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Grandi Laghi: le tappe di un reportage
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Agenzia viaggi. “Mi fa un biglietto aereo per Bujumbura con ritorno da Kigali?”... “...per dove?”
Libreria. “Avete la lonely planet per Rwanda e Burundi?”...”Un attimo...ho tutto il mondo ma non Rwanda e Burundi”.
Aeroporto di Malpensa. Addis Ababa, Kigali, Bujumbura...per i locali Buja. Bellissima (vedi foto). Si plana su un parco sulle sponde del Tanganica. Non comprendo come mai siamo solo in quattro nell’aereo...in agosto. Forse anche per un po’ di “terrorismo informativo“ che le ambasciate divulgano a piene mani.
Non ero mai stato in Burundi in precedenza ma vedere molti ai “lavori pubblici“ m’è sembrato un rinascimento. Da lì a due giorni vi fu l’occasione per un passaggio per Bukavu (Repubblica Democratica del Congo) bypassando la frontiera rwandese via montagna. Al confine, infatti, è arrivato un ufficiale che non perdona nulla ed il giorno precedente ha fatto arrestare una persona solo perché aveva risposto al cellulare. Se avesse vagliato tutti i miei documenti certamente avrebbe trovato qualcosa da ridire.
Si fa la strada di montagna, quindi. A dimostrazione, peraltro, che il contrabbando di armi per la guerra mondiale africana può arrivare in Congo, via Burundi, senza passare per il Rwanda nonostante le limitazioni doganali imposte dall’Onu...Uno stop ad Uvira, in Congo. Vedo militari taglieggiare i mercanti ed altri appartarsi con giovani donne. Più o meno consenzienti...non lo so. Oso fotografarli di nascosto quando un ragazzo mi consiglia di rimettere la macchina al suo posto. (...non era poi così tanto nascosto). Il dramma del Congo è anche questo. Non lo si può narrare, fotografare, filmare. D’altronde si son potuti ammazzare, in 20 anni di guerra, milioni di persone senza che le immagini possano sfondare alcun schermo. Nella stagione secca la strada è polverosa. Incredibilmente polverosa.
Si sale in montagna con un po’ di paura per i predoni – interahamwe (genocidari del Rwanda che dal ‘94 abitano tra queste montagne). Essi approfittano di un sorpasso di un camion che alza molta polvere per attaccare l’auto. È successo alla comunità che mi ospitò a Bukavu. Ma tra il dirigente sin troppo “diligente” rwandese ed il rischio di predoni si preferiscono i secondi...e questo da l’idea della paura che si ha della burocrazia dello Stato rwandese.
Bukavu è una mano adagiata sul lago. Tra baraccopoli nuove e ville antiche. Un incanto...un tempo. Oggi stremata, spossata, stanca dopo 20 anni di guerra mostra qualche ferita sul dorso e più di qualche ruga. Bukavu è il capoluogo del sud Kivu ove la società civile congolese ma anche internazionale ha realizzato le più interessanti manifestazioni nonviolente. Ha conosciuto un grande Vescovo, un costruttore di pace: mons. Christophe Munzihirwa, il Romero del Congo, al quale è dedicata una delle piazze principali. Una voce che non gridò invano.
Dall’altra parte del lago Kivu vi sta la piana di Goma che al pari di Bukavu non ha mai avuto pace dopo il genocidio del Rwanda ma che ha saputo anch’essa accogliere un milione di profughi nel 1994. Un onore. La Comunità Internazionale dovrebbe dar loro il nobel per la pace. Due città che ci fanno sprofondare nella vergogna noi occidentali che chiediamo lo stato di calamità per alcune carrette ai nostri confini.
