I campi delle streghe che soffrono di demenza

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Questa foto è parte di un progetto personale che ha l’obiettivo di portare l’attenzione a storie spesso ignorate di demenza nel continente africano. Con l’aumento dell’aspettativa di vita, la demenza sta diventando un problema di salute pubblica, ma anche socio-culturale. La tendenza è che il numero di persone che convivono con la demenza dell’Africa sub-Sahariana raddoppi nei prossimi 20 anni. Mentre i decisori politici sottolineano le tendenze alla cura, al trattamento e alla prevenzione, molto meno peso viene dato alla percezione culturale di questa condizione.

Sono le parole che si leggono nella pagina di World Press Photo per “The big forget” della fotografa Lee-Ann Olwage, vincitrice dell’edizione 2023 proprio con una serie di immagini dedicate a questa sofferenza silenziosa. 

In tutta l’Africa sub-Sahariana capita spesso che le persone che manifestano sintomi di demenza, come pronunciare frasi confuse o imprecazioni incontrollate e vagare disorientate, siano viste da chi è radicato in forti credenze tradizionali come inequivocabili segni di atti di stregoneria. E, come purtroppo in molti altri ambiti, nelle zone rurali alle donne tocca la sorte peggiore, perché ne sono accusate molto più spesso degli uomini. 

Nel caso del Ghana, per esempio, le donne affette da demenza, soprattutto anziane, vengono costrette a fuggire o ad allontanarsi dalla famiglia per vivere in quelli che vengono chiamati “i campi delle streghe”, luoghi controversi che, se da un lato offrono rifugio e protezione dalle violenze, dall’altro ghettizzano una categoria di persone stigmatizzandone la malattia e rendendole doppiamente vittime perché spesso coinvolte in rituali di purificazione ed esorcismi dai quali i capi campo guadagnano parecchi soldi. Di fatto sono luoghi di reclusione, dove moltissime donne vivono succubi della superstizione legata alla salute mentale, considerata dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), un diritto umano universale. E che porta a galla temi globali come il declino psichico conseguente all’invecchiamento, i diritti violati dei malati e la percezione sociale di questa condizione della quale soffrono oltre 50 milioni di persone nel mondo e più del 60% vivono in Paesi a basso/medio reddito. Numeri destinati a crescere proporzionalmente all’invecchiamento della popolazione mondiale.

Quella che si verifica in Ghana è una situazione molto grave, non solo per le violenze perpetrate sulle donne e per la discriminazione di genere che isola per lo più le “witch”, le streghe, e pochissimi stregoni, ma anche perché esclude queste persone dalla vita comunitaria e le discrimina impedendone l’accesso alle cure. Le donne, all’interno di un problema che non fa differenze di genere, subiscono la sorte peggiore proprio a causa degli stereotipi e della vulnerabilità che sperimentano le anziane, le ragazze madri o quelle divorziate o sole, rendendole bersagli molto più fragili. E purtroppo la chiusura dei campi non è la soluzione più scontata, come emerge da un report di ActionAid UK: proprio perché luoghi controversi, sono anche zone dove le persone si sentono al sicuro e a volte si auto-esiliano per salvarsi la vita o per evitare di subire violenze o persino la morte.

Una strada che si sta provando a percorrere è quella di accompagnarne il ritorno nelle famiglie attraverso un Go Home Project, con l’obiettivo di reintegrare in sicurezza queste persone in un contesto di comunità dove mancano geriatri e psichiatri. Ecco perché sembrano gli infermieri le figure più indicate per affrontare questa dimensione così complessa e radicata: sensibili al tema e consapevoli di credenze millenarie che non possono essere resettate alla luce del solo progresso della scienza, essi operano nelle comunità rurali dove le condizioni di povertà estrema e i livelli di istruzione molto bassi peggiorano la situazione. Qui si fanno spesso carico dei problemi tenendo conto delle diverse dimensioni che si intersecano e lavorano per potenziare la formazione e l’educazione alla demenza, nel tentativo di ridurre il più possibile lo stigma che si abbatte su chi già soffre di patologie mentali, demenza o perfino menopausa. Persone che conoscono da vicino i dettagli della propria cultura, e che dall’interno cominciano a muovere passi per cambiarla senza rivoluzionarla.

Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.

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