Internet libera la Palestina, senza violenza

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“Internet permette a migliaia di persone nel mondo di scommettere sui mercati finanziari più avanzati. Ma chi userebbe la rete per investire dei soldi in un mercato poco sviluppato e che si trova addirittura in un paese assediato dalla guerra?”

Comincia così l’introduzione di Guerra e finanza [Internet for peace], documento video, realizzato e prodotto da Valerio Bergesio per Current Italia – il network satellitare globale indipendente guidato dall’ex vice presidente USA e Premio Nobel per la Pace, Al Gore e dall’imprenditore e avvocato Joel Hyatt, la cui programmazione è stata interrotta il 31 luglio 2011 a causa del polemico mancato rinnovo del contratto con Sky – per promuovere la candidatura di internet al Nobel 2010 per la Pace, assegnato poi a Liu Xiaobo, scrittore cinese e attivista per i diritti civili nel suo paese.

A dire il vero, la guerra e la finanza centrano ma almeno questa volta sono stati, più o meno direttamente, causa di un’inattesa – e felice – conseguenza costituita dall’affascinante vicenda di Saed Nashef, informatico palestinese nato e cresciuto nella Gerusalemme Est caduta in mano ad Israele dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, passato dalle università della California alla Microsoft, dove si è avvicinato al mondo delle start up, per diventare quello che è oggi: un venture capitalist che investe capitali in aziende ICT – Information and Communication Technologynei territori occupati della West Bank.

La storia di Saed Nashef – raccontata da Gianluca Dettori su Nova100 e su Wired-Italia – non è la vicenda triste, intrisa di odio e desiderio di vendetta come quella che ha caratterizzato le breve e tragica vita di Mohammed Merah, lo stupido e crudele ragazzo francese di origini algerine autore dell’omicidio a sangue freddo di sette persone – di cui tre bambini – compiuti tra Tolosa e Montauban.

Crescere a Ramallah. Un francese terrorista da una parte, e un colto e brillante palestinese dall’altra. Eppure Saed, al pari di tutti i ragazzi appartenenti alla sua generazione nati e cresciuti in Cisgiordania, non ha conosciuto la libertà che contraddistingue la vita dei cittadini europei. Crescere in un luogo dove sai che le tue aspirazioni non potranno mai essere realizzate non a causa dei tuoi errori, ma per l’esistenza di un ostacolo esterno – per di più percepito come straniero – può senz’altro essere causa di un sentimento di odio tale da renderti una persona violenta, oltre che un terrorista.

Perché allora nella civile e occidentale Francia abbiamo avuto Mohammed e in Cisgiordania invece hanno Saed? È chiaro che non basta essere musulmani per essere terroristi, così come non ci salva l’appartenenza ad una sviluppata nazione occidentale per evitare di trasformarci in mostri.

Saed Nashef è nato da una famiglia medio borghese: due fratelli, padre impiegato, madre insegnante e casalinga; ha frequentato scuole elementari e medie in istituti fondati da missionari cristiani a Gerusalemme, dove la maggior parte degli insegnanti erano arabi musulmani. In un contesto chiuso e sorvegliato è riuscito comunque a trovare degli spazi di creatività e di confronto.

Terminate le scuole superiori non può permettersi di realizzare il suo sogno, vale a dire viaggiare, e così si mette a lavorare in un albergo a Gerusalemme Ovest, la parte ebraica della città. La tana del lupo.

All’inizio è chiaro e comprensibile che gli israeliani non gli piacevano per nulla. Poi però la quotidianità della vita, con i suoi problemi e le sue gioie, fa apparire quei lupi molto simili a lui, se non identici: persone con i loro sogni, speranze e paure.

Un incontro possibile. Comincia a frequentare dei “gruppi di dialogo” composti da ebrei, cristiani e musulmani; ebrei, arabi e anche stranieri giunti a Gerusalemme per studiare, che si ritrovavano per confrontarsi sulle rispettive appartenenze. Qui Saed conosce Joyce Klein, un’ebrea americana che fa la produttrice teatrale a Seattle.

Il gruppo si inventa compagnia teatrale per comunicare sul palco come l’interazione tra gli uomini sia il primo passo per la comprensione delle differenze; l’idea ha successo; Joyce, tornata in patria, riesce a finanziare una tournée negli Stati Uniti.

Una volta lì, Saed decide di trasferisi in California, iscrivendosi prima all’università pubblica e poi alla California State University, dove riesce a finanziarsi un semestre di frequenza ad un corso in programmazione di software, lavorando per i restanti sei mesi dell’anno.

