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Pena di morte: una giornata per abolire una pratica inumana
Malattie dimenticate
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Si è celebrata ieri in tutto il mondo la "Giornata mondiale contro la pena di morte". Sono ancora 83 i paesi che rifiutano di seguire la tendenza mondiale verso l'abolizione della pena di morte, tra cui Usa, Giappone, Cina, Nigeria, Iran, Arabia Saudita e Uzbekistan. Alcuni di questi paesi continuano persino a mandare a morte minorenni all'epoca del reato.
La Giornata mondiale contro la pena di morte è stata organizzata dalla Coalizione mondiale contro la pena di morte, un movimento di cui fanno parte sindacati, organismi legali, autorità locali e associazioni per i diritti umani - compresa Amnesty International - che si battono per l'abolizione universale della pena capitale.
"La morte non è uno strumento di giustizia e la pena capitale ne è un esempio evidente, poiché viola le fondamenta stesse dei valori e della dignità dell'essere umano" - ha dichiarato Karen Hooper, coordinatrice della Campagna per l'abolizione della pena di morte delle Sezione Italiana di Amnesty International. "Il fatto che gli Stati eseguano ancora condanne a morte rappresenta un oltraggio. Nessuna ricerca ha dimostrato che la pena di morte serva a combattere la criminalità: al contrario, essa alimenta una cultura di violenza e pertanto non trova alcun posto in una società moderna che intenda rispettare i valori dei diritti umani."
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Amnesty International ha chiesto all'opinione pubblica mondiale di sottoscrivere la petizione che sollecita i governi a porre immediatamente fine alle esecuzioni.
"Il mondo sta facendo sempre maggiori passi avanti per liberarsi dalla pena di morte, ma rimane ancora molto da fare" - ha aggiunto Hooper.
Settantasei paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati, mentre altri 16 l'hanno abolita per tutti i reati salvo quelli eccezionali. Ulteriori 20 paesi sono abolizionisti "nella pratica", poiché non eseguono più condanne a morte. L'ultimo paese ad aggiungersi alla lista dei paesi abolizionisti è stato l'Armenia, che a settembre ha ratificato il Protocollo 6 alla Convenzione europea sui diritti umani, un trattato internazionale che abolisce la pena di morte in tempo di pace.
"Nonostante l'evidente tendenza mondiale verso l'abolizione, purtroppo alcuni paesi continuano a mandare a morte uomini e donne mediante iniezione letale, impiccagione, plotone d'esecuzione e persino la lapidazione" - ha denunciato Hooper.
Nei primi nove mesi del 2003 gli Usa hanno mandato a morte 57 persone. Le esecuzioni in Iran sono state almeno 83 e non meno di 40 quelle in Arabia Saudita. Nel 2002 Amnesty International aveva accertato 1.526 esecuzioni in 31 paesi, 1.060 delle quali in Cina, dove peraltro la pena di morte è un segreto di Stato e i dati disponibili rappresentano una piccola frazione della dimensione effettiva del fenomeno.
In un rapporto diffuso ieri e intitolato "Africa occidentale: è giunto il momento di abolire la pena di morte", Amnesty International illustra la situazione della pena capitale in sedici paesi di questa regione: negli ultimi dieci anni tre di essi hanno abolito la pena di morte e solo quattro hanno eseguito condanne a morte. Il rapporto descrive inoltre il dibattito e le iniziative per riformare i codici penali in corso nella regione.
"È un buon segnale che molti dei paesi dell'Africa occidentale non abbiano eseguito condanne a morte nell'ultimo decennio. Ora tutta la regione deve compiere il passo decisivo e abolire la pena capitale sia nelle leggi che nella pratica" - ha commentato Hooper.
Ma sono ancora 83 i paesi che rifiutano di seguire la tendenza mondiale verso l'abolizione della pena di morte, tra cui Usa, Giappone, Cina, Nigeria, Iran, Arabia Saudita e Uzbekistan. Alcuni di questi paesi continuano persino a mandare a morte minorenni all'epoca del reato.
Ad aprile, in Oklahoma (Usa), Scott Hains è stato mandato a morte per un reato commesso quando aveva solo 17 anni. Alla fine dello scorso mese di settembre, nelle Filippine, Christopher Padua, Ronald Bragas, Elmer Butal, Ramon Nicodemus, Saturani Panggayong e Roger Pagsibigan - tutti condannati a morte per reati commessi quando avevano meno di 18 anni - erano in attesa dell'esecuzione. A maggio un quindicenne, Al-Taher Ahmad Hamdan, è stato condannato a morte in Sudan.
Amnesty International è inoltre preoccupata per il drammatico aumento dell'uso della pena di morte in Vietnam, dove quest'anno secondo stime ufficiali sono state condannate a morte 80 persone. In Cina, il paese in cui nel corso del 2002 è stato mandato a morte il maggior numero di persone, il governo ha introdotto i cosiddetti "furgoni itineranti di esecuzione", allo scopo di ottimizzare l'efficienza e ridurre i costi delle esecuzioni.
Nel corso del 2002 Amnesty International ha accertato 3.248 condanne a morte in 67 paesi e 1.526 esecuzioni in 31 paesi, di cui 1.060 in Cina e 113 in Iran. L'organizzazione per i diritti umani ritiene, tuttavia, che l'effettivo numero delle esecuzioni in questi due paesi sia stato molto più elevato. [GB]