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Ci hanno deforestati?
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Trenta giorni di notizie dalle foreste del pianeta offrono un punto di vista interessante sullo stato di salute dei nostri polmoni verdi. Non tutto è negativo, ma la strada per una rigorosa tutela ambientale e una più consapevole conservazione delle foreste appare ancora lunga. Si comincia il 1 giugno, quando, l’ong Boreal Birds pubblica un nuovo rapporto che rivela il ruolo unico delle foreste boreali del Nord America nell’assicurare la più ampia zona di riproduzione avicola mondiale, offrendo a numerose specie di uccelli americani le migliori possibilità di sopravvivere. Una rivelazione che non stupisce, ma che offre agli ambientalisti una buona occasione per ricordare che “almeno la metà della foresta boreale deve essere rapidamente posta sotto protezione e preservata dall’avanzata dello sviluppo industriale”. Da anni la ricerca scientifica insiste sulla necessità di creare nuove aree protette più estese e più interconnesse al fine di mantenere la straordinaria varietà biologica del pianeta e per gli animalisti di Boreal Birds la foresta boreale, dove “Tra l’uno e i tre milioni di uccelli di 300 specie diverse si affollano ogni primavera per la nidificazione estiva”, non dovrebbe fare eccezione.
Dopo soli due giorni, il 3 giugno, arriva in redazione una seconda buona notizia: la Asia Pacific Resources International Limited (APRIL), il secondo gigante cartario dell’Indonesia, ha annunciato una moratoria immediata sull’abbattimento delle foreste naturali. Dopo anni di conflitti ambientali e sociali, ha annunciato una serie di misure volte a migliorare la sua policy. Le associazioni ambientaliste hanno accolto positivamente il tanto auspicato passo della APRIL, ma restano prudenti, in attesa di verificare come la sbandierata svolta sarà attuata sul campo. Secondo Jikalahari, una rete di organizzazioni della società civile di Riau (la provincia più colpita dalle operazioni della APRIL), “il nuovo impegno sembra essere più credibile del precedente, ma resta ancora debole in fatto di trasparenza”. Non è ancora chiaro, infatti, se le associazioni ambientaliste potranno verificare le mappe delle foreste di alto valore di conservazione, né se saranno di pubblico dominio tutti i fornitori di legname della multinazionale. Anche Greenpeace, il WWF e Rainforest Action Network (Ran) si sono complimentati con la APRIL per aver accettato di porre fine alla deforestazione, ma come ha ricordato Bustar Maitar, di Greenpeace Indonesia “Monitoreremo da vicino che alla politica annunciata corrisponda un reale cambiamento sul terreno”, mentre Lafcadio Cortesi di Ran ha invitato clienti e investitori a “valutare le proprie relazioni commerciali con la APRIL sulla base dei risultati dimostrati da una verifica indipendente”.
Con il 9 giugno, però, le buone notizie erano già finite. Il Dipartimento di Giustizia nordamericano si apprestava, infatti, a presentare nuovi capi di accusa contro il produttore di parquet Lumber Liquidators, accusato dall’associazione britannica Environmental Investigation Agency (EIA) di importare pavimenti fatti con legno di quercia e di betulla abbattuti illegalmente in Siberia, e successivamente assemblati da un produttore cinese. La Lumber Lliquidators in passato era già stata oggetto di diversi casi legali a causa delle alte emissioni di formaldeide nei laminati provenienti dalla Cina, ed ora sarà nuovamente sotto la lente di ingrandimento del Dipartimento di giustizia a stelle e strisce.
Il 16 giugno è Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, a denunciare un controverso progetto per la costruzione di una ferrovia transcontinentale dall’Atlantico al Pacifico in Sud America. La ferrovia, che ha il sostegno del governo cinese, attraverserebbe molti territori indigeni e aree ad alta biodiversità della foresta amazzonica del Perù e del Brasile. Se venisse realizzata, per le terre e le tribù incontattate, attualmente le società più vulnerabili del pianeta, sarebbe una catastrofe: i loro territori sarebbero aperti alle attività minerarie, al disboscamento illegale e la colonizzazione sarebbe incoraggiata. “Intere popolazioni incontattate potrebbero essere spazzate via dalla violenza di esterni e da malattie come l’influenza e il morbillo, verso cui non hanno difese immunitarie” ha ricordato Survival. Purtroppo, progetti simili hanno lasciato precedenti preoccupanti. Negli anni ’80 i 900 chilometri della ferrovia Carajás, nel nord-est dell’Amazzonia brasiliana, aprirono la terra di molti popoli indigeni come gli Awá ai taglialegna, agli allevatori e ai coloni illegali. Moltissime famiglie vennero massacrate e molte altre morirono per le malattie, mentre il disboscamento causò la deforestazione di più del 30% del territorio centrale degli Awá.
Il 25 giugno, infine, veniamo a sapere che secondo il Dipartimento Foreste del Myanmar, il taglio illegale sta devastando le foreste negli stati di Kachin e Shan tanto che già 15 mila metri cubi di legname sono stati sequestrati solo nei primi sei mesi di quest’anno. Lo stato del Kachin e la provincia di Sagaing nello stato di Shan, sono aree in cui il contrabbando di legname è più intenso. Un traffico che il Dipartimento dello stato asiatico ha stimato in quasi 200 mila metri cubi di legname, prevalentemente teak, contrabbandati ogni anno. Secondo il network Salva le Foreste “i contrabbandieri contano su un sistema di prelievo e di trasporti altamente efficiente, mentre la cooperazione tra i governi della Cina e del Myanmar nel combattere il fenomeno stenta ancora a decollare”.
Basta quindi un mese per renderci conto di quanto molto spesso, oggi, l’abbattimento degli alberi sia esteso e duraturo, effettuato per motivi commerciali nei paesi in via di sviluppo per soddisfare la fame di legno e derivati a basso costo di quelli “sviluppati”. Le conseguenze? Mentre gli alberi vivi aiutano a mantenere stabile la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera (attraverso la fotosintesi clorofilliana) l’utilizzo di legna e il diboscamento stanno causando fenomeni come l’effetto serra ed il riscaldamento globale oltre a contribuire quotidianamente alla perdita di biodiversità, alla desertificazione, all’aumento del rischio di frane e smottamenti oltre che alla sottrazione di risorse e spazi vitali alle popolazioni indigene. Cosa accadrà in luglio?
Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.