Che sia un 2017 di rinnovabili!

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Se il buon anno si vede da gennaio forse allora quello che si è appena aperto sarà un 2017 all’insegna di un significativo cambiamento nelle politiche energetiche e ambientali mondiali. La nostra più che una certezza è tutt'al più una speranza alimentata da alcuni comunicati stampa arrivati in redazione da ogni parte del globo. Andiamo con ordine e iniziamo dagli Usa. Ancora in dicembre, mentre i grandi elettori nominavano ufficialmente Donald Trump quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’AmericaBarack Obama terminava il suo secondo mandato presidenziale vietando, sensi dell’articolo 12 del Outer Continental Shelf Lands Act, l’estrazione petrolio, gas e minerali in 3,8 milioni di acri nell’Atlantico centro-settentrionale e nel 98% delle acque artiche Usa, pari a 115 milioni di acri. Nel contempo il Governo canadese guidato da Justin Pierre James Trudeau annunciava il ritiro di tutte le licenze petrolifere e gasiere nelle acque artiche canadesi e avviava una collaborazione con gli Usa per chiedere che l’International Maritime Organization metta al bando l’Hfo, un combustibile denso e vischioso che viene comunemente usato dalle navi da carico perché più economico del diesel. Rachel Richardson, direttrice del programma “STOP Drilling”  di Environment America è convinta che “Questa è una vittoria per tutti coloro che hanno cercato di bandire dai nostri oceani l’estrazione di petrolio una volta per tutte. Il presidente Obama ci ha appena consegnato una vittoria incredibile nella lotta per proteggere gli oceani e il clima dalla sconsiderata trivellazione offshore e dagli sversamenti”. Per il portavoce di Greenpeace Usa, Travis Nichols, "alla luce delle intenzioni della prossima amministrazione repubblicana, che fanno supporre più combustibili fossili e meno protezione governativa per le persone e il pianeta, decisioni come queste sono fondamentali”.

Spostiamoci adesso in Svezia e più precisamente a Stoccolma. La capitale svedese potenzierà nel corso di quest'anno un progetto energetico avviato già nel 2015, che, tra le altre cose, serve a riutilizzare anche gli alberi di Natale recisi, quelli che normalmente finiscano nella spazzatura o in un centro per la raccolta differenziata. È il Biochar di Stoccolma che produce un carbone di origine vegetale attraverso la pirolisi (un processo di combustione in ambiente quasi privo di ossigeno) dei rifiuti verdi dei giardini e dei parchi di Stoccolma e ai quali in queste settimane si aggiungono gli alberi di Natale dismessi. Riscaldati fino a 800 gradi Celsius questi rifiuti organici si trasformano in un carbone sostenibile e durevole, che può essere miscelato al terreno per migliorare notevolmente il livello di drenaggio e di nutrimento, mentre il calore prodotto per realizzare il biochar viene immesso nella rete di teleriscaldamento della città. “Riunendo il dipartimento parchi, il servizio di smaltimento dei rifiuti cittadino, i fornitori di energia, e giardinieri urbani, il progetto di Biochar di Stoccolma può veramente creare un circolo virtuoso semplice e ingegnoso che potrebbe fornire un modello per le città di tutto il mondo” ha spiegato l’amministrazione cittadina. 

Mentre in Svezia si produce concime ed energia anche con gli alberi di Natale, in India il National electricity plan, redatto dalla Central electricity authority (Cea) e presentato dal Governo, annuncia che “non verranno più costruite nuove centrali a carbone a partire dal 2022 e che nel 2027 dovrà terminare la costruzione di quelle programmate”. Il piano vuole ridurre la domanda di carbone, che sarà minore di un miliardo di tonnellate all’anno, ma la vera novità del National electricity plan indiano è che mira a produrre 100 GW di energia solare ed eolica, un quantitativo più che doppio rispetto alle energie rinnovabili installate oggi in India. Siddharth Singh, del The energy and resources institute (Teri) di New Delhi, ha detto che questa decisione “Metterebbe l’India sulla buona strada per superare di gran lunga i suoi impegni previsti dall’Accordo di  Parigi. Il governo di Narendra Modi ha promesso di ottenere il 40% della sua energia elettrica da fonti non fossili (rinnovabili e nucleare) entro il 2030, con il finanziamento e la condivisione della  tecnologia da parte di paesi più ricchi. La proposta del Cea significherebbe che la quota non fossile aumenterebbe al 53% già nel 2027, fino da oggi era al 31%, e non faceva affidamento sul sostegno internazionale”. Un risultato notevole anche per Greenpeace Indiache pur ricordando che “il piano del Cea non blocca la maggior parte dei progetti per le nuove centrali a carbone da qui al 2027” vede “l’incentivo alle energie rinnovabili come una possibilità per ridurre la povertà, migliorare le condizioni di vita e fornire energia a tutti”.

Infine qualcosa è cambiato anche in Giappone se un’azienda italiana, la BTS Biogas di Brunico, è da poco stata chiamata per realizzare nei prossimi anni due impianti a biogas in Giappone, uno dei quali a Rikuzentakata, un’area nel nord del Giappone distrutta dallo tsunami del 2011 e prossima a quella colpita dal disastro nucleare di Fukushima Daiichi.  E proprio a Fukushima la BTS ha proposto per le aree contaminate “una soluzione agro-energetica che potrebbe portare grandi vantaggi in termini di decontaminazione e sostegno delle popolazioni colpite”. Entrambi gli impianti hanno per il Giappone un grande significato simbolico, perché il Paese pur non avendo rinunciato totalmente al nucleare, sembra sempre più attratto dalle energie rinnovabili, come quella prodotta con il biogas. Per la BTS, oltre al riconoscimento dell’eccellenza italiana nel settore, “Il biogas si conferma sempre più spesso come la soluzione più efficiente da un punto di vista economico ed ambientale, per rispondere ad esigenze energetiche, ecologiche e strutturali anche in aree colpite da disastri come lo tsunami”.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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