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Politica e internet, questione di responsabilità
ICT Tecnologie informatiche
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Anche il “partito dei pirati” tedesco rinuncia ad una parte di quella democrazia online che lo caratterizzava: in un voto – molto somigliante a quello di un congresso tradizionale di partito – i delegati hanno sconfessato le proposte dei dirigenti che prevedevano l’obbligo di consultazioni via internet prima di prendere le decisioni più importanti. “La Rete non dà sufficienti garanzie di sicurezza”, è manipolabile e controllabile. Queste le opinioni dei più. Non sono posizioni isolate, anzi. Chi da anni si occupa di questi problemi – che senza dubbio saranno dirimenti per il futuro – sa benissimo che la sicurezza informatica è l’aspetto più critico della rivoluzione digitale in atto. Una questione che investe i controlli dei siti strategici di interesse militare e le traslazioni finanziarie, la segretezza delle email e dei nostri dati personali, la qualità stessa delle nostre relazioni attraverso i social network.
La dimensione virtuale, che però riveste una concretissima influenza sulla vita quotidiana dei singoli e sullo scenario internazionale, resta pur sempre virtuale, eterea, sfuggente. Modificabile con un semplice clic da cui, almeno così si crede illusoriamente, si può tornare indietro quando si vuole, senza dover dare troppe spiegazioni. Di qui un’evidenza che percepisce ogni internauta: la Rete non è il luogo ideale per il confronto ragionato e per la discussione pacata, ma spesso diventa il ring per sfogare sentimenti e pulsioni che nascono e muoiono nel giro di poche ore. Passioni effimere su cui non si può costruire nulla, figuriamoci una proposta politica. Sia ben chiaro: di fronte a classi dirigenti cieche e sorde davanti alle istanze del popolo al quale, in ogni democrazia che si rispetti, dovrebbe appartenere la sovranità, i cittadini sono costretti a cercare altre vie per esprimere le loro convinzioni. E sono autorizzati a farlo proprio dalle regole democratiche. La rabbia, l’indignazione, l’antipolitica e la demagogia devono però trovare un limite e rientrare nell’alveo di un modo anche tradizionale di fare opinione e di creare consenso, e quindi di governare i processi e risolvere i problemi.
Di fronte a una crisi economica strutturale e che, proprio per questo, sarà difficilmente risolvibile a breve, ci sono spinte contrapposte che obbligano sia a decisioni rapide volte ad ottenere risultati immediati e tangibili sia a piani di lungo termine così difficili pure da pensare in un contesto democratico in cui i politici sono sottoposti a continue tornate elettorali. Si capisce bene come questa situazione non può essere affrontata attraverso continue consultazioni referendarie virtuali, come prospettato dal movimento di Beppe Grillo; procedure opache che alla fine – stranamente o forse no – devono per forza dare l’esito voluto dai leader.
D’altra parte i cittadini si stanno abituando a farsi sentire. Magari attraverso un tweet o un post, modalità utilizzata soprattutto dai più giovani. È questo un anticipo dello scenario futuro oppure una moda passeggera destinata a perdere fascino e interesse? Difficile rispondere, anche perché nessuno riesce a prevedere le conseguenze di questo nuovo modo di esprimersi. Con tutta probabilità questi mezzi tecnologici avranno un ruolo sempre maggiore ma dovranno essere sperimentati e regolati con grande, grande attenzione. Soprattutto quando parliamo di politica.
Ci siamo già dimenticati quello che è avvenuto nel 2000 alle elezioni presidenziali americane quando la fantasia a volte demenziale del sistema dello spoglio delle schede (macchine semiautomatiche che si inceppavano, schede coriandolo o lenzuolo, surreali voti elettronici) aveva portato a ricorsi su ricorsi: alla fine è stata la Corte Suprema a decretare la vittoria di G. W. Bush.
C’è però una dimensione ulteriore. Scrivono sul Sole 24 Ore Carlo Melzi D’Eril e Giulio Vigevani: “Oggi si è realizzata l’utopia della possibilità per ciascuno di diffondere amplissimamente le proprie idee…. Quel che una volta si diceva al bar, oggi lo si scrive su internet, cioè davanti al mondo intero. (Quelle parole), quegli sfoghi restano fissati nella memoria perenne della Rete, rintracciabili da chiunque li cerchi o vi si imbatta per caso. La disponibilità immediata, letteralmente a portata di mano di un computer o di uno smartphone fa sì che non vi sia più intervallo temporale tra pensiero, espressione, traduzione in scritto e pubblicazione. … Sul piano giuridico la regola di fondo emersa in questi anni sembra essere che in rete ognuno risponde per se e non vi sono figure di garanzia: non risponde il direttore della testata telematica, né il provider, né l’editore in sede civile. Per il contenuto del messaggio è perseguibile solo l’autore”.
Insomma ci troviamo di fronte a un quadro intricato che coinvolge il nostro modo di relazionarci con gli altri, dalle conversazioni quotidiani fino alla partecipazione politica. La situazione si evolve giorno dopo giorno. Chi vuole lavorare per il bene comune e dare il suo contributo per una società davvero aperta deve attuare il principio di responsabilità anche e soprattutto quando scrive su internet. Non credere a tutto quello che legge, pensare due volte prima di scrivere. Banalità? Certamente. Ma da qui occorre partire.
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