Morti sul lavoro, Segio: «Questa strage in tempo di pace ha precise responsabilità»

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Foto: Unsplash.com

Ieri era il 1 maggio, Festa dei Lavoratori, ma il 28 aprile è stata la giornata mondiale per la salute e la sicurezza del lavoro, una giornata che mette al centro la correlazione tra la dignità del lavoro e la salute: «L’obiettivo che ci poniamo presentando il nostro rapporto da vent’anni, è affermare che la vita e la salute dei lavoratori devono essere dei diritti umani e non “solo” diritti del lavoro», afferma Sergio Segio, direttore di società INformazione, che da due decenni cura il Rapporto diritti globali.

Gli ultimi dati di “Insicuri da morire: le vittime sul lavoro nel mondo”, curato e realizzato dall'associazione società INformazione onlus - e che inaugura la nuova collana editoriale I Quaderni dei Diritti Globali - raccontano che non siamo mai stati così lontani dall’obiettivo di “morti zero”, che «resta una necessaria utopia. Ma intanto assistiamo ad una strage quotidiana», aggiunge Segio.

Il costo umano del “massimizzare i profitti”

Lo scorso anno sono state nel mondo 2 milioni e 300mila le persone morte a causa del lavoro: «Per fare una comparazione, non un paragone, questo succede mentre secondo le fondi dell’Onu ritengono che sommando tutte le guerre in corso lo scorso anno nel mondo, siano morte 150mila persone nei combattimenti. Assistiamo ad una “guerra” sanguinosa e terribile, dunque. In apparenza inarrestabile e resa invisibile, per garantire l’impunità a chi, storicamente e quotidianamente, la determina e incentiva al fine di massimizzare i profitti e per scaricare le responsabilità sulle vittime stesse», chiosa Segio.

Ancora qualche numero per comprendere e se possibile razionalizzare il fenomeno: ogni giorno 6300 persone muoiono a causