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Badilisha storie di dipendenza e cambiamento
Salute mentale
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Foto: Andrea Signori ®
Si è aperta ieri a Trento la mostra “Badilisha storie di dipendenza e cambiamento”, è una mostra multimediale che, attraverso gli scatti del fotografo Andrea Signori e il cortometraggio del regista Marzo Zuin, ci racconta le conseguenze di una particolare forma di dipendenza che colpisce il Kenya.
“Chang’aa” significa “uccidimi in fretta”, è il nome di un distillato keniano preparato in casa e ottenuto dalla fermentazione e la distillazione di cereali come miglio, mais e sorgo. Questa bevanda alcolica, assunta anche dai giovanissimi, è diventata una piaga sociale in Kenya perché porta facilmente e velocemente alla dipendenza. Cambiamento, in lingua swahili, si dice invece “badilisha”.
La mostra racconta un percorso di consapevolezza, un cammino di rinascita, una visione di comunità. Per realizzare il progetto artistico della mostra Signori e Zuin si sono recati in Kenya alla fine del 2018, presso il Saint Martin CSA, ideatore e realizzatore dell’iniziativa di supporto alle persone con dipendenza da alcool e droghe, che in Kenya supporta le persone vari tipi di fragilità e vulnerabilità con un approccio comunitario, in collaborazione con la Fondazione Fontana Onlus.
Marco Zuin, film maker e autore, si è dedicato negli ultimi anni alla realizzazione di cortometraggi e documentari sociali che l’hanno portato in giro per il mondo (dalla Russia all’Honduras, dalla Tanzania al Vietnam passando per numerosi Paesi europei), collaborando con Ong, Fondazioni e Onlus: Daily Lydia (2014), La sedia di cartone (2015), Niente sta scritto (2017), Hoa (2018) e Badilisha (2020) sono stati selezionati in numerosi festival in Italia e nel mondo, ottenendo visibilità e premi. Alla base del suo approccio al cinema e al documentario c’è l’idea di sociale inteso come socialità e attenzione al senso di comunità.
Andrea Signori, fotoreporter freelance, contributor dell’agenzia Parallelozero, ha maturato il suo interesse per il mestiere di fotoreporter si è evoluto osservando i fenomeni che legano l’uomo al territorio, nei suoi legami più profondi, realizzando lavori in Italia, Africa, est Europa, Medioriente e Sud America. I suoi reportage sono pubblicati nelle più importanti riviste italiane e internazionali.
Abbiamo posto a loro alcune domande.
Andrea cosa hai cercato di esprimere nelle tue fotografie? Cosa sei andato a cercare? Oppure è stata la realtà che ti è venuta incontro ?
L’intenzione era quella di definire, oltre al fatto in sé, l’ambientazione e l’atmosfera nelle quali le persone affette da dipendenza vivevano. Sono andato a cercare la loro intimità, con profondo rispetto, provando a scorgere dei bagliori che potessero dare loro una piccola prospettiva. Il lavoro l’avevo già immaginato prima di partire. Poi si trattava di fare i conti con la realtà e adeguare l’idea di racconto a ciò che trovavo.
Nelle tue foto compaiono spesso volti di persone che colpiscono per un senso di sofferenza. Era questa la tua intenzione?
Sì, semplicemente perché è quello che vivevano gran parte delle persone al momento del nostro incontro e delle nostre frequentazioni. Ricordo anche qualche risata o sprazzi di serenità ma sempre adagiati su un fondo di solitudine e disperazione. Il tutto ambientato in scenari spesso apocalittici.
Che cosa ti ha impressionato di più della realtà delle dipendenze in Kenya?
Devo dire, nonostante mi ritenga una persona ottimista, l’irrecuperabilità di alcune storie e situazioni. I casi più gravi sembravano svuotati di qualsiasi parvenza umana. Parlavo con loro ma sembravano appartenere ad una specie proveniente da un altro pianeta. Di contro ho visto anche una forte reazione, in alcuni casi, da parte della famiglia o della comunità. Alcuni figli o genitori hanno vissuto soprusi indescrivibili trascinati da un amore incondizionato.
E tu Marco cosa hai descritto nel tuo cortometraggio? Quale messaggio vorresti far passare?
L'idea era di mettersi in ascolto di esperienze da più punti di vista: di chi ha attraversato o è ancora dentro una dipendenza, della loro famiglia, di chi li ha aiutati e della comunità che si fa carico di trovare una soluzione. Avevamo l'occasione di farci raccontare storie personali per vedere oltre le differenze geografiche e sociali, per accorgersi come i meccanismi di dipendenza siano molto simili.
