Betlemme, la città che i coloni vogliono sostituire

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La colonia Efrata, foto di Monica Pelliccia

Betlemme - Solo pochi chilometri a sud di Betlemme, percorrendo la strada che arriva da Hebronemerge la colonia israeliana di Efrata. Oltre 15 mila abitanti vivono in questo insediamento illegale che, pur non essendo tra i più grandi della Cisgiordania, è secondo molti un emblema della sostituzione simbolica dei luoghi della Palestina storica, portato avanti dall’occupazione israeliana.  “Come nel caso di Efrata, danno nomi biblici alle nuove colonie per rimpiazzare anche solo simbolicamente i luoghi sacri del cristianesimo, in questo caso Betlemme,” racconta all’Atlante delle Guerre uno degli attivisti che hanno accompagnato il viaggio della delegazione della Rete degli enti locali per i diritti del popolo palestinese, organizzato da Arci Firenze e Anpi Firenze a inizio novembre 2025. Efrata è una colonia in rapida espansione: l'organizzazione per i diritti umani Peace Now ha dichiarato che è prevista la costruzione di 974 nuovi alloggi nell'insediamento illegale, con un ampliamento del 40% nel prossimo futuro.

Percorrendo la Road 60, che porta a Betlemme, da un lato all’altro della strada si notano appezzamenti di terra spianati, caterpillar in azione, checkpoint di diversi colori che separano le campagne e gli uliveti dalle case. In tutta la Cisgiordania sono oltre 1000 i gates che aprono e chiudono a discrezione l’accesso alle proprietà e alle campagne delle famiglie palestinesi. Con un aumento esponenziale di coloni: “Si stima che ci siano circa 18 mila coloni intorno a Betlemme - aggiunge l’attivista - Numeri in crescita in tutta la Cisgiordania a un ritmo di oltre 10mila al mese, secondo gli ultimi dati.” 

Dopo due anni di buio a Betlemme torna, il 6 dicembre, la tradizionale accensione dell’albero di Natale e delle luminarie che da sempre illuminano la città nel periodo natalizio. E insieme alle luci la speranza è che tornino anche i visitatori, che dall’ottobre 2023 sono pochissimi. “Il settore turistico - spiega il sindaco Maher Nicola Canawati - si è contratto in questo biennio di circa il 90%. Per la città di Betlemme l’arrivo dei pellegrini è fondamentale”. In occasione dell’accensione dell’albero Betlemme si sta preparando ad un grande evento pubblico “Vogliamo - prosegue il primo cittadino - far arrivare il messaggio che la nostra città è sicura e che a nessun turista è mai stato in pericolo. Le persone di tutto il Mondo e di tutte le religioni sono le benvenute.”

A Betlemme erano attivi circa 70 negozi turistici ed erano a disposizione oltre 10mila posti letto. Lo stop del turismo ha messo in ginocchio l’economia cittadina. “Andare avanti è molto dura - racconta Mike, proprietario di un negozio di ceramiche nella piazza di fronte alla chiesa della Natività - per mesi praticamente non abbiamo avuto clienti e mi sono dovuto arrangiare facendo il muratore, non riesco a coprire i mille dollari di affitto mensile del negozio”.

A pochi passi dalla chiesa della Natività si trova anche il municipio di Betlemme. Il sindaco Maher Nicola Canawati è da poco tornato dall’Italia, dove ha partecipato anche alla Marcia della Pace PerugiAssisi. “Sono stato quasi arrestato in aeroporto a Tel Aviv, mi hanno fermato per tre ore - spiega raccontando come la repressione sia aumentata drammaticamente durante gli ultimi due anni - Le incursioni notturne in città da parte dell’esercito israeliano sono state una costante.”

La città si avvicina al periodo natalizio sperando che possa essere una ripartenza considerando i tanti problemi che vive Betlemme, e che sono comuni alle città palestinesi, come la crisi economica e la migrazione, la violenza, la scarsità d’acqua e la difficoltà di accedere alle campagne. “Il nostro problema non è l’integrazione delle comunità religiose, bensì la politica di occupazione israeliana - conclude - Nonostante ciò non perdiamo la speranza, l’ottimismo e la gratitudine per la solidarietà ricevuta nelle piazze di tutto il mondo. Invitiamo a venire in Palestina, che è il miglior modo per conoscere la nostra ospitalità e supportarci:” 

Come non perdono la speranza gli attivisti e le attiviste di Holy Land Trust, ong pacifista che da anni porta avanti azioni non violente di resistenza all’occupazione.  “Lavoriamo - spiega uno dei volontari - in area C, laddove le persone palestinesi vivono a fianco dei coloni e ci sono le maggiori sfide per la convivenza”. Tra i tanti progetti c’è quello di ricostruire le case distrutte dai coloni, lì dove sono state rase al suolo. Finora sono state ricostruite 16 case di famiglie fragili.

A sud di Betlemme si trova anche Aida, uno dei campi profughi storici, che ospita i profughi fin dalla Nakba del 1948. Nel campo, circondato dal muro israeliano che divide i territori palestinesi, con sette torrette usate dai cecchini, abitano oggi circa 7250 persone in 6,5 ettari. I due terzi hanno meno di 25 anni. Qui, come in tutti campi profughi in Cisgiordania, le irruzioni dell’Idf sono costanti. Uno studio dell’Università di Berkeley l’ha definita nel 2018, come la comunità più esposta al Mondo ai gas lacrimogeni. Alcuni dei bossoli lasciati dall’esercito nel campo si trasformano in bigiotteria e oggettistica, venduta in un negozietto a due passi dall’entrata del campo in cui svetta una enorme chiave, simbolo per i palestinesi del ritorno a casa. 

“In questo contesto di forte violenza - spiega Abdelfattah Abusrour, direttore del centro Alrowwad Cultural & Art Society - tentiamo di fare resistenza culturale e artistica nel cuore del campo. Quando abbiamo iniziato, nel 1998, ci siamo resi conto che nessuno chiedeva ai bambini e alle bambine quali fossero le loro aspirazioni, cosa volevano fare, perché si dava per scontato che la loro vita dovesse esaurirsi nel campo. Noi abbiamo deciso di partire dai loro sogni e ancora oggi cerchiamo di portare avanti attività per giovani. Abbiamo una foresteria, che però negli ultimi due anni è rimasta praticamente vuota”. Il volontario, racconta infatti che la nostra delegazione, era il secondo gruppo ricevuto negli ultimi due anni. “La nostra idea è sempre stata quella che chiamiamo beautiful resistance, la bellezza della resistenza, ispirata ai movimenti internazionali mondiali. Con questa idea continueremo a lavorare per educazione, arte e bellezza.”

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