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Materialismo, social media… e tanta solitudine
Salute mentale
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Foto: Unsplash.com
In Mantieni il bacio, testo che riprende e amplia una serie di “lezioni sull’amore” andate in onda all’inizio del 2019 su Rai 3 in un programma televisivo dal titolo “Lessico amoroso”, lo psicanalista Massimo Recalcati scrive: “Il nostro tempo incoraggia la soluzione maniacale del lutto: morto un amore, ne deve subentrare subito un altro. Il nostro tempo è un tempo ostile all’esperienza “improduttiva” e “penosa” del lutto, essendo dominato dal comandamento neolibertino del godimento a tutti i costi. Il ripiegamento su di sé richiesto dal lavoro del lutto appare del tutto anacronistico. Meglio incentivare la sostituzione immediata dell’oggetto secondo lo stile più proprio del discorso capitalista.”
Ho ripescato la citazione esatta perché il significato profondo di questa riflessione è stato il primo aggancio che mi è tornato in mente leggendo di una ricerca condotta da un team di studiosi della Ruhr Universität Bochum, in Germania, e precisamente proprio dalla Facoltà di Psicologia. Il lavoro, curato dal dottor Phillip Ozimek, è partito da un interrogativo: come il materialismo nei social media provoca stress e infelicità?
La domanda ha molto a che fare con le vite intricate che la gran parte degli umani conduce e con quelle che ne sono le vetrine più confuse e immediate, a volte frutto di emozioni elaborate, ma più spesso soltanto espresse ad minchiam (passatemi il latinorum). I canali social.
Lo studio, uscito a gennaio di quest’anno, parte da un assunto: le persone con un assetto mentale materialistico desiderano sempre di più e, soprattutto, più degli altri. Vestiti, macchine, viaggi, follower. I social media garantiscono opportunità ideali di comparazione con gli altri, che rendono questa tipologia di persone suscettibili alle dipendenze o allo sviluppo di tratti caratteriali passivo-aggressivi. Di fatto, stare sui social stressa queste persone in modo esagerato, provocando bassi livelli di soddisfazione rispetto alla propria vita. Una spirale che si muove verso il basso e che trasforma i bisogni materialistici in vite infelici.
Il team di ricerca ha coinvolto nel sondaggio 1.230 partecipanti che dovevano usare almeno un canale social almeno una volta in settimana. In media, i partecipanti hanno affermato di trascorrere sui social poco più di due ore al giorno. Con la somministrazione di 6 diversi questionari, gli studiosi hanno determinato il limite oltre il quale i partecipanti dimostravano attitudini materialistiche e la tendenza a confrontare le proprie vite e abitudini con quelle degli altri, sia che usassero i social in modo passivo che in maniera più attiva, sia che ne fossero pesantemente dipendenti. Ebbene, quando si sono dimostrati stressati e quanta soddisfazione hanno invece espresso per le proprie vite?
“I dati raccolti hanno mostrato che un approccio fortemente materialistico va di pari passo con una tendenza a fare confronti con gli altri”, specifica il dottor Ozimek. E i confronti sono facilissimi da fare sui social media, prevalentemente attraverso un uso passivo, e cioè scollando post e storie e reel delle vite degli altri. Comportamenti che vanno di pari passo con un uso dei social che sfiora, quando non conferma, la dipendenza. Cosa significa? Che gli utilizzatori “pensano costantemente ai propri canali e temono di perdersi sempre qualcosa se non restano continuamente online”.
Abitudini che sono direttamente connesse a un peggioramento della salute mentale, a partire da alti livelli di stress per arrivare a un grado di soddisfazione per la propria vita molto basso e a una grande infelicità. Senza contare che, come rileva la ricerca, i rischi molto concreti dei social sono da un lato quello di estremizzare ancor di più un assetto mentale materialistico, per esempio attraverso il marketing legato agli influencer, e dall’altro quello di crearlo e rinforzarlo attraverso la possibilità a portata di mano di soddisfare bisogni materiali di ogni tipo.
Gli psicologi che hanno condotto lo studio raccomandano ancora una volta l’importanza di ridurre il tempo trascorso online, o di eliminare del tutto i social. Per riprendere le parole di Recalcati, prendersi un tempo di solitudine e di respiro per stare in compagnia di se stessi, sia esso un tempo di godimento e riposo o di doloroso lavoro per superare pesanti traumi relazionali, appare ancora, purtroppo, come una soluzione anacronistica e demodée. Stare sui social vuol dire non essere soli, essere circondati di amici. Ma è davvero così? In ogni caso bisogna fare, dimostrare, possedere, far vedere, far sapere. E tutto ciò ci affatica enormemente, quando già soltanto e semplicemente essere potrebbe essere abbastanza faticoso. Ed estremamente gratificante.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.