Le persone hanno fatto fatica a farsi riprendere? Hai dovuto girare tanto materiale per arrivare a quello che cercavi?
Abbiamo girato numerose interviste, ascoltato molte testimonianze: questo è stato possibile solo grazie al supporto locale del Saint Martin che, attraverso i suoi operatori, ha un rapporto stretto e diretto con le persone coinvolte. Abbiamo creato un piccolo set cinematografico in cui le persone non erano sotto i riflettori ma in un luogo astratto, essenziale ed intimo, grazie al fondale dipinto dall'artista locale Sam Kariuki.
Due domande per ambedue: In tempi di pandemia, quando anche noi abbiamo molti problemi, che senso ha testimoniare una realtà così lontana da noi? Oppure non è poi così lontana…
Andrea Signori: Trovo che l’avvento della pandemia e alcune caratteristiche che ho documentato in Kenya abbiano delle caratteristiche sovrapponibili. Una su tutte la diffusione di una piaga. Come la pandemia la dipendenza si propaga in maniera incontrollata (salvo trovare rimedi successivamente) ed è determinata, per buona parte, dal nostro modo di stare insieme e dal tessuto sociale e ambientale nel quale viviamo. Su quest’ultimo partiamo generalmente da una situazione di vantaggio. Studiare dunque e analizzare il metodo di diffusione di un disagio sociale in una realtà pur lontana dalla nostra e viceversa aumenta le capacità di previsioni di sviluppo di un fenomeno. Poi c’è l’aspetto degli ultimi, già dimenticati prima della pandemia, ora totalmente oscurati avendo i riflettori puntati sulle nostre difficoltà. Per cui sì, forse è ancora più indispensabile ora testimoniarlo.
Marco Zuin: Quando siamo immersi nei nostri problemi, che siano personali, familiari o nazionali, è automatico chiudersi, pensare a sé senza riuscire a coinvolgere l'altro. Ci si isola, come accade alle persone che abbiamo intervistato in Kenya. Riuscire a guardarsi attorno, accettare di condividere le fragilità e aprirsi anche alle difficoltà altrui, anche a distanza, non è un segno di debolezza ma un modo per non sentirsi soli. Provare empatia, essere coinvolti emotivamente. Far prevalere il senso del noi e non dell'io. Insomma restare umani.
Il titolo della mostra richiama al cambiamento, ma si può davvero cambiare in contesti così difficili?
Marco Zuin: Questa è una grande domanda alla quale non so dare una risposta. Quello che ho intuito è che condividendo la propria esperienza si fa un primo passo, accettando di farsi aiutare. A Nyahururu (città in cui è stato realizzato il progetto, ndr) il contesto sociale è in rapido mutamento, è una città che sta vivendo una crescita e chi fa fatica ad adeguarsi a ritmi diversi si trova in difficoltà. Ma succede lì come qui da noi.
Andrea Signori: Se si affrontano alcuni casi la risposta, di primo acchito, sarebbe no. Ma se si pensa a una dimensione più globale dove ogni gruppo vive in equilibrio sulla bilancia che determina il bene e il male e si provvede ad azioni che propendono per il bene allora sì, pur accettando il fatto che la natura umana ha insita anche una parte negativa. D’altronde il bene, come il male, è un motore che va alimentato e determina una reazione incontrollabile e spesso sorprendente.
Articolo parzialmente apparso sul quotidiano “Trentino”
Piergiorgio Cattani

Nato a Trento il 24 maggio 1976. Laureato in Lettere Moderne (1999) e poi in Filosofia e linguaggi della modernità (2005) presso l’Università degli studi di Trento, lavora come giornalista e libero professionista. Scrive su quotidiani e riviste locali e nazionali. Ha iniziato a collaborare con Fondazione Fontana Onlus nel 2010. Dal 2013 al 2020 è stato il direttore del portale Unimondo, un progetto editoriale di Fondazione Fontana. Attivo nel mondo del volontariato, della politica e della cultura è stato presidente di "Futura" e dell’ “Associazione Oscar Romero”. Ha scritto numerosi saggi su tematiche filosofiche, religiose, etiche e politiche ed è autore di libri inerenti ai suoi molti campi di interesse. Ci ha lasciati l'8 novembre 2020.