Cosa dobbiamo aspettarci da questa Cop28?

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Immagine: Cop28

Cosa dobbiamo aspettarci da questa Cop28 in programma a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre? Niente di buono, viene da pensare.

E non è il pessimismo a farci immaginare che potrebbero essere scarsi i risultati della ennesima Conferenza delle Parti (Cop significa questo), ma un dannato realismo che nasce dal quadro generale, da quello che ci troviamo davanti.

Ad esempio: il luogo. Fare una riunione del genere a Dubai è come affidare una cassaforte piena e aperta ad un ladro. La città è una delle più inquinanti del Mondo. A presiedere i lavori, poi, sarà il contestato Sultan Ahmed al-Jaber, amministratore delegato della principale azienda di combustibili fossili, cioè petrolio, degli Emirati Arabi Riuniti. In questi giorni di avvicinamento, non a caso, si vocifera di un serrato e fitto calendario di appuntamenti paralleli e non ufficiali con i rappresentati di decine di Paesi, fra cui Canada, Australia, Germania. L’obiettivo è piazzare petrolio: gli Emirati vogliono aumentare la produzione del 27% entro tre anni. E già qui, le scelte sulla transizione ecologica vacillano.

Diciamo, quindi, che le premesse non sono delle migliori. A questo si aggiunge la certezza che si arriva a questo annuale appuntamento sapendo, tutti, intendo tutti i Paesi del Mondo, di essere inadempienti. Di fatto, gli impegni che tutta la comunità internazionale aveva preso con gli Accordi di Parigi nel 2015, primo fra tutti l’obiettivo di contenere a 1,5 gradi l’aumento medio mondiale della temperatura entro il 2050, sono passati in cavalleria.

Le iniziative contro il riscaldamento globale sono rimaste al palo. C’è stato un lieve aumento, in alcuni Paesi, dell’uso di fonti rinnovabili per produrre energia – cioè grazie a sole, vento e acqua –, ma la cosa si è fermata ben prima di ottenere un qualche risultato reale. La guerra in Ucraina, poi, ha di fatto riportato indietro le lancette del tempo. I Paesi industriali terrorizzati dall’idea di rimanere senza rifornimenti e senza elettricità, sono tornati a puntare sul fossile, nella speranza che le loro industrie possano continuare a lavorare. Morale: l'Unep, l'agenzia dell'Onu per l'ambiente, dice che stiamo andando verso un riscaldamento da 2,5 a 2,9 gradi al 2100.

Un disastro, che si associa ai problemi del fondo per i "loss & damage", nato per ristorare le perdite e i danni del riscaldamento globale nei Paesi più poveri. E’ stato deciso l'anno scorso alla Cop27 di Sharm el-Sheikh. I negoziati hanno portato ad un compromesso: a governarlo sarà per 4 anni la Banca Mondiale, poi si deciderà. L’idea non piace ai Paesi più poveri, poi si vedrà e si prevede una dura battaglia fra Nord e Sud del Mondo.

Cop28 aprirà i battenti il 1 dicembre, in gran spolvero. Ci sarà Presidenti, capi di Governo e Re. Ci sarà anche Papa Francesco, da sempre impegnato sui temi dell’ambiente. Una platea importante, che non potrà non ammettere che le conseguenze del cambiamento climatico sono ormai sotto gli occhi di tutti. Hanno la forma della desertificazione, delle alluvioni violente, della mancanza di cibo. Hanno il volto di milioni di esseri umani costretti a lasciare all’improvviso le loro case, la loro terra, per poter sopravvivere. Rendersi conto che non c’è quasi più tempo, che serve agire subito e bene, è l’unica cosa intelligente che possiamo fare tutti. Speriamo la pensino così anche quelli che si riuniscono a Dubai.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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