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È uno scontro fra blocchi
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Immagine: Atlanteguerre.it
Il Risiko mondiale è inflessibile. Richiede vi siano schieramenti, non prevede pericolose neutralità, Stati terzi non allineati. Prevede anche che le opinioni pubbliche dei Paesi siano, ognuna, addestrate. Così, la “distrazione di massa” rispetto all'informazione è lo strumento comune, usato da tutti.
Prendete quanto è stato raccontato per l’incontro celebrato alla fine della scorsa settimana dalle parti di Lucerna, in Svizzera. La conferenza che ha riunito 96 Paesi del Mondo – senza Russia e Cina, ricordiamolo – per cercare un piano di pace per l’Ucraina, è stata di fatto un fallimento. Si è chiuso con un documento non firmato, e questo lo abbiamo saputo, da 12 Paesi che fanno parte di quello che chiamiamo “Sud del Mondo”, fra cui Brasile, India, Sud Africa, Giordania e Arabia Saudita. In qualche modo non è sorprendente: sono Stati legati al Brics, il club delle economie emergenti legate a Cina e Russia che si contrappone al dominio del G7 targato Stati Uniti. Quello che non ci hanno raccontato, se non in modo minimale e marginale, è che il fallimento della conferenza sta nel fatto che il documento finale non la ha sottoscritto – ad esempio - nemmeno il Vaticano, unico neutrale vero nella guerra specifica fra Russia e Ucraina e nello scontro mondiale fra “filoamericani” e “antagonisti”. Non c’erano le condizioni. Inoltre, nel documento e nell’azione esercitata nelle giornate di colloqui, si è perso completamente il senso dell’esistenza dell’Onu, completamente messo ai margini dagli interlocutori arrivati in Svizzera e dalla stampa internazionale.
Della marginalità delle Nazioni Unite siamo ormai consapevoli, ma vederne tracciata la fine in maniera così sfacciata è preoccupante. Il documento finale prodotto dalla conferenza di Pace è di rara inutilità, almeno nei termini utili per trovare una soluzione alla guerra. Ribadisce, con parole diverse, quanto definito nel G7 convocato in Italia qualche giorno prima: l’appoggio all’Ucraina da parte dei “filoamericani” sarà ad oltranza e con una finalità che va oltre la pura e legittima difesa del territorio. L’obiettivo è alzare l’asticella del confronto, ricacciare la Russia in un angolo della storioa e disinnescarne ogni potenziale presenza in Europa.
Il documento, quindi, non crea i presupposti per riavvolgere il nastro in Ucraina, facendo tornare indietro Mosca e rendendo credibili gli impegni che Kiev aveva preso con il protocollo di Minsk e non ha mai rispettato. Quindi? L’idea è che dopo questa conferenza e dopo il G7 non accadrà nulla di diverso da quanto sta già accadendo: si continuerà a combattere, cercando la vittoria militare utile a fare retrocedere il nemico. Un bagno di sangue infinito. I militari uccisi – i dati ufficiali non esistono – ad oggi potrebbero essere complessivamente, sommando i caduti dei due eserciti, più di 200mila. I feriti sarebbero 300-350mila. A questi vanno aggiunti i civili, costretti, quando non muoiono, a fuggire dalle loro case o a vivere inverni al freddo e con poco cibo.
Una strage che prosegue altrove: a Gaza, dove il piano di Pace elaborato dagli Stati Uniti sembra piacere a tutti, ma non viene approvato e applicato da nessuno. Nel vuoto della diplomazia internazionale, i palestinesi della Striscia di Gaza e della Cisgiordania continua a morire e la loro terra continua ad esser preda degli israeliani. È interessante come il capo del governo israeliano, Netanyahu, abbia ricordato al Mondo che quella in corso a Gaza “è una guerra di civiltà, che difende anche l’Unione Europea da Hamas e dall’Iran”. Sono le medesime parole che il presidente Zalensky usa, parlando del “pericolo russo”, per convincere gli europei a dargli più armi contro la Russia.
È uno scontro ufficiale fra blocchi, quindi, quello che sta andando in scena, raccontato in modo semplificato con la formula dei “buoni” e dei “cattivi”, per giustificare scelte politiche precise. Ad esempio, la corsa al riarmo del Paesi europei. Si stima che nel 2024, 23 Paesi che fanno parte della Nato raggiungeranno il 2% del Pil in difesa, confermando il netto aumento della spesa militare tra i Paesi europei. Stando al rapporto, chi resta ancora sotto la soglia del 2% sono solo otto Paesi: ovvero Croazia (1,81%), Portogallo (1,55%), Italia (1,49%), Canada (1,37%), Belgio (1,30%), Lussemburgo (1,29%), Slovenia (1,29%) e Spagna (1,28%). Per tutti gli altri, è corsa alle armi di tutti i tipi. Sono scelte precise, fatte da governi democratici. Governi che sanno usare bene lo strumento della “distrazione di massa” nell’informazione.
Raffaele Crocco
Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009.






