Burundi. Rinascimento senza umanesimo

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L'aereo era semivuoto per lo scalo a Kigali. Pochi intimi sino a Bujumbura.

Eppure il paese avrebbe i numeri per attirare folle di turisti... Aeroporto nuovo con corsia Vip. Parcheggio fiorito. Boulevard con nuova illuminazione a pannello solare, marciapiedi, scoli per le acque torrenziali profondi ampi e puliti, rotonde e nessun semaforo, colline coperte di foreste e tramonto sul Tanganica. What else?

“Unitè – Travail – Progress” è il motto descritto a chiare lettere nel monumento principale attorniato dalle tombe dei martiri della Democrazia. Il monumento è in un parco fiorito ove con sassi bianchi son riportate le date 1962 – 2012. 50 anni d’ “indipendenza”....(sofferta).

Nessuno speculatore edilizio si può avvicinare ai parchi della memoria ove sono eretti busti piuttosto brutti dei padri della Patria. Il governo li ha coperti; li cambierà.

Rinascimento. Scriveva 20 anni fa Jeune Afrique. Erano i tempi del presidente Ndandaye e del Frodebu (Fronte Democratico Burundese). Il presidente fu ucciso nel 1993 a soli 100 giorni di governo e “gli uccelli smisero cantare”; la popolazione si sollevò e l’esercito la represse. La gente tagliò gli alberi per barricare le strade e distrusse i ponti per non far arrivare i militari nelle colline. Migliaia di morti e milioni di profughi o sfollati. (Ricordo personalmente quel periodo avendo lavorato per Caritas Rwanda nei campi profughi burundesi oltreconfine).

Ci provarono tutti i “grandi vecchi africani” a mediare. Da Nyerere a Mandela. Era il tempo in cui ben 3 ministri caddero con l’elicottero...causa “incidente” e non fu un caso che Mandela rifiutò d’andare all’eliporto. “Forse Sua Eccellenza è stanca...se prende l’elicottero in pochi minuti sarà già nel Suo hotel”. “Grazie per la Sua gentilezza ma preferisco andare in auto... Con lei”.

E così si susseguirono molte mediazioni, nuovi conflitti, altrettanti presidenti come Buyoya sino all’attuale “pace apparente” con Pierre Nkurunziza unico candidato alla presidenza. Un ex ribelle. Una sorta di prestanome di una cupola ben consolidata.

L’opposizione aveva ritirato i propri candidati ed alcuni si erano dati alla clandestinità, ma le “elezioni farsa” per la comunità internazionale furono “relativamente regolari”. La verità sacrosanta è che la popolazione è stanca di guerre, conflitti, attentati, tentati golpe. Causano fame, miseria, abbandono di abitazioni, campi, animali e scuole. Non è più disposta a “prender parte” contro....e sa perfettamente che la situazione attuale ha ben poco a che vedere con la democrazia ma non vuole certo piombare nel caos troppe volte conosciuto.

Vuole vivere; chiede più scuola bus e meno camion militari, più trattori e meno carri armati.

Ora il Burundi sta vivendo un rinascimento apparente che ci ricorda i 100 giorni di Ndandaye. Si lavora per la ricostruzione più estetica che morale. I più si sentono comunque parte di un sogno, di un qualcosa per... Dal mattino presto quando il richiamo del Muezzin si confonde con il canto del gallo sino all’apertura delle molte scuole professionali. Il paese, infatti, necessita di ottimi muratori, falegnami, elettricisti, idraulici, camerieri e cuochi perché si vuol recuperare il tempo perso.

Il paese cresce. Sia in Pil che in altezza perché, almeno nella Capitale, non è più possibile edificare un solo piano. 9 milioni di abitanti per un territorio pari alla Sicilia con poco territorio coltivabile, peraltro sempre meno fertile, obbliga a salire di più piani. Cantieri con impalcature traballanti in ogni dove (626?), betoniere, cemento e mattoni. L’architettura è un mix culturale: nordeuropa-afro-india. Non male in centro città; peccato che molti degli edifici sono stati costruiti con i proventi dei diversi conflitti. Ogni guerra porta con sé non solo disperazione per i più, ma anche sovrabbondanza per alcuni; e talvolta nemmeno per pochi. Certe coperture avveniristiche di palazzine per uffici hanno colori che urlano e che scimmiottano lo sviluppo di alcune capitali occidentali.

