Svizzera 2014: esempio di non Europa

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Il 9 febbraio i cittadini della Confederazione elvetica erano chiamati ad esprimersi in una abituale consultazione referendaria, tipica di quelle contrade a ridosso dei nostri confini, ma molto differenti per costumi politici. Ma questa volta gli elvetici dovevano decidere su una questione sensibile, cioè sulla limitazione degli accessi ai lavoratori provenienti dai paesi extra confederazione (compresi quindi quelli della UE): una risicata maggioranza ha votato sì, provocando un terremoto politico e un riacutizzarsi del sentimento antieuropeo.

Le reazioni del Belpaese sono state diverse e perlopiù preoccupate, con una eccezione: la Lega Nord.

E alla fine tanto tuonò che  piovve. La Svizzera, ed in particolare il Canton Ticino, hanno ha ribadito nel recentissimo referendum il loro NO all’accesso di immigrati, soprattutto italiani, nel loro sistema sociale e lavorativo.

La questione è delicata, come da sempre lo è il rapporto della Svizzera con gli immigrati, dei quali ha bisogno ma che tende a marginalizzare e rifiutare.

Il 50,5 per cento dei votanti ha approvato l’iniziativa per limitare i lavoratori stranieri e nel Canton Ticino, al confine dell’Italia, il fronte “contro i barbari” – un’autodefinizione che lascia ben intendere il sentimento d’odio che supporta l’iniziativa - ha raggiunto il 70%.

Come immediata conseguenza il governo dovrà rinegoziare i trattati di libera circolazione firmati con l’Unione Europa all’inizio degli anni 2000 e per 500.000 lavoratori temporaneamente residenti e per i 60.000 transfrontalieri italiani comincia un periodo di incertezze sul futuro.

La paternità dell’iniziativa referendaria è dell’UDC svizzera, un partito di destra - come da poco è  tornata ad essere anche l’UDC italiana del resto – che presenta parecchie familiarità con la Lega Nord italiana o, per meglio dire, “padana”e che fa del rifiuto dello straniero e della xenofobia il perno della sua politica di consenso.
 Anche le modalità sono simili: i manifesti che hanno tappezzato per mesi il Canton Ticino riportavano un enorme albero nero con le radici, simili a tentacoli, nell’atto di stritolare la Svizzera e sotto il leit-motiv, ripetuto alla nausea anche via etere e televisione: “Basta con l’immigrazione di massa”.

Possiamo solo immaginare la faccia del Ministro italiano Saccomanni quando a fine gennaio si è recato a Berna per inaugurare i lavori del secondo Forum del dialogo tra Italia e Svizzera, l’istituzione del quale, suona quantomeno fuori luogo dato il reale atteggiamento della Confederazione che  al dialogo preferisce da sempre la costruzione di alte mura e si proietta di colpo fuori dal mondo, tornando indietro di oltre vent’anni e pensando ad un sistema di quote per definire gli accessi ai lavoratori provenienti da fuori.

E se l’Unione Europea si afferma preoccupata per questa chiusura e minaccia un nuovo richiamo ufficiale come quello già inflitto nel 2011 dal padanico suolo si leva, fuori dal coro, la voce del segretario della Lega Nord, Matteo Salvini secondo il quale non solo le decisioni degli svizzeri sono sacrosante e vanno rispettate ma da imitare anche in Italia. Da queste affermazione si deducono due certezze, la prima: Salvini è assolutamente ignorante per quanto riguarda la storia dei flussi dei movimenti migratori in generale e verso la svizzera, formata in gran parte da Italiani, e spesso caratterizzati da profonde sofferenze ed ingiustizie; la seconda: non conosce, o ha scordato, il famoso adagio secondo il quale si è sempre a Sud di qualcuno - anche se si è lombardi e si lavora vicino a Como - ma forse, essendo lui “padano”, degli Italiani non può fregargliene di meno.

Fabio Pizzi

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