Social Network: luci e ombre sulla salute mentale

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Immagine: Unsplash.com

Un utente medio guarda lo smartphone una volta ogni 6 minuti. Una smania di essere connessi che rischiava, fino a non molto tempo fa, di penalizzare la nostra vita sociale. Oggi, invece, ci sono pochi dubbi sul fatto che internet sia un alleato in un momento di epidemia. Ma è bene fare attenzione alle luci e ombre, soprattutto nell’utilizzo dei social network che, secondo molti studi, possono impattare negativamente sul benessere mentale dei più giovani (e non solo).

L’”alleato” internet ci permette, in questi giorni di restrizione nei rapporti sociali, di avere una “finestra sul mondo” e di accorciare le distanze. La “rete” ci aiuta a non fermarci, pensiamo allo smart working e alle lezioni scolastiche on line. Abbiamo app e video che ci guidano nell’attività sportiva in casa e ci aiutano a sperimentare nuove ricette; musei e media hanno rafforzato l’accessibilità e la diffusione on line. In queste nuove abitudini quotidiane rientra anche il già consolidato utilizzo dei social network, che ora si configurano quale principale modalità di interazione sociale. 

Tuttavia, esistono documentate “ombre” rispetto all’impatto dei social media sulla salute mentale. Esaustive, ad esempio, sono una ricerca pubblicata su The Lancet (consultabile in un articolo qui) e la ricerca pubblicata nel 2017 dalla Royal Society for Public Health (il Data team dell'Economist.com ha elaborato un bel grafico che fotografa i risultati della ricerca). Quest’ultima ricerca, realizzata tra i giovani britannici, ha indagato l’influenza sul benessere mentale dei giovani tra i 16 e i 24 anni, dei più popolari social network - Instagram, SnapChat, Facebook, Twitter e YouTube - partendo dalla constatazione che il 91% delle persone in questa fascia di età utilizza internet principalmente per i social network. 

Il social più “negativo” è risultato essere Instagram, poi troviamo SnapChat, Facebook e Twitter; mentre il “migliore” sarebbe YouTube, che è l'unico social media ad ottenere più segni positivi che negativi (su questo social media vi sarebbe maggiormente accesso alle esperienze positive di altre persone e di esperti del benessere come, ad esempio, video motivazionali). Per i giovani in questa fascia di età, i social fanno bene in termini di espressione di sé e di possibilità di “fare gruppo”ma fanno male perché aumentano sintomi di ansia e depressione e riducono le ore e la qualità del sonno. Gli stessi giovani intervistati affermano che vivere troppe ore sui social peggiora situazioni depressive.

Molto del disagio ha a che fare con i sentimenti di inadeguatezza che sono molto comuni in età adolescenziale. Per esempio, vedere foto - spesso modificate - di corpi perfetti può acuire questi sentimenti di inadeguatezza. Per quanto riguarda la percezione del corpo, Instagram mostra di essere il social “peggiore”: il confronto, per un adolescente, non regge mai. 

Un altro fenomeno molto studiato è quello de FoMO - Fear of Missing Outè l’ansia da esclusione socialela paura di non vivere al meglio come gli altri. Tale ansia si scatena, ad esempio, nel vedere delle foto di amici che si divertono in vacanza, alimentando il sentire che si sta perdendo qualcosa. L’acronimo FOMO è stato coniato qualche anno fa per descrivere un disordine psicologico causato dall'uso troppo frequente della tecnologia. Lo scienziato sociale Andrew Przybylski dell'università di Oxford è stato il primo a dare una definizione completa della FOMO. Come si legge sul suo sito: la FOMO è la forza che guida l'uso dei social media ed è legata ad un rapporto ambiguo con essi; i livelli di FOMO sono più alti nelle persone giovani e sono influenzati dalle circostanze sociali; bassi livelli di considerazione della propria vita coincidono con alti livelli di FOMO.

La FOMO è sempre esistita, ma l'avvento dei social network ha peggiorato questa paura. Gli utenti possono essere letteralmente consumati dal bisogno ossessivo di controllare ciò che gli altri fanno. Un bisogno che, se non viene soddisfatto, può causare una vera e propria "crisi di astinenza".  Allora, come arginare il problema? Impedire l’uso dei social network è impossibile. L’unica strada è quella di rafforzare il ruolo delle famiglie e delle scuole nel confronto quotidiano con gli adolescenti. Ma il vero problema è ancora a monte: il gap spesso molto ampio fra genitori e figli sulla conoscenza della tecnologia, finisce per alimentare il solco generazionale e la non comunicazione.

Forse dovremmo partire da lì, dall’educazione tecnologica degli adulti (che è molto di più che avere un profilo Facebook o Instagram). 

Lia Curcio

Sono da sempre interessata alle questioni globali, amo viaggiare e conoscere culture diverse, mi appassionano le persone e le loro storie di vita in Italia e nel mondo. Parallelamente, mi occupo di progettazione in ambito educativo, interculturale e di sviluppo umano. Credo che i media abbiano una grande responsabilità culturale nel fare informazione e per questo ho scelto Unimondo: mi piacerebbe instillare curiosità, intuizioni e domande oltre il racconto, spesso stereotipato, del mondo di oggi.

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