Pedalando tra i rifiuti

Stampa

SANTIAGO DEL CILE - Il Cile è un paese il cui sviluppo sta correndo veloce, non accompagnato da un’altrettanto rapida riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali. Le statistiche lo collocano infatti all’ultimo posto dei paesi OCSE per indice di disuguaglianza.

Il mantra della crescita viene naturalmente accompagnato da un consumismo selvaggio: qui il credito viene concesso a chiunque e qualsiasi cosa si può pagare a rate, anche la spesa al supermercato. E il consumismo, si sa, provoca rifiuti, tanti rifiuti, tonnellate di rifiuti che appestano le vie della metropoli. Spesso ai lati delle strade si vedono cumuli di spazzatura in cui i cani randagi rovistano sperando di racimolare qualcosa. Non sono gli unici, perché ci sono uomini e donne che fanno lo stesso, cercano nei rari cassonetti, nei cestini, o nelle montagnole di rifiuti: latta, cartone, bottiglie di plastica, vestiti, piccoli tesori che consentono loro di sopravvivere.

Molti di loro hanno un carrello sottratto a qualche supermercato, altri hanno dei tricicli che consentono di accumulare più materiale. Una minoranza possiede qualche tipo di veicolo a motore. Il materiale riciclabile che raccolgono viene venduto ad intermediari che lucrano sul prezzo, dato che pagano ai riciclatori molto meno di ciò che riceveranno a loro volta dall’impresa di riciclaggio. Spesso, mi dicono, gli intermediari imbrogliano pure sul peso reale del materiale.

Una via per migliorare le condizioni di lavoro e di vita dei riciclatori, in Cile come in molti altri paesi dell’America Latina e del mondo, è quella di costituirsi in cooperative o associazioni. L’organizzazione spesso evita, o almeno riduce, la stigmatizzazione che subisce chi è costretto a lavorare coi rifiuti. Allo stesso tempo dovrebbe consentire ai soci di spuntare prezzi migliori.

Qui a Santiago le organizzazioni di riciclatori hanno un rapporto diretto con i governi municipali, che assegnano loro degli “operativi di riciclaggio”: ogni fine settimana raccolgono porta a porta il materiale che gli abitanti mettono da parte perché vecchio, rotto, inutilizzabile. I riciclatori riparano, sistemano e rivendono nei mercati all’aria aperta, oppure, se l’oggetto è ormai inservibile, separano i componenti e li rivendono sotto forma di ferro, rame, acciaio. Il servizio che svolgono per la comunità e per l’ambiente è preziosissimo, eppure non ricevono né uno stipendio né un sussidio: possono contare solo su eventuali mance e sulla vendita, nei mercati o agli intermediari, del materiale stesso. Non hanno alcuna assicurazione sanitaria e se subiscono un incidente si devono arrangiare. La previdenza sociale, poi, è una chimera.

Durante uno di questi operativi la signora Ximena mi ha portato sul suo pick up dai cui buchi sul pavimento potevo vedere l’asfalto che scorreva veloce. La signora Catalina mi ha caricata sul suo triciclo, e mi ha raccontato che già due volte è stata morsa dai cani randagi mentre pedalava. Sotto un sole cocente abbiamo ritirato piccoli mobili, elettrodomestici, sacchetti di vestiti. I loro colleghi e colleghe fanno lo stesso ogni fine settimana, avanti e indietro a caricare quello che i più abbienti si sono stufati di tenere dentro casa. Sono donne e uomini con vissuti difficili, c’è chi ha problemi di alcolismo (ma a chi fa parte dell’associazione è proibito bere, mi spiegano), chi è analfabeta, chi condivide l’appartamento con altre 25 persone. C’è Cristina che ha 26 anni ed è uscita da poco dal carcere. C’è Francisca che ha quattro figli, uno disabile, e vive nella sede di un’associazione perché non può permettersi neanche un precario appartamento in affitto.

I riciclatori che ho visitato mi hanno accolto con affetto, offrendomi biscotti, empanadas, bibite, tè e caffè, in piccole case con poca luce che sembra stiano a malapena in piedi. Per andare a casa loro bisogna sempre arrivare alla fine di una qualche linea della metropolitana, e da lì si deve prendere ancora un bus o un taxi collettivo. Le stanze dove faccio le interviste sono allo stesso tempo sala da pranzo o salotto, ma anche deposito di materiale da riciclare, e a volte non è perfettamente chiaro cosa faccia parte del mobilio e cosa sia da sistemare e rivendere. In una di queste, mentre sto intervistando Roberto, sua madre Marta è seduta al tavolo e toglie uno a uno i fasci di fili di rame da un ammasso di cavi elettrici. Ne fa matassine tutte uguali, tutte ordinate, e mi dice: “vedi, così passo il tempo io”. Poi mi regala un profumo e un sonaglio a vento. “Sono riciclati”, mi dice, “la gente butta via di tutto” e quando ci salutiamo: “se un giorno torni a Santiago questa è casa tua”. Lei, che dorme col marito in una stanza minuscola che non ha nemmeno l’intonaco.

