Animali, Covid e brutte abitudini (ripetute)

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Foto: Unsplash.com

Siamo sull’orlo di un secondo lockdown? Mah, chi lo sa. In generale, assistiamo a un avvicendarsi di totoscommesse, dati di contagi in calo o in crescita a seconda delle voci, di tamponi in calo o in crescita a seconda della convenienza delle versioni da condividere o delle fonti di riferimento. Previsioni, pronostici, scenari apocalittici di economie allo sbando e ridicole polemiche sull’esistenza stessa del virus, mentre la corsa al vaccino riporta in auge una guerra fredda combattuta a suon di provette. Su questo sfondo… mascherine indossate a macchia di leopardo e le stesse persone di sempre – cioè molto poche – che si lavano spesso le mani.

Insomma, di questo Covid19 non ci libereremo presto. Ma non siamo nemmeno i soli a vivere sul filo del rischio. La minaccia del contagio – e di conseguenze non ancora definite – incombe anche su diverse specie di animali, in particolare primati, balene e delfini. Lo sostiene uno studio pubblicato su PNAS (acronimo per Proceedings of the National Academy of Sciences), rivista ufficiale dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti, dedicata a temi, paper e ricerche nel campo della biologia, della fisica e delle scienze sociali. Non proprio gli ultimi arrivati. 

Condotto attraverso l’analisi del genoma di oltre 400 vertebrati, lo studio evidenzia come esistano già, pur se rari, casi di contaminazioni documentate da Coronavirus in gatti, cani e tigriun’equipe di ricerca internazionale ha utilizzato l’analisi genomica per confrontare l’enzima di conversione della proteina Ace2 (angiotensina-2), recettore cellulare per il virus. Nell’uomo sono 25 gli amminoacidi di questa proteina rilevanti a che il virus entri nelle cellule e la previsione è che gli animali che mostrino con l’uomo questa corrispondenza di amminoacidi siano a più alto rischio di contrarre il Covid19. Risultato? I primati e i mammiferi marini sono i più esposti, mentre animali domestici e da compagnia hanno un rischio medio (gatti, bovini, ovini) o basso (cani, cavalli, suini).

Non è ancora chiaro se siano stati i pipistrelli a trasmettere il virus direttamente all’uomo o se a noi sia arrivato tramite uno o più ospiti intermedi: di fatto gli esiti di queste ricerche, oltre a considerare alcuni animali utili come modello di studio, ci indicano anche la necessità dello sforzo di tenere al sicuro gli animali, cosa che, è innegabile, non siamo molto bravi a fare. Basti pensare a una recente indagine di PETA, che si aggiunge a un’altra denuncia di cui anche noi vi abbiamo da poco raccontato.

Questa volta siamo a Bali e protagonisti, loro malgrado, sono le civette delle palme (Paradoxurus hermaphroditus), altrimenti dette zibetti, al centro di una triste tradizione molto apprezzata dai turisti come esempio di folklore locale, ma tragica per la sopravvivenza di questi animali, l’ecosistema e la salute. Si tratta del consumo di caffè kopi luwak, prodotto da bacche mangiate e defecate dai piccoli mammiferi carnivori (1 kg può costare dai 500 ai 900 euro) che, dato non irrilevante, sono inseriti nella convenzione CITES come specie protetta. Ma di protezione qui non beneficiano affatto: rapiti dai loro habitat naturali quando ancora cuccioli e rinchiusi in gabbie minuscole a favore di modaioli “giardini del caffè”, gli zibetti sono condannati a una vita di sofferenza. Niente di naturale e selvatico in questa farsa offerta ai turisti, ma solo allevamenti intensivi nelle condizioni peggiori che possiamo immaginare: sporcizia, degrado, escrementi e bacche in decomposizione aumentano il rischio di infezione delle ferite che molti di questi animali portano sul corpo, a volte autoinflitte da comportamenti ossessivo-compulsivi causati dalla segregazione. Quale connessione con la pandemia? Nel 2003 l’epidemia di SARS, sindrome respiratoria acuta grave, si sviluppò proprio in un mercato in cui si vendevano civette delle palme, che hanno costituito l’ospite intermedio del virus che dal pipistrello è arrivato all’uomo. La storia si ripete ma a noi uomini, a quanto pare, repetita non iuvant.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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