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Nucleare: riprendiamo a discuterne per fermarlo
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Immagine da Unsplash.com
L’avvento del nucleare cambia radicalmente gli scenari: la lezione di Norberto Bobbio, oggi più attuale che mai
Da anni ormai rifletto sull’avvento del nucleare e sul suo sviluppo nel corso della seconda metà del secolo scorso. Ci siamo imbattuti, ormai in anni lontani, in una contrapposizione tra favorevoli e contrari al nucleare ad uso civile anche se negli ultimi tempi gli apologeti di una energia nucleare cosiddetta pulita hanno guadagnato spazi e forse consensi dopo la sconfitta al referendum consultivo di anni or sono.
In ogni caso, il nucleare mantiene un grande impatto geopolitico e soprattutto sulla sua capacità di incidere in profondità nella coscienza collettiva. Più si studia, più ci convinciamo che non si tratta semplicemente di un tema di politica internazionale: è un nodo etico, culturale e umano che definisce la nostra epoca.
In questo percorso analitico, la voce di Norberto Bobbio - filosofo del diritto e politologo tra i più lucidi del Novecento - continua ad apparire come un faro guida anche per contributi successivi come quelli recenti del giurista Tommaso Greco. Oltre sessant’anni fa Bobbio scriveva che, davanti alla minaccia atomica, “dobbiamo sentirci tutti obiettori”. Una frase che oggi, nell’epoca della vulnerabilità globale e del ritorno del rischio nucleare come strumento di pressione internazionale, suona come un monito imprescindibile.
La bomba atomica ha rivoluzionato il pensiero politico?
Bobbio fu tra i primi a comprendere come la bomba atomica non fosse solo una nuova e micidiale arma ma una sorta di evoluzione apocalittica, di mutamento radicale nella natura stessa della guerra. Con Hiroshima e Nagasaki, la violenza bellica smette di essere uno scontro tra eserciti per diventare, potenzialmente, l’annientamento dell’intera specie umana. In tempi recenti abbiamo scoperto come non ci sia bisogno del nucleare per il genocidio di un popolo. La guerra moderna rompe ogni proporzione, ogni limite etico ed ogni logica di legittima difesa: diventa “totale”, per usare le sue stesse parole, e quindi intrinsecamente ingiustificabile.
Scriveva Bobbio, oltre mezzo secolo fa, che dopo il 1945 si apre una “pagina inedita della storia umana”, perché per la prima volta l’umanità possiede gli strumenti per autodistruggersi completamente. Da qui la necessità di un cambio di paradigma: le categorie politiche tradizionali – alleanza, deterrenza, sicurezza – non bastano più. Serve una nuova grammatica civile e morale, capace di affrontare ciò che definiva “il potere di annientamento che nessun sovrano ha mai avuto nella storia”.
L’obiezione di coscienza come dovere civile universale?
La tesi sull’obiezione di coscienza di fronte alla minaccia nucleare resta, fra tutte, una delle più rivoluzionarie. In un mondo armato di ordigni che possono distruggere città, clima, ecosistemi e generazioni future, Bobbio sostiene che l’obiezione non è più solo un diritto individuale, ma un dovere morale e politico collettivo.
Significa, in altre parole, che ogni cittadino deve assumersi la responsabilità di dire “no” alla guerra atomica, indipendentemente dalla propria posizione nella società. In questo senso, l’obiezione diventa un atto politico potente, perché spezza la logica della delega: non possiamo più rinviare a generali, governi o stati maggiori la decisione suprema sul destino della specie. La sopravvivenza dell’umanità diventa un compito condiviso.
Oggi: proliferazione, instabilità, ritorno del rischio atomico
Le riflessioni di Bobbio in apparenza potrebbero essere annoverate all’interno del dibattito intellettuale scaturito dalla Guerra Fredda ma se vengono riprese e sviluppate ancora oggi evidenziano l’attualità delle tesi e del dibattito. Non solo perché assistiamo alla modernizzazione degli arsenali nucleari e all’erosione dei trattati di controllo degli armamenti, ma anche perché la guerra è tornata al centro dello scenario internazionale: dal conflitto in Ucraina, che ha riportato esplicitamente la minaccia nucleare nel discorso pubblico, alla crisi israelo-palestinese che destabilizza intere aree del globo.
Senza dimenticare la crescente competizione tra Stati Uniti e Cina, la militarizzazione dello spazio e del cyberspazio, l’espansione del numero di Paesi in possesso di ordigni atomici e la possibilità – sempre più reale – che gruppi non-statali acquisiscano tecnologie o materiali fissili.
In un mondo così fragile, parlare di etica della guerra nucleare non è un esercizio teorico: è un’urgenza vitale.
Le implicazioni etiche e morali della minaccia nucleare
Ogni seria riflessione sull’atomica dovrà partire da un semplice dato: l’uso delle armi nucleari causerebbe non solo milioni di morti immediate, ma effetti devastanti e irreversibili sul clima, sugli oceani, sulla biosfera. Studi come quelli dell’Università del Colorado o dell’IPPNW mostrano che anche un conflitto nucleare regionale – come quello ipotizzabile tra India e Pakistan – produrrebbe un “inverno nucleare” in grado di ridurre del 30% la produzione agricola globale. Una catastrofe che travalica le frontiere. È in questo quadro che l’obiezione di coscienza assume un valore più ampio: diventa la scelta di non partecipare a un sistema che considera l’umanità sacrificabile.