Ho visitato non so quanti mercati di “cachureo”, come si chiama qui, ossia la vendita di oggetti usati: libri, vestiti, elettrodomestici, mobili, giocattoli, oggetti di tutti i tipi che cercano una nuova vita. Il signor Victor mi racconta di quando lavorava alla casa editrice Quimantú, quella della Unidad Popular che vendeva libri a prezzi contenuti affinché i cileni potessero arricchire la propria cultura (ora invece i libri in Cile hanno l’IVA al 19%!). Con il golpe del ‘73 la casa editrice fu distrutta e i libri dati alla fiamme come in ogni dittatura fascista che si rispetti. Ora il signor Victor vende soprattutto libri riciclati e mi saluta regalandomi due libri proprio dell’editrice Quimantú.

Ho passato un paio d’ore dentro ad un punto di raccolta materiali nel parcheggio di un supermercato: un container di lamiera pieno zeppo di bottiglie, carta, cartone, imballaggi in tetrapak, dove il signor Mario sta togliendo le etichette dalle bottiglie in PET con l’aiuto di un taglierino. Poi le schiaccia con le mani e le lancia in un sacco. Gesti ripetuti all’infinito, senza alcuna protezione, senza né una mascherina né un paio di guanti. E intanto i clienti del supermercato continuano ad arrivare e a gettare dentro roba. “A volte buttano anche pannolini, cicche, immondizia di tutti i tipi”, mi dice, senza fermarsi mai, perché se lui si ferma il container viene invaso dai resti di questa opulenta società che probabilmente non immagina che cosa significhi passare le ore a lavorare qui dentro.

Qual è la vostra esigenza più urgente, chiedo loro, cosa vorreste ottenere dagli amministratori locali? Tutti mi rispondono che hanno bisogno soprattutto di uno spazio dove poter accumulare il materiale da riciclare. Nelle loro case non c’è spazio sufficiente, i vicini e i padroni di casa si lamentano, infastiditi dalla sporcizia e con il timore dei topi. I riciclatori non hanno neanche un giorno di riposo perché devono sempre separare e tenere il più possibile in ordine il materiale per cercare di liberarsene al più presto. Da anni sono in trattativa con i municipi per ottenere uno spazio, non chiedono altro, basterebbe un terreno che consentirebbe loro di accumulare materiale in quantità sufficiente per essere venduto direttamente alle imprese di riciclaggio, saltando così gli intermediari. Ci sono progetti in corso, ma questi spazi non sono ancora stati concessi. Gli operatori dei municipi con i quali parlo conoscono il problema e cercano di fare quanto possibile per sostenere le organizzazioni dei riciclatori. La questione però si gioca a più alto livello, dove forse a nessuno interessa che i riciclatori escano da questa situazione al limite dell’umano e rafforzino le loro organizzazioni: a tutti fa comodo che continuino a lavorare così, gratis, raccogliendo le briciole del Cile dello sviluppo e dei grandi poteri economici.

Michela Giovannini

Ultime su questo tema

I ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri

28 Gennaio 2025
I 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG), mirano, tra le altre cose, ad aiutare le nazioni in via di sviluppo a sradicare la povertà estrema entro il 2030. Ma questo obiettivo ha fatto pochi o...

Come prima cosa: casa

13 Gennaio 2025
Questo mese nel podcast ALTRO MODO parliamo di Housing First, un’innovativa alternativa per le persone senza dimora. (Michele Simeone)

Domani segui online la prima Maratona Internazionale Sfratti Zero!

10 Ottobre 2024
11 ottobre, dall’alba al tramonto, una Maratona globale raccoglierà le voci di chi sta resistendo e lottando per il diritto alla casa. (Miriam Rossi)

Muretti a secco: una tradizione ecosostenibile

18 Settembre 2024
Sono costruzioni ecologiche, esteticamente belle e capaci di tramandare saperi e tradizione. (Alice Pistolesi)

Una dignità senza pari

06 Luglio 2024
Nel novembre 2019, seguendo le principali rotte dei migranti/profughi lungo i confini d’Europa, ho trascorso un mese in Senegal con i “ritornanti”. (Matthias Canapini)

Video

Crozza a Ballarò denuncia gli stipendi da fame dei ricercatori