Il caso Assange e la libertà di stampa nelle democrazie occidentali

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Foto: Unsplash.com

La vicenda di Julian Assange è stata recentemente riportata all’attenzione dell’opinione pubblica. Abbiamo riflettuto con la giornalista Stefania Maurizi sul significato del caso Assange per la libertà di stampa nelle democrazie occidentali.

di Maddalena Volcan
Mentor: Augusto Goio

Julian Assange rischia di passare la sua vita in carcere per aver fatto il suo lavoro: il giornalista. A febbraio, quando si è riunita l’Alta Corte di giustizia di Londra per decidere in merito al ricorso di Assange contro la richiesta di estradizione negli Stati Uniti, la vicenda è tornata agli onori della cronaca.  Con Stefania Maurizi, giornalista d’inchiesta de Il Fatto Quotidiano che in passato si occupata dell’analisi dei documenti di  WikiLeaks relativi alle guerre in Iraq e in Afghanistan, approfondiamo l’argomento e il suo legame con la questione della libertà di stampa, in particolare nelle democrazie occidentali.

L’idea di Assange

Julian Assange è un giornalista d’inchiesta australiano, fondatore della pagina divulgativa WikiLeaks, un’organizzazione giornalistica avente una struttura globale e non basata in uno stato. “Assange è un talento del computer, perché ha creato WikiLeaks sfruttando le capacità cruciali e uniche della rete”, spiega Maurizi. “Se noi giornalisti torniamo alle fonti, alle persone che hanno accesso a informazioni importanti per la vita di tutti (come notizie di corruzione, di torture, di crimini di guerra e contro l’umanità), dall’interno di un governo, di un’azienda, di un’agenzia, c’è bisogno di un sistema sicuro che motivi queste persone a farci arrivare questi documenti.” L’idea di Assange è stata quella di fornire un sistema per la diffusione di informazioni sufficientemente sicuro e protetto, per garantire l’anonimità delle fonti, la protezione delle stesse e l’irrivelabilità della loro identità.

Dove e quando nasce Wikileaks

Nel 2006 Assange fonda a questo scopo l’organizzazione giornalistica WikiLeaks. Il giornalista aveva verificato il ruolo fondamentale dell’informazione durante la guerra in Iraq, una guerra devastante, che ha provocato la morte di 600.000 civili, ha generato almeno 9,2 milioni di rifugiati e sfollati e ha favorito l’emergere dell’ISIS, l’organizzazione terroristica paramilitare islamica fondata nel caos post-invasione. “Quella guerra fu scatenata basandosi su informazioni di intelligence completamente false -, osserva Maurizi – usate dall’amministrazione Bush e dal governo inglese di Tony Blair”.

Julian Assange aveva individuato come queste informazioni fossero state falsificate e manipolate per giustificare l’invasione dell’Iraq da parte di Stati Uniti e Gran Bretagna. Non solo: Assange ha anche saputo riconoscere come, all’interno dei servizi segreti di vari paesi, alcuni individui avessero cercato di avvertire l’opinione pubblica della falsità e dell’inaffidabilità delle informazioni, ma senza successo.

L’obiettivo di Wikileaks

Da allora l’obiettivo di WikiLeaks è quello di contribuire alla ricerca della verità e ad evitaretragedie, come la guerra in Iraq, grazie ad un’informazione veritiera basata sulle fonti. “Assange – prosegue Maurizi – ha sviluppato un sistema che, insieme al lavoro giornalistico degli ultimi decenni, ha permesso la diffusione di informazioni su guerre devastanti come quella afghana, sulla guerra in Iraq, su Guantanamo, campo di prigionia cubano noto per le violazioni sistematiche delle convenzioni di Ginevra riguardo ai prigionieri di guerra. Fatti gravi che, senza la documentazione fornita da persone all’interno di governi e di servizi segreti, non sarebbero mai emersi”, rimarca Maurizi.

In gioco la libertà di stampa

La libertà di stampa è considerata il termometro per lo stato di salute di ogni democrazia. Osserva Maurizi: “Se non è possibile rivelare cosa fanno i nostri governi a nome nostro e con i nostri soldi, noi non viviamo più in una democrazia”.

Oggi c’è  un sempre maggiore controllo da parte dei governi sull’informazione. “Chi prova a scalfire, ad abbattere il muro del controllo sull’informazione, in una dittatura finisce male, va o in prigione a vita o viene ucciso”, fa notare Maurizi. “Ma in una democrazia ciò non è ammissibile. I giornalisti che rivelano informazioni sulle azioni criminali commesse dagli Stati devono poterlo fare in sicurezza, da persone libere”...

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