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Il punto - Il balletto delle "alleanze fragili"
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Immagine: Unsplash.com
Il Risiko mondiale è fatto di tante cose diverse. Sullo sfondo restano i drammi di Gaza e dell’Ucraina, con “filoamericani” e “antagonisti” schierati a difesa degli interessi di sistema, non certo dei diritti umani. Ma altrove le cose si muovono in modo più complesso, spesso scompaginando le carte. Ad esempio: fra i “filoamericani” l’alleanza fra Stati Uniti e Unione Europea appare sempre più fragile. Lo dimostra, fra le tante cose, ciò che accade in Groenlandia.
L’isola, lo sappiamo, è nel mirino del presidente statunitense Donald Trump. A cavallo tra Oceano Artico e Oceano Atlantico settentrionale, è l'isola più grande del Mondo. Geograficamente, bisogna ammetterlo, fa parte del Nord America. Ma la Groenlandia è politicamente europea. È’ regione autonoma della Danimarca. Trump la vuole. La considera strategica in termini militari ed economici, per via delle molte “terre rare” utili alla produzione di tecnologia. Così, si rischia lo scontro. Il governo di Copenaghen, nelle ultime settimane, ha convocato Mark Stroh, l'incaricato d'affari degli Stati Uniti in Danimarca. Lo ha fatto dopo che l'emittente pubblica danese DR ha raccontato di almeno tre americani che stavano conducendo operazioni segrete sull’isola. L’obiettivo era convincere gli abitanti dell’isola - poco più di 57mila, al 90% di origine indigena - a separarsi dalla Danimarca e ad unirsi agli Stati Uniti. I tre statunitensi sarebbero persone vicine a Trump. Le loro presunte attività sono la compilazione di elenchi di groenlandesi favorevoli a Trump e la raccolta di informazioni sulle tensioni tra Danimarca e Groenlandia.
Il primo ministro danese Mette Frederiksen ha spiegato a Stroh che “qualsiasi ingerenza negli affari interni del regno di Danimarca e nella democrazia groenlandese è inaccettabile". Gli Stati Uniti, da parte loro, non hanno smentito in alcun modo la televisione danese. Gli esperti di diplomazia garantiscono che la convocazione di un diplomatico statunitense da parte del governo danese è evento raro ed è segno di una protesta forte, vigorosa. Recentemente, era accaduto quando era stato convocato l'ambasciatore statunitense, in risposta a un articolo del Wall Street Journal che suggeriva che le agenzie di intelligence statunitensi erano state incaricate di indagare sul movimento indipendentista e sul potenziale delle risorse della Groenlandia.
Insomma, la tensione c’è ed è alta. La Groenlandia, terra formalmente della Nato, potrebbe diventare ragione di scontro nell’alleanza. Altrove le cose si muovono su linee differenti: ad esempio, in Asia. Qui dobbiamo registrare, lo scorso 20 agosto, il primo test missilistico indiano dell’anno. Hanno provato un razzo che si chiama Agni-V, in grado di trasportare una testata nucleare di 1.000 chili a 5.000 chilometri di distanza, alla velocità supersonica di 30mila chilometri l’ora. Gli esperti dicono: è stata la risposta indiana alla riorganizzazione della difesa nucleare voluta dal Pakistan ad inizio mese. Vero, ma alcuni suggeriscono idee diverse. Il missile è stato testato alla vigilia del viaggio del primo Ministro indiano Narendra Modi in Cina, per il vertice dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO). Il viaggio è arrivato in un momento di disgelo nei rapporti fra i due Paesi, dopo anni di tensione per un confine conteso. Il missile sarebbe stato un “messaggio” per spiegare a Pechino che va benissimo migliorare le relazioni, ma per l’India la Cina resta la maggior minaccia. Una relazione strana e complessa fra due dei Paesi fondatori del Brics, quindi formalmente alleati dell'antagonismo agli Stati Uniti.
E nel balletto delle “alleanze fragili”, una partita fondamentale la sta giocando il genocidio a Gaza. Israele è più isolata di un tempo. Molti alleati europei si stanno smarcando. Fra questi la Francia, che ha deciso di riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina durante la prossima assemblea plenaria delle Nazioni Unite. Una scelta che non piace a Washington e a Tel Aviv. La polemica è feroce. Il presidente Emmanuel Macron ha rimproverato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per averlo accusato di alimentare l'antisemitismo grazie alla scelta di riconoscere la Palestina. Ha definito i commenti “un'offesa alla Francia nel suo complesso". Macron ha risposto al capo del Governo isreliano con una lettera, pubblicata martedì su diversi giornali. Ha spiegato che le recenti accuse di Netanyahu erano "inaccettabili" e ha avvertito che la battaglia contro l'antisemitismo "non deve essere trasformata in un'arma".
Difficile pensare che il governo israeliano, abituato a costruire sul "vittimismo a prescindere” la propria politica, abbia accolto l’invito francese.
Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009.