Lo spirito nella fabbrica

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Dall’incontro “Il ruolo dell’imprenditore civile nella costruzione del bene comune: la lezione di Adriano Olivetti”, svoltosi all’interno dell’ultima edizione del festival dell’Economia di Trento, emerge la figura dell’imprenditore civile, in grado di fare impresa, portare vera innovazione e far rinascere il Paese.

Luigino Bruni, dell’Università Lumsa di Roma: “Olivetti fu un innovatore. Si circondò di psicologi e scrittori per la selezione del personale.... Ossessionato dall’eccellenza.... La sua azienda aveva grandi vetrate in modo potesse, da un lato stare con gli operai e, dall’altro, guardare il paesaggio.... Ivrea era la Silicon Valley”. 

Per Bruni Olivetti sapeva porsi le domande più interessanti per il tempo e non tanto darsi le risposte. Olivetti non ha nulla a che vedere né con il non profit e tantomeno con il not for profit. Seppe creare una sorta di civilizzazione alternativa ai modelli dominanti. Voleva portare l’umanesimo nella fabbrica. Lo aiutò in questo la biodiversità generativa; il suo essere ebreo valdese. “L’imprenditore civile è innanzitutto un imprenditore” ha precisato Bruni ed è quindi un:

Innovatore. Sa convivere con situazioni di forte incertezza e riesce ad anticipare i bisogni. “Ma, oltre a questo, l’imprenditore civile deve essere capace di grandi innovazioni, cosiddette ‘di crinale’, che nascono da chi si trova, per vocazione, sui crinali delle montagne, e da lì vede aprirsi nuovi orizzonti. Cerca A e trova B. Son come le ali che son nate per scaldare l’uccello e poi si sono trasformate in strumenti adatti per il volo.

Anticipatore. Sa anticipare i bisogni del mercato. Quando cessa questa funzione diventa uno speculatore. Non investe più.

Costruttore di comunità. Valorizza le idee di molti e non solo le proprie. Il segreto di Olivetti sono le persone che lo circondano. Per Olivetti è importante il rito; l’accoglienza del nuovo operaio con una cena ed il saluto. La gratitudine per il lavoro svolto. È capace di ascoltare, di definire patti, oltre che contratti, con i propri lavoratori e di usare incentivi e premi

Visionario. Agisce spinto dalla gratuità, intesa non come il gratis, ma come serendipity, ovvero la capacità di trovare il valore intrinseco delle cose, e l’exaptation, dimensione che lascia spazio alla creatività e, quindi, alla capacità di guardare lontano”.

Creativo. Ad immagine di Dio. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. “L’essere umano è capace di bene; Dobbiamo partire da questo presupposto. Il fatto è che si ammala ogni tanto”. 

Ma il modello di impresa civile è un modello sostenibile? Non finché il modello imperante era quello taylorista, secondo Stefano Zamagni, volto noto e relatore imprescindibile su certi temi. Per Zamagni oggi i tempi sono cambiati e c’è bisogno di un nuovo modello organizzativo. Un modello che permetta alle conoscenze tacite, cioè quelle che non possono essere trasmesse formalmente, di emergere. Che contrapponga al coordinamento tecnico, attuabile anche in presenza di automi, un coordinamento strategico, che tenga conto delle peculiarità e delle diverse motivazioni di ogni lavoratore. Insomma, un’organizzazione che non promuova la competizione individuale, dalla quale emerge una singola persona abbassando la produttività del gruppo. “Il principio base – ha affermato Zamagni - è la cooperazione, non la competizione. La competizione si esercita nel mercato, non nell’impresa”. Un’impresa civile è un’impresa che fa tesoro di questi punti. Ed è un elemento fondamentale per il futuro della nostra società.

La definizione d’impresa (un’attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi) per l’economia tradizionale, è banale. Solo Alfred Marshall dell’Università di Cambridge riuscì ad intuire: “è il luogo ove si forma il carattere degli uomini”. 

“Oggi abbiamo creato una sottocultura a livello sociale, per cui chi pratica la virtù deve quasi vergognarsi, nascondersi perché teme il giudizio negativo degli altri. Ci sono imprese civili di vario tipo che vengono definite alternative, marginali, mentre tutto lo spazio viene dato a chi pratica il vizio. 
O cambiamo la nostra matrice culturale o non ci saremo più” ha aggiunto Zamagni, che ha concluso però aprendo all’ottimismo. “L’Italia è l’unico Paese al mondo che negli ultimi mille anni è risorto quattro volte: con la rivoluzione commerciale nell’undicesimo secolo, l’umanesimo del quindicesimo secolo, il risorgimento nel diciannovesimo secolo, e il miracolo economico del secondo dopoguerra. Oggi siamo ad un altro punto di svolta e possiamo avere la nostra quinta grande rinascita”. Speriamo sia ancora così.

Fabio Pipinato

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