Appena fuori le direttrici principali tirate a lustro che sembrano fatte più per gli investitori stranieri che per la gente siamo alle solite: strade sterrate con voragini e quartieri insicuri.Il paese, per l’appunto, ha anche bisogno di architetti, avvocati, psicologi, medici ma, soprattutto, di una nuova classe dirigente. Sia l’università statale – ex gesuiti - che quella regalata dal governo cinese cerca di preparare il futuro e ci si chiede come mai molte organizzazioni italiane che molto hanno investito in Burundi non abbiano anch’esse osato la propria Università.

Qualche buona politica viene già sperimentata: assistenza al parto gratuita, sanità free sino ai 5 anni; istruzione gratuita per l’età dell’obbligo; bonifica delle paludi; privatizzazione del caffè; ricambio delle auto obsolete e con guida a destra (Dubai import), fibra ottica nelle più grandi direttrici. Tutte queste riforme, che piacciono molto ai donatori internazionali, hanno fatto aumentare esponenzialmente la domanda di “scuole primarie” e di “centri di sanità”. Con il lavoro comunitario interi villaggi hanno costruito la propria scuola ed il proprio dispensario durante i week – end. Piccone e badile per permettere ai propri figli il diritto di saper leggere e far di conto. Il Presidente in testa che lavora davanti ad una telecamera ricorda però il populismo di Mussolini alla raccolta del grano.

Serve “energia”. L’Ambasciatore burundese in Italia lo va dicendo da tempo: idroelettrica, solare, biomassa, eolica perché il paese per crescere non può permettersi più l’andirivieni della corrente elettrica.

Il Presidente ha chiesto a tutte le municipalità e province di edificare qualcosa di “bello, utile e popolare” per i 50 anni. Così è stato. Ad onor del vero non dovrebbe essere una tantum e solo in occasione di un anniversario.

Inoltre pretese che tutti gli imprenditori ridipingessero a nuovo i magazzini, fabbriche, shops che si affacciano lungo le arterie principali. Se non lo facevano sarebbe stato lo Stato a farlo....con tanto di fattura da presentare al proprietario. “Avete i soldi – disse – fate qualcosa per il vostro paese”. Insomma la politica dell’apparire funziona. Belle le facciate; un po’ meno l’interno.

Stonata è l’ambasciata a stelle e strisce. Nuova di zecca con muri perimetrali alti 6 metri e dimensioni esagerate che occupano un intero quartiere. Non v’è né Ministero burundese né casa presidenziale così grande... e ciò vorrà pur dire qualcosa. I diplomatici Usa offrirono “qualsiasi cifra” per appropriarsi delle case dei vicini cittadini di Buja per mettere parte del proprio personale Essi si rifiutarono. Orgoglio afro.

Ma i burundesi lo sanno bene. Con la stessa velocità in cui si può salire si può anche scendere e, per questo, non vogliono un’ulteriore guerra.

Il governo dovrebbe fare azione preventiva e cercare di perseguire un umanesimo che accompagni il suo apparente rinascimento dando giusta attenzione alla persona. Non procrastinare ulteriormente il problema dei 36.000 rifugiati in Tanzania che rivendicano proprietà nel paese. Dovrebbe liberare la Magistratura dall’influenza politica e, conseguentemente, cessare le esecuzioni extragiudiziali e le uccisioni di matrice politica come testimoniato da Amnesty (pdf). Dire basta alle carcerazioni preventive di persone innocenti che restano anche 4 anni senza dossier. Dovrebbe fare chiarezza riguardo tutte le sparizioni di borghesi ed intellettuali ed anche dell’ergastolo inflitto al collega Hassan Ruvakuki, giornalista dell’emittente privata Bonesha Fm nonché corrispondente di Radio France internazionale (Rfi) più altri giornalisti incarcerati. Perseguire anziché ostacolare la corruzione e convertire le enormi spese militari in welfare. Istituire una vera commissione d’inchiesta e non quella che ha appena decretato che dal 2010 ad oggi non è stata fatta alcuna violazione dei diritti umani. Non prendiamoci in giro. Secondo le Nazioni Unite sarebbero almeno 61 i casi di violazioni dei diritti umani e omicidi sommari, commessi nella totale impunità, nel solo 2011. Abbiamo bisogno di sostanza e non di apparenza.

Fabio Pipinato, inviato di Unimondo in Burundi

Altri articoli del reportage:

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