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Grecia: violenze, menzogne e respingimenti
Salute mentale
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Foto: Unsplash.com
Detenuti illegalmente, maltrattati, respinti con la violenza: il rapporto di Amnesty International "Greece: Violence, lies and pushbacks" denuncia ancora una volta gravi violazioni dei diritti dei migranti in Grecia. Un'intervista ad Adriana Tidona, ricercatrice dell'ufficio Europa di Amnesty.
Dal vostro rapporto Greece: Violence, lies and pushbacks emerge che prosegue il respingimento illegale delle persone in movimento, con uso di detenzione arbitraria e trattamenti inumani. Quanti casi avete analizzato e quali sono state le modalità dei respingimenti?
Abbiamo documentato 21 casi, 19 relativi a respingimenti via terra e due via mare. Abbiamo voluto tenere l’attenzione prevalentemente sui respingimenti via terra perché c'erano più elementi per individuare una modalità operativa comune. Nel racconto delle vittime si individua una prima fase: una volta arrivate in Grecia, sono state fermate in luoghi più o meno lontani dal confine e tratte in arresto da individui in uniforme - che hanno identificato come poliziotti o militari per via del loro atteggiamento oltre che per l’abbigliamento.
In una seconda fase, le modalità erano due: alcune persone (più della metà dei casi che abbiamo intervistato) sono state tratte in arresto e portate in un luogo di detenzione, per alcune ore ma anche per più di un giorno; altre, sono state riportate direttamente alle sponde del fiume Evros e trasportate attraverso il fiume direttamente in Turchia.
Tutti gli intervistati raccontano che all'arresto sono stati perquisiti, con la confisca di cellulari ed effetti personali, in alcuni casi anche i documenti oltre a beni di prima necessità come cibo e pannolini per bambini e neonati.
Nei 12 casi che hanno subito la detenzione, si è trattato di detenzione cosiddetta incommunicado cioè arbitraria. Il fermo e la detenzione non sono stati registrati e sono avvenuti con procedure illegali: alle vittime non è stato dato accesso ad avvocati, alla possibilità di fare telefonate o di essere informati su cosa sarebbe loro accaduto. Inoltre, sono stati detenuti in condizioni igienico-sanitarie inadeguate, con grave sovraffollamento e senza alcun dispositivo di protezione esponendoli al rischio di contagio da Covid-19.
In molti casi, durante le ore della sera o di notte sono stati poi portati, trasportati su veicoli o in alcuni casi a piedi, fino al fiume Evros. Nelle testimonianze emerge l’uso di grande aggressività e, soprattutto sulle sponde del fiume, l’uso di maltrattamenti inumani e degradanti fino a casi che si possono definire di tortura. I perpetratori vengono descritti in uniforme o vestiti di nero, e spesso con il capo coperto dal balaclava [passamontagna a copertura integrale, che lascia scoperti solo occhi e la bocca, ndr]. Il guado del fiume è avvenuto in barche e gommoni in genere di piccola dimensione, guidati da uomini in abiti civili e non dalle stesse persone in uniforme che hanno gestito le operazioni precedenti. Alcune vittime sono state addirittura obbligate a guadare parte o tutto il fiume a piedi e a nuoto, esponendoli al rischio di annegamento o congelamento.
In alcuni casi gli intervistati sono stati in grado di indicare il luogo di detenzione: uno nella zona di Poros, in precedenza già denunciato in inchieste del New York Times , uno nella zona di frontiera di Tychero, una stazione di polizia nella cittadina di Komotini e un centro di polizia portuale di Igoumenitsa.
Può descriverci alcuni casi?
In quattro casi le persone sono state arrestate in luoghi che si trovano all'interno del territorio greco e anche molto lontani dal confine dell’Evros. È la storia di Nabil, respinto e portato in Turchia pur essendo un richiedente asilo con status registrato nel paese. In un altro caso, quello di Hassan, siriano, nonostante possedesse lo status di rifugiato e dunque la protezione internazionale è stato fermato nella città di Alexandropouli e deportato in Turchia.
