemi e ungheresi, accogliendo membri delle altre ultradestre europee. I patrioti hanno sostanzialmente inglobatoIdentity and democracy, la famiglia europea di Marine Le Pen nella precedente legislatura. La nuova compagine patriota si è aggiudicata i trenta seggi francesi di Rassemblement National e il giovane delfino Jordan Bardella è stato nominato presidente del gruppo. Il gruppo è composto dalla Lega italiana, dagli spagnoli di Vox (anche loro hanno abbandonato Meloni), e altri partiti affini di Repubblica Ceca, Portogallo, Ungheria, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca, Grecia e Lituania. 

Insomma, l’abile politico ungherese è riuscito ad attirare ben 84 europarlamentari, costituendo il terzo gruppo più numeroso dell’eurocamera. Un dato che non può essere trascurato dagli avversari, i quali si sono subito adoperati per limitare i danni. 

Ma Orbán dovrà stare attento che l’asburgico destino non diventi una profezia che si avvera e la sua ideologia sovranista non gli si ritorca contro. Il nazionalismo è, di certo, un fattore disgregante nel contesto europeo. Per giunta, i suoi parlamentari troverebbero una sponda ancora più radicale. Come avranno reagito Orbán e Le Pen a quelli che li hanno scavalcati a destra? 

I tedeschi di AfD – espulsi da ID alla fine della passata legislatura a causa dello scandalo dei commenti deplorevoli dell’allora futuro capolista Maximillian Krah sui nazisti – hanno fondato un altro gruppo politico di ultradestra, L’Europa delle nazioni sovrane. I tedeschi sono riusciti a mettere insieme un numero di parlamentari sufficiente per superare la soglia minima di un gruppo politico. 

A Strasburgo, la partita si è giocata nella spartizione dei ruoli dell’eurocamera. Il 16 luglio, la maggioranza delle famiglie europee si è accordata per isolare i gruppi di estrema destra. Il cordone sanitario è riuscito a impedire che patrioti e sovranisti ricevessero voti sufficienti per essere eletti vicepresidenti e questori. A parte la riconferma alla presidenza del Parlamento della maltese Roberta Metsola (PPE), i 14 ruoli di vicepresidenza sono andati ai popolari, ai socialisti, ai liberali, ai verdi, ai conservatori e alla sinistra. 

In precedenza, erano stati assegnati i ruoli chiave europei: la presidenza del Consiglio europeo e l’alta rappresentanza per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Inoltre, il Consiglio europeo aveva avanzato la candidatura di Von der Leyen per un secondo mandato alla presidenza della Commissione.

Come sappiamo, ad Antonio Costa, socialista ed ex primo ministro portoghese, è stata affidata la presidenza del Consiglio europeo. Kaja Kallas, liberale ed ex prima ministra estone subentrerà come alta rappresentante per gli affari esteri. Il Parlamento europeo ha riconfermato la popolare Von der Leyen con la maggioranza composta da popolari (PPE), socialisti (S&D), liberali (Renew) e verdi (Greens/EFA). 

L’autunno vedrà i candidati commissari – avanzati da ciascuno Stato e scelti da Von der Leyen per ogni portafoglio – alle prese con le audizioni pubbliche per essere nominati. La nuova Commissione dovrebbe ricevere il mandato e diventare operativa entro dicembre. 

Nel frattempo è iniziato un nuovo semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione europea che, con un tempismo perfetto, spetta proprio all’Ungheria. Il ruolo di presidenza di turno, in realtà, ha i compiti di pianificare e presiedere le sessioni del Consiglio e le riunioni dei suoi organi preparatori, oltre che di rappresentare il Consiglio nelle relazioni con le altre istituzioni della UE. Ma Orbán pare abbia interpretato il mandato in senso un po’ più esteso, oltre che con grande entusiasmo ed eccessiva solerzia.

Nel podcast quotidiano di Internazionale del 16 luglio, Stefano Bottoni, professore di storia dell’Europa orientale all’Università di Firenze, nota in Orbán la volontà di contare fuori dai confini nazionali. Il premier ungherese intenderebbe sfruttare l’opportunità della presidenza di turno per dare al suo ruolo una visibilità strategica e mediatica globale. Una visibilità che altrimenti non potrebbe avere. Bottoni spiega che le contingenze politiche gli sono favorevole: le elezioni europee si sono svolte da poco, la nuova Commissione non è ancora in carica, le elezioni francesi si sono appena tenute e a dicembre si preannunciano elezioni americane molto combattute. Quindi, il momento di caos internazionale è una finestra di opportunità per raggiungere il suo scopo. 

Così è iniziato – quello che gli osservatori hanno ribattezzato – il trollaggio diplomatico di Orbán. Nel gergo di internet, il tròll è “chi interviene all'interno di una comunità virtuale in modo provocatorio, offensivo o insensato, al solo scopo di disturbare le normali interazioni tra gli utenti.” Il presidente ungherese ha deciso di “prendersi cura” delle relazioni internazionali dell’Unione, iniziando un tour de force da Kiev a Mosca, da Pechino fino alla Florida. 

Il viaggio a sorpresa di Orbán è iniziato in Ucraina, dove ha incontrato il primo ministro ucraino Volodymyr Zelenskyj. I due hanno discusso gli sviluppi della guerra. Bottoni spiega che questa tappa potrebbe essere stata sollecitata dagli europei, a cui Orbán ha dovuto dare un contentino. Invece, gli altri incontri pare siano stati organizzati lasciando Bruxelles completamente allo scuro. 

La “missione di pace” di Orbán è proseguita a Mosca, dove ha incontrato il suo vecchio sodale Vladimir Putin. Il premier ungherese si è proposto come mediatore di un nuovo dialogo tra Russia e Ucraina, ma Putin ha subito provveduto a rifiutare un cessate il fuoco a condizioni diverse dalle sue.

Le reazioni di Bruxelles e degli altri leader dei Paesi membri non si sono fatte attendere. I vertici UE non hanno gradito l’iniziativa di Orbán, affrettandosi a precisare che il presidente ungherese non ha alcun mandato di rappresentare né l’Unione Europea, né gli altri Stati membri. Il Parlamento UE ha quindi votato a larga maggioranza la sua prima risoluzione di condanna della visita del presidente ungherese al Cremlino in “palese violazione dei trattati e della politica estera comune della UE”.

Josep Borrell commenta che la visita riguarda esclusivamente i rapporti bilaterali tra Russia e Ungheria: “la posizione della UE sulla guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina si riflette in molte conclusioni del Consiglio europeo. Tale posizione esclude i contatti ufficiali tra la UE e il presidente Putin. Inoltre, vale la pena ricordare che il presidente Putin è stato incriminato dalla Corte penale internazionale e che è stato emesso un mandato di arresto per il suo ruolo in relazione alla deportazione forzata di bambini dall'Ucraina alla Russia." Von der Leyen ha twittato: “l'acquiescenza non fermerà Putin. Solo l'unità e la determinazione apriranno la strada a una pace completa, giusta e duratura in Ucraina”. 

Arrivato in Cina, Orbán ha postato una foto su X con scritto “missione di pace 3.0”. A Pechino, Orbán ha incontrato il titolare della diplomazia cinese e ha avuto un bilaterale con Xi Jinping. Sembra che il presidente cinese abbia indicato il ruolo che la comunità internazionale dovrebbe avere affinché Ucraina e Russia inizino i negoziati diretti. 

Infine, dopo avere partecipato al vertice NATO a Washington, Orbán ha fatto un salto in Florida per parlare direttamente con il candidato repubblicano Donald Trump. Orbán ha twittato soddisfatto che sarà il magnate americano a risolvere la situazione. 

Stefano Bottoni spiega che, probabilmente, con le visite a Mosca, Pechino e Florida, Orbán si sia voluto ritagliare un ruolo di messaggero: Putin gli ha comunicato quale dovrà essere l’esito della guerra e l’ungherese si è fatto portavoce neutrale del messaggio. La comunicazione è stata trasposta agli attori occidentali come l’unica pace possibile e ragionevole, avanzando l’accusa implicita che siano Nato e Occidente ad essere i guerrafondai. 

Le istituzioni europee hanno cominciato a ragionare su come gestire Orbán in questi sei mesi. La Commissione europea ha iniziato a boicottare la presidenza di turno. Il suo portavoce Eric Mamer ha reso noto che, a seguito dei recenti sviluppi, il collegio dei commissari non porgerà la sua visita al Paese della presidenza di turno. Ha fatto seguito anche l’attuale alto rappresentante per gli affari esteri, il quale ha comunicato che il Gymnich – cioè la riunione informale dei ministri degli esteri e della difesa – avrà luogo a Bruxelles, anziché a Budapest. 

A gelare le velleità di Orbán ci ha pensato Zelenskyj, che ha dichiarato lapidario: “Con tutto il rispetto per tutti i Paesi, grandi e piccoli, dobbiamo dire che non tutti i leader possono negoziare. Bisogna avere determinati poteri per farlo.”

Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.

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