Diplomazia, trattati, controllo degli armamenti: cosa possiamo fare?
Ridurre il rischio nucleare richiede politiche multilivello. La diplomazia è centrale: dai nuovi protocolli START al rilancio del Trattato di Non Proliferazione, fino al Trattato ONU per la Proibizione delle Armi Nucleari, sostenuto da un numero crescente di Paesi, ma boicottato dalle potenze atomiche.
La non proliferazione rimane un obiettivo essenziale: evitare che l’atomica si diffonda a nuovi Stati o gruppi è una priorità assoluta. Il controllo degli armamenti - smantellato negli ultimi vent’anni - deve essere ricostruito con coraggio. Ma rispetto al passato è proprio la istituzione ONU ad essere entrata in crisi proprio per i continui veti a risoluzioni proveniente dagli Usa che mirano direttamente a depotenziare il ruolo e le funzioni delle Nazioni Unite.
Educazione, consapevolezza, cultura della pace
In questo scenario, l’educazione diventa uno strumento politico di prima grandezza. Solo una cittadinanza consapevole può esercitare pressioni sui governi per ridurre gli arsenali o ratificare trattati internazionali. Educare alla pace significa educare alla complessità, alla responsabilità e alla storia: perché comprendere Hiroshima, Chernobyl, il disastro di Fukushima significa capire la fragilità strutturale del nostro mondo.
L’educazione alla pace – come insegnano Danilo Dolci, Aldo Capitini, Johan Galtung – non è un’utopia moralistica, ma un progetto culturale concreto che include la gestione nonviolenta dei conflitti, l’empatia, l’ascolto, la cooperazione internazionale e la costruzione di relazioni tra popoli.
Il ruolo dei giovani: protagonisti e non spettatori
I giovani, oggi più che mai, hanno un ruolo cruciale. Non solo perché erediteranno il pianeta, ma perché gli ultimi decenni hanno dimostrato che i movimenti giovanili sono capaci di cambiare davvero l’agenda politica: Fridays for Future ha imposto la crisi climatica nei dibattiti internazionali; i movimenti per la pace degli anni Ottanta contribuirono alla firma del trattato INF tra Reagan e Gorbaciov; le mobilitazioni studentesche latinoamericane hanno riaperto il discorso sul disarmo.
I giovani possono essere, come scrive Bobbio, “i custodi del futuro”, gli unici capaci di spezzare l’assuefazione alla guerra. Possono farlo attraverso l’attivismo, la partecipazione civica, la leadership nei movimenti per il disarmo, l’impegno nelle scuole e nelle università. La pace non è mai stata un’eredità: è una conquista.
Responsabilità collettiva nella stagione del rischio globale
Le tesi di Bobbio ci obbligano a prendere posizione, oggi più che mai. L’atomica non è un tema per specialisti: è una questione democratica, culturale, civile. La sopravvivenza dell’umanità, come scriveva, non può essere delegata agli esperti militari o alle potenze nucleari. È compito di ciascuno di noi.
“Sentirsi tutti obiettori” significa assumere la responsabilità di costruire un mondo in cui la vita, la pace e la dignità dell’essere umano non siano sacrificabili. È la sfida più grande della nostra epoca. E riguarda tutti noi.
Da Farodiroma.it
Laura Tussi
Docente, giornalista e scrittrice, si occupa di pedagogia nonviolenta e interculturale. Ha conseguito cinque lauree specialistiche in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e dell'educazione. Coordinamento Italia Campagna Internazionale ICAN - Premio Nobel per la Pace 2017 per il disarmo nucleare universale, collabora con diverse riviste telematiche tra cui Pressenza, Peacelink, Ildialogo, Unimondo, AgoraVox ed ha ricevuto il premio per l'impegno civile nel 70esimo Anniversario della Liberazione M.E.I. - Meeting Etichette Indipendenti, Associazione Arci Ponti di Memoria e Comune di Milano. Autrice dei libri: Sacro (EMI 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009), Il dovere di ricordare (Aracne 2009), Il pensiero delle differenze(Aracne 2011), Educazione e pace (Mimesis 2012), Un racconto di vita partigiana - con Fabrizio Cracolici, presidente ANPI Nova Milanese (Mimesis 2012), Dare senso al tempo-Il Decalogo oggi. Un cammino di libertà (Paoline 2012), Il dialogo per la pace. Pedagogia della Resistenza contro ogni razzismo (Mimesis 2014), Giovanni Pesce. Per non dimenticare (Mimesis 2015) con i contributi di Vittorio Agnoletto, Daniele Biacchessi, Moni Ovadia, Tiziana Pesce, Ketty Carraffa, Antifascismo e Nonviolenza (Mimesis 2017), con Alfonso Navarra, Adelmo Cervi, Alessandro Marescotti. Collabora con diverse riviste di settore, tra cui: "Scuola e didattica" - Editrice La Scuola, "Mosaico di Pace", "GAIA" - Ecoistituto del Veneto Alex Langer, "Rivista Anarchica". Promotrice del progetto per non dimenticare delle Città di Nova Milanese e Bolzano www.lageredeportazione.org e del progetto Arci Ponti di memoria www.pontidimemoria.it. Qui il suo canale video.






