In Equilibrio: otto storie per raccontare ai giovani la malattia mentale

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Schizofrenia, ADHD, depressione, anoressia, attacchi di panico, disturbo ossessivo compulsivo, fino al fenomeno tutto nuovo degli hikikomori. I disturbi mentali hanno molti nomi e tante facce quanti sono gli individui che ne soffrono, eppure hanno un elemento in comune: sono spesso “invisibili”, e per questo l’opinione pubblica, le istituzioni, la politica tendono a sottovalutarli rispetto alle malattie più propriamente fisiche. “In equilibrio”, la nuova campagna di Cittadinanzattiva – Tribunale per i diritti del malato, si propone perciò di sensibilizzare e informare le persone, soprattutto i giovani, sul tema della salute mentale e combattere il pregiudizio, lo stigma e le paure che ancora circondano i malati e le malattie mentali. Che sono in forte crescita. Secondo l’Oms i disturbi mentali sono destinati a superare per incidenza le malattie cardiovascolari, attualmente al primo posto, e in Italia ne soffrono 17 milioni di persone. Ma non è con i numeri che Cittadinanzattiva vuole fare breccia nella sensibilità degli italiani sul tema. La campagna “In equilibrio” nasce infatti dall’idea di raccontare la malattia mentale attraverso la narrazione delle persone, del loro vissuto e del loro percorso: Pamela, Aldo, Giuseppe, Giacomo, Laura, Federica, Teresa, Riccardo sono i protagonisti delle otto storie – contenute in un e-book – «scritte per raccontare la fatica e la sofferenza di una diagnosi precoce e di un percorso spesso tortuoso, ma anche la gioia di una rinascita. Otto storie che danno voce a chi, direttamente o indirettamente come familiare, si è visto “cascare addosso” la malattia mentale, e ha avuto la forza di affrontare le proprie paure e ossessioni, sapendo di potercela fare». 

Giacomo ad esempio, ha dovuto aspettare 24 anni prima che gli si diagnosticasse l’ADHD (Deficit di Attenzione/Iperattività). A raccontare la sua storia è la madre che invano ha trascorso anni a lottare contro la resistenza del proprio bambino a eseguire anche il più semplice dei compiti. “Gli psicologi imputavano tutto ad una disistima che gli impediva la concentrazione” scrive. Era già adulto quando, grazie a un colloquio con uno psichiatra che ha finalmente diagnosticato il disturbo, Giacomo ha potuto cominciare un percorso, in cui «la rete familiare, i pediatri, gli insegnanti» hanno giocato un ruolo centrale. C’è Pamela, che è stata anoressica per oltre 20 anni, fino a che non è arrivata in un centro ABA (Associazione Bulimia Anoressia) «accolta non come una paziente ma come una persona, con tutta l’umanità possibile», dove ha capito come provare a ricominciare a prendersi cura di sé. Giuseppe invece, dopo il suo primo attacco di panico, ha vissuto nel terrore per mesi fino a mettere a rischio il proprio lavoro e il rapporto con la moglie. E’ stata la moglie stessa ad accompagnarlo infine presso un Centro di Salute Mentale, dove Giuseppe ha potuto cominciare percorso di psicoterapia individuale e di gruppo, unita alla terapia farmacologica. 

Proprio il Centro di Salute Mentale torna spesso nei racconti dei protagonisti, loro stessi vittime del pregiudizio che circonda tali luoghi. «Non era piacevole varcare quel cancello – racconta ad esempio Laura, che dopo un’esperienza universitaria difficile e la fine di un amore importante è caduta in depressione – Mi vergognavo, temevo di essere vista e di essere considerata “matta”, strana, da evitare o addirittura pericolosa». Eppure proprio l’accoglienza in questi centri, presso le Asl, i Consultori, le associazioni specializzate, sono spesso il primo passo verso un percorso positivo, che sia il famigliare a richiederlo per capire come essere d’aiuto, o il malato stesso. «Anche a mio marito è stata offerta la possibilità di una consulenza psicologica. I familiari hanno bisogno di risposte, non sanno come arrivare a noi» racconta ancora Pamela. Non a caso, sotto ogni storia sono presenti i contatti e i numeri di telefono utili a cui le persone si possono rivolgere per trovare aiuto. Percorsi spesso lunghi, duri e dolorosi, a cui si aggiunge il fatto che i buoni servizi, come spesso accade, si concentrano in modo diseguale a livello geografico. Per questo anche la politica è chiamata in causa, affinché ponga più attenzione al tema.

«La realtà del nostro Paese, sia pure nelle sue difformità e con le sue eccellenze anche in questo ambito, ci rivela invece che il mondo della salute mentale è pieno di bisogni inespressi e insoddisfatti, – ha dichiarato Francesca Moccia, vice segretario generale di Cittadinanzattiva – di servizi scarsamente diffusi e capaci di prendersi cura delle persone, del progressivo impoverimento in cui si trovano ad operare i Dipartimenti di salute mentale, di abusi e rischi di istituzionalizzazione, ma anche più in generale di poca attenzione alla prevenzione dei disturbi e delle malattie che sono invece in grande aumento». A questo si aggiunge lo stigma, che ancora rappresenta un grande ostacolo per chi vive, direttamente o accanto a un familiare, l’esperienza del disturbo mentale. Per questo la campagna di Cittadinanzattiva (che nell’e-book comprende anche un paragrafo finale sulla salute mentale in carcere) si prefigge come obiettivo quello di raggiungere le persone, i giovani, utilizzando messaggi elaborati con rappresentanti di associazioni civiche e di pazienti, istituzioni, società scientifiche. Sostenuta da Angelini Pharma, ha già iniziato a diffondersi attraverso i canali social dell’associazione e promotrice e dei numerosi partner. «E’ Un tema che riguarda tutti noi, perché ognuno di noi potrebbe trovarsi a doverlo affrontare per un familiare, un amico, o per sé stesso – spiega Silvana Galderisi, Past President della European Psychiatric Association (EPA) e professore ordinario di Psichiatria presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli – Almeno una persona su tre soffre di un disturbo mentale nell’arco della propria vita. Questo è qualcosa che a livello mondiale continua a non ricevere un’adeguata attenzione».

Anna Toro

Laureata in filosofia e giornalista professionista dal 2008, divide attualmente le sue attività giornalistiche tra Unimondo (con cui collabora dal 2012) e la redazione di Osservatorio Iraq, dove si occupa di Afghanistan, Golfo, musica e Med Generation. In passato ha lavorato per diverse testate locali nella sua Sardegna, occupandosi di cronaca, con una pausa di un anno a Londra dove ha conseguito un diploma postlaurea, sempre in giornalismo. Nel 2010 si trasferisce definitivamente a Roma, città che adora, pur col suo caos e le sue contraddizioni. Proprio dalla Capitale trae la maggior parte degli spunti per i suoi articoli su Unimondo, principalmente su tematiche sociali, ambientali e di genere. 

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