Per raggiungere Goma non è possibile andare via auto per la costa occidentale in quanto infuria la guerra. Meglio via battello. Imbarco al mattino presto ed arrivo al primo pomeriggio. Musica a tutto spiano. Bellissime isole e bella gente ad ogni imbarcadero che vendono frutta e bibite. Colori. Poi l’arrivo. Un giovane punta il suo indice contro di me. Ero l’unico amazungu (bianco). Il giovane era vestito male ed aveva dei fogli stracci in mano. Nel mentre mi si avvicina un motorbike che vuol accompagnarmi dal porto in città. Faccio per salire ed il giovane malvestito me lo impedisce. Una donna ha visto la scena e avvicinatesi mi dice: “ è un funzionario dello Stato. Lo segua”. Lo segue. Andiamo in un ufficio senza targa né scritta con funzionari malvestiti senza carte sulle scrivanie. Una donna mi chiede il passaporto...ed inizia a copiare un po’ di dati. I minuti passano. Poi il passaporto va ad un anziano che, dopo aver cancellato ciò che la collega aveva scritto, copia su carta straccia gli stessi dati. Avrei voluto informare il Console o l’ambasciata riguardo il “fermo che si stava prolungando” ma mi calmo: dopo un po’ mi lasciano andare. Mi assegnano un hotel...era lo stesso del comando dei governativi. Fissai una stanza su quello accanto...mi sento più sicuro nonostante non fosse protetto da mitragliatrici.
Anche quella notte vi fu battaglia. Tra ribelli e governativi? Macchè! Gli Hitler africani si scagliarono contro la popolazione civile rea di calpestare un territorio che vomita ogni ben di Dio. Finalmente connessione. L’albergo mi consente un cavo per il mio vecchio PC e posso lavorare. Tutta la notte.
Se non bastasse l’uomo ci si mette anche la natura. Il Vulcano che sta nei pressi di Goma ha devastato il centro per disabili ove mi formai nel 1993 e raso al suolo la Cattedrale. Dev’essere stato un vulcano blasfemo e miscredente. Giro Goma con il mio motorbiker e la gente è vestita a festa ed in processione. E’ domenica...nonostante tutto. Nonostante i lanciagranate in braccio alla polizia militare incappucciata, al filo spinato, ai 2 milioni di profughi, ai cambiavalute, a tutto ciò che è guerra. Aurevoir Congo.
Il giorno dopo la sfida: il confine rwandese. Se lo passo senza problemi è fatta. In passato ero tra gli “indesiderati”, reo per aver portato via decine di bambini rwandesi durante il genocidio. Oggi non più...o così almeno dovrebbe essere. Ho il visto. Il primo controllo è nello zaino. Non possono entrare i sacchetti di plastica. Poi 2 funzionari diversi controllano il passaporto ed uno il computer (purtroppo, in Rwanda, c’è la banda larga ovunque). Quando sento il tonfo del timbro tiro un sospiro di sollievo...senza darlo a vedere.
Un sopravvissuto mi offre un passaggio in taxi fino alla stazione dei bus. Lo riconosco dal taglio in testa. Viaggio verso Kigali e poi a Rilima che lasciai, drammaticamente,18 anni fa. Riabbracciai molti. Ma non tutti. Ancora odio e divisione. Una generazione non basta. Il centro è diventato, nel frattempo, un luogo d’eccellenza per la sanità rwandese. Il “day after” fu dedicato ai memorial del genocidio. Iniziamo con Nyamata ove è sepolta l’amica Tonia Locatelli, eroina del Rwanda. La funzionaria mi chiede se ho una foto e gliela spedisco via mail.
Poi Kigali. Infine Kigali. Altro rinascimento. Ho scritto al Presidente per complimentarmi e non solo. Certo che anche lui non ha percorso una via africana allo sviluppo. Non esiste una via africana. Ed ecco il vetrocemento, ad immagine e somiglianza occidentale, invadere le capitali. Allontanare i quartieri popolari per far spazio agli uffici delle holding, alle convention di Miss. Rwanda, agli ipermercati ove le relazioni sono sempre minori. Ove, tra i detersivi, ci si sente più soli. Tutto ciò è possibile. D’altronde; le miniere non son poi così lontane.
Fabio Pipinato, inviato di Unimondo nei Grandi Laghi
Altri articoli del reportage:
Burundi. Rinascimento senza umanesimo
Grandi Laghi: quando i gorilla sono profughi
Repubblica Democratica del Congo. Voglia di Pace
Goma. Pronti alla battaglia finale