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Quando la strada è social
ICT Tecnologie informatiche
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Idee imprenditoriali moltiplicate per (spazi stimolanti + comunità vibranti + eventi ricchi di significato) elevati alla potenza di pratiche collaborative = impatto sostenibile. Diamo i numeri? No. Proviamo a immaginare nuove formule, ricette alchemiche per una vita migliore, per una coesione sociale che difenda il valore di gesti semplici, della condivisione, della generosità trasversale alle strade e alle generazioni, alle culture e ai quartieri.
E prendiamo spunto da un’iniziativa proposta la scorsa settimana a Rovereto (Trento) per parlare di Social Street, Impact Hub e H2O+. Troppe sigle, troppe esperienze, troppe parole nuove?! Avete ragione, e tutte meritano di essere approfondite un po’ di più! Quindi:
#socialstreet: è un’idea che nasce dall’esperienza di un gruppo facebook, alla faccia di chi dice che i social network snaturano i rapporti umani e sostituiscono le relazioni autentiche. Settembre 2013, Bologna. Approfittando della possibilità offerta da Facebook, i residenti di via Fondazza danno vita a un gruppo (riservato a chi vive nella zona) con l’intento di socializzare con i vicini di casa, instaurare legami con altri abitanti della propria strada, condividere bisogni e idee, scambiarsi e mettere in comune professionalità, disponibilità e conoscenze e realizzare progetti di interesse collettivo, traendone benefici altrettanto collettivi perché derivanti da una maggiore interazione sociale. Da quell’esperienza ne nascono molte altre, tra cui anche quella di Rovereto, tutte “mappate” per offrire l’occasione a chi lo desideri di unirsi e partecipare. Costi zero per un’esperienza che, come si legge sul sito, si trasforma da virtuale, a reale, a virtuosa.
#impacthub: qualunque azione che miri ad avere un impatto non avviene in condizioni di isolamento, ma richiede un contributo collettivo. Un centro (hub) di gravità – ma non immobile – attorno a cui gravitano reti di persone, che mette in relazione luoghi e progetti interconnessi che catalizzano l’impatto. Nato a Londra nel 2005, questo è impact hub, un mix intrigante tra laboratorio di innovazione, incubatore di imprenditoria, centro di comunità dove “il cambiamento è al lavoro” per offrire un ecosistema unico di risorse, ispirazioni e opportunità di collaborazione, fondati sulla convinzione che un mondo migliore evolve attraverso una fertile combinazione tra creatività, impegno e solidarietà convogliati verso obiettivi comuni. Ovviamente l’impatto è sociale, territoriale e sostenibile. La rete ha già ottenuto ottimi risultati ed è in continua espansione, mentre aggroviglia il mondo da Amsterdam a Trento, da Johannesburg a Singapore a San Francisco, per un totale di più di 7000 membri in 60 Paesi.
#H2O+: associazione del territorio, che come molte nasce in maniera informale dalla voglia di essere, essere insieme, esserci, stimolare confronti e contaminazioni di arti, culture, conoscenze ed esperienze, sostenendo creatività e criticità, incoraggiando le coscienze alla sostenibilità ambientale, economica, sociale. Con un tratto che contraddistingue e segnala uno sguardo profondo e attento: agire sui processi, lavorare sulle esperienze in divenire, considerare il risultato semplicemente come una delle tappe di un viaggio di comunicazione.
Adesso allora torniamo a noi, alla strada, al quartiere, ai luoghi dove si incardinano le vite disgregate tra lavoro e non lavoro, solitudini e disagi di una postmodernità che inseguiamo senza accorgerci se realmente la desideriamo. Torniamo a quella crisi che ci disorienta i sensi tra televisioni, giornali e discorsi al bar, crisi spesso come sofferenza, più raramente come opportunità per una presa di posizione. Eppure, se nulla è cambiato, la parola crisi deriva ancora da lì, dal greco krino, divido, separo, in qualche modo discerno, valuto, scelgo. E forse proprio da qui ci viene tesa un’alternativa: quella di decidere di restare dove siamo, senza allungare lo sguardo verso fughe tanto più lontane quanto più lontani siamo da noi stessi, volte a inseguire soluzioni facili quanto anonime. Che sia allora proprio questa la possibilità da cogliere? Quella di posizionarci, di renderci soggetti di cittadinanza attiva lì dove stiamo, nei nostri condomini e nelle nostre realtà locali, praticando il singolarmente impraticabile per renderlo collettivamente realizzabile?
La risposta è lì, in quella formula il cui risultato potremmo essere noi.