Rima e Tariq, giovane coppia siriana con due bimbi piccoli, sono stati deportati a partire dal campo per rifugiati nella zona di Drama. Ancora una volta lontani dal confine, e giorni dopo essere arrivati in Grecia. Quindi non si tratta in nessuno di questi casi di respingimenti nell’immediata vicinanza dell’Evros.
La maggior parte degli intervistati ha dichiarato di aver subito direttamente violenza o di averla vista usare nei confronti di altri del gruppo di cui facevano parte: colpi di manganello, pugni, schiaffi, calci. I casi più brutali di violenza sono avvenuti poco prima del respingimento, ma altri atti di violenza sono avvenuti anche durante l’arresto o la detenzione.
Uno dei casi che meglio spiega la gravità delle pratiche usate è quello di Saif, siriano di 25 anni, il cui respingimento è avvenuto nell'agosto 2020. Il gruppo di 60 persone con cui viaggiava è stato soggetto a un'imboscata da parte di tre uomini in uniforme nera con passamontagna sul viso e un pastore tedesco. Sono stati obbligati a sdraiarsi a pancia in giù, dopo aver consegnato tutti gli effetti personali. Poi, obbligati a mettersi in ginocchio, sono stati colpiti ripetutamente sui polpacci. E Saif ci ha consegnato documentazione fotografica delle violenze.
Un uomo è stato colpito con estrema violenza per aver tentato di scappare. In un altro episodio, due uomini afgani hanno provato a scappare ma sono stati presi e colpiti così forte da rompere la colonna vertebrale a uno e la mano all’altro, assistiti e curati poi solo una volta arrivati in territorio turco.
Poi c’è l’episodio raccontato da Lila, 37enne donna palestinese di Gaza. Nel descrivere il respingimento subito nel novembre del 2020 ha raccontato di un uomo che per aver cercato di nascondere addosso il cellulare è stato duramente picchiato con calci e manganelli, poi gettato in acqua nudo e soccorso da altri migranti del gruppo.
L’opinione pubblica è generalmente convinta che i respingimenti siano legali attività di controllo delle frontiere. Può spiegare quali diritti fondamentali vengono invece violati?
Quando si parla di respingimenti illegali, cosiddetti "pushbacks", non stiamo parlando di un esercizio legittimo dei controlli di frontiera. Stiamo parlando di una combinazione di gravi violazioni dei diritti umani, incluse operazioni di tortura che non hanno niente a che fare con il legittimo controllo dell'immigrazione.
L’illegalità dei respingimenti riguarda sia i diritti che vengono negati nel paese di ingresso, sia il trattamento riservato durante i respingimenti. Questo non significa che chiunque arrivi in un paese abbia diritto a ricevere automaticamente protezione o diritto all'asilo, significa che ha diritto ad ottenere nel paese in cui è entrato la valutazione della propria situazione individuale, per stabilire se ha delle ragioni fondate all’ottenimento dell’asilo e se l’espulsione o il rimpatrio verso un certo paese potrebbe esporlo a dei rischi. Questo diritto è implicitamente insito nella proibizione delle cosiddette “espulsioni collettive”, prevista dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo ma anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che sono vincolanti anche per la Grecia in quanto membro UE.
Durante i respingimenti illegali avvengono poi diverse violazioni: del diritto di non essere soggetto a tortura o altro trattamento inumano e degradante; del diritto alla libertà personale e quindi a non essere ingiustamente sottoposto a detenzione; del cosiddetto “diritto procedurale”, cioè il diritto a ricevere informazioni rispetto alla propria condizione; del diritto a richiedere protezione internazionale o asilo. Tutti questi sono sussunti nel diritto al cosiddetto “rimedio effettivo” - protetto sia dalla Convenzione sia dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE - che prevede il diritto a lamentare la violazione dei propri diritti e in base al quale migranti e rifugiati sottoposti a respingimento hanno diritto all'assistenza di un legale e alla possibilità di fare ricorso contro la decisione di rimpatrio. Ma nessuno di questi diritti è stato loro assicurato nei casi da noi documentati...