Brasile: Chi farà la riforma agraria?

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L’esito delle votazioni del 3 ottobre pareva scontato, le proiezioni parlavano di più del cinquanta per cento dei voti che avrebbero collocato la delfina del presidente Lula, Dilma Roussef come nuova inquilina del Palazzo dell’Alvorada. Forse nessuno si aspettava o credeva che, accanto ad un patetico Josè Serra, con poco più del trenta per cento delle preferenze, sorgesse un’altra donna Marina Silva, ex ministro dell’ambiente del governo Lula, membro di spicco del partito dei lavoratori – PT lasciato dopo l’abbandono del ministero per divenire membro e candidata del partito verde a presidente della Repubblica.

Gli oltre diciannove milioni di voti esprimono il successo personale ed un chiaro segnale per il futuro presidente sulle grandi questioni ambientali ed in particolare le grandi dighe previste in Amazzonia sui fiumi Sant’Antonio e Xingù, parte del piano di accelerazione allo sviluppo due.

Sta di fatto però che i risultati delle urne hanno ancora una volta messo in luce, da una parte lo scontento della popolazione che, nello stato di San Paulo, con una megalopoli con oltre undici milioni di abitanti, elegge come deputato federale, con oltre un milione e trecento mila voti, un comico semianalfabeta che, durante la campagna se ne esce con lo slogan: votatemi, che peggio di così non può andare.

Dall’altra parte la necessità di una riforma politica ampia, che tocchi sia l’aspetto elettivo, ma soprattutto restituisca alle persone la fiducia di una partecipazione diretta e attiva nella costruzione di un bene che, ormai non può più appartenere ad una classe e gruppi politici minati da scandali, corruzione, ma deve tornare alle sue origini e nel cuore di un popolo che, è capace, e questo lo ha dimostrato con la legge 9840/99 sulla corruzione elettorale e la legge 135/2010 conosciuta come “Ficha Limpa”, una specie di “mani pulite”.

La grande sfida del successore di Lula sarà di dare un nuovo volto al futuro democratico di una nazione che, colosso mondiale per natura, dovrà dare risposte concrete ad una questione che non può più attendere a lungo e di cui Marina Silva è stata la paladina, la questione della terra e la riforma agraria, come processo di rispetto della Madre Terra, tanto cara ai popoli indigeni, primi abitanti di questo paese, e ancor recentemente causa di violenza e morte.

L’importanza e l’urgenza della questione terra è stato il tema della 48 esima Assemblea dei Vescovi del Brasile lo scorso maggio, sfociata poi nel plebiscito popolare e la raccolta di firme per la delimitazione delle proprietà della terra, svoltosi durante la settimana della patria, dall’1 al 7 settembre e sfociata nel Grido degli Esclusi a favore della vita e dei diritti della gente.

Se la data del 31 ottobre ci dirà, da una parte e formalmente chi siederà sullo scanno più alto della democrazia brasiliana, conquistando la fiducia degli elettori, dall’altra, il processo democratico ha indicato ancora una volta che non è più possibile ignorare la necessità di abbracciare e portare avanti con forza la piattaforma di riforma elettorale elaborata dai movimenti sociali toccando si l’aspetto elettorale, ma esigendo una partecipazione diretta nell’esercizio della democrazia, maggiore servizio dei mezzi di comunicazione al bene comune, riforma del sistema giudiziario e maggior uso del plebiscito quale mezzo per discutere e decidere le grandi questioni nazionali e internazionali che coinvolgono la nazione brasiliana.

Che questo possa sembrare a molti un utopia non interessa, sta di fatto che è necessario restituire il potere al popolo e se questo non accadrà, sarà lo stessa società, con la sua sapienza e fantasia che incontrerà le forme per arrivare a questo. In fondo i popoli indigeni ci hanno insegnato e continuano ad insegnarci dopo cinquecento anni di soprusi, violenze che l’unione fa la forza.

Gianfranco Graziola da Vita Trentina

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