Ritorno in West Bank. Purtroppo, terminati i soldi, si vede costretto a ritornare dai suoi in Cisgiordania quando, classico, arriva la telefonata che non t’aspetti: era la Microsoft che ha trovato un suo curriculum vitae, in base al quale ritiene che Saed sia la persona adatta a ricoprire un ruolo per il quale stavano selezionando dei candidati. Il dettaglio divertente di questo colpo di fortuna è che il curriculum vitae di Saed è falso. Un fake redatto così per scherzo, che evidentemente dimostra quanto le richieste di esperienze e di competenze siano di solito un buon biglietto da visita, ma che in realtà il tuo best man lo valuti osservandolo all’opera e non su un foglio di carta.

La vita di Saed svolta. Cambia diversi lavori, rimanendo però sempre nel campo dell’high-tech e dell’informatica, quando ad un certo punto gli si presenta davanti la possibilità di tornare in Cisgiordania, a Ramallah, che nel frattempo – sono passati diciotto anni da quando Saed giunse negli USA – è diventata una realtà socio-economicamente molto vivace dove sono molti i giovani che condividono la passione per la tecnologia e l’innovazione.

È a questo punto che Saed, da imprenditore, diventa venture capitalist. Capisce che l’opportunità da cogliere non è quella di realizzare una sua impresa, ma di sostenere la nascita di una moltitudine di imprese high-tech, attraverso la costituzione di un fondo d’investimento dedicato alle start up di giovani sviluppatori informatici, laureati nelle università palestinesi. Nasce così The Middle East Venture Capital Fund, fondato con Yadin Kaufmann, - pensate un po’ – un venture capitalist israeliano, grazie anche ad una partecipazione della Banca europea per gli investimenti (EIB) che acquista una quota del fondo pari a cinque milioni di euro.

Pace, sviluppo, internet. Il cammino verso la pace non può prescindere dall’instaurarsi di quelle condizioni che possono generare sviluppo economico, sociale e umano. «Non c’è pace senza sviluppo – osserva Nashef –, e non c’è sviluppo laddove la possibilità di seguire le proprie aspirazioni è negata.»

La capacità di fare sogni e la possibilità di realizzarli. È questa la differenza principale tra Saed e Mohammed. Quest’ultimo è nato in un contesto libero, ma contraddistinto da una forte disuguaglianza economica tra gruppi sociali che non si parlano tra di loro generando così identità fragili ed esclusione sociale.

Saed, invece, è nato in un contesto di guerra che accomunava tutti: israeliani e palestinesi. È stata questa condivisione che gli ha permesso di sognare. I gruppi di contatto hanno incubato i suoi sogni che in un primo momento ha potuto realizzare negli USA e che ora si sono trasformati nel fondo d’investimenti da lui creato che permetterà a nuovi Saed di costruire un’economia, e quindi una società, che porti la Palestina nel mercato globale, dando loro opportunità, tecnologia e lavoro.

La Palestina può fiorire. Saed Nashef non è che uno dei tanti palestinesi che stanno contribuendo alla rinascita del loro paese. Ramallah, capitale della Cisgiordania, è un centro dinamico, culturalmente aperto, sede delle istituzioni palestinesi e internazionali. Qui musulmani e israeliani convivono e condividono lo stesso benessere e lo stesso livello di libertà e di opportunità. Qui le donne sono libere di uscire la sera e di vestirsi come desiderano. La crescita economica da queste parti è tale che a pochi chilometri di distanza dal suo centro sta per sorgere Rawabi, prima città palestinese costruita a tavolino, capace di assorbire ben 40.000 abitanti, grazie all’investimento di 500 milioni di euro.

La situazione è molto cambiata in questi ultimi venti anni. Merito del mutamento del contesto internazionale che ha visto la cosiddetta area MENA – della quale fa parte anche la Palestina – diventare un blocco economico sempre più rilevante, anche se va detto – nota dolente – che non convince affatto la scelta di costruire dal nulla una città da 40.000 abitanti.

Mi permetto di preferire il capitalismo vero, quello dei Nashef, a quello dei nababbi del Quatar perchè non si limita a distribuire ricchezza, ma più importante distribuisce fiducia nel prossimo e in stima in se stessi. E poi per creare ricchezza non servono per forza i soldi. A volte basta un foglietto su cui scrivere dei codici di programmazione per software, qualora tu non abbia i soldi per permetterti un pc ma una testa con cui puoi permetterti di conquistare il mondo.

Pasquale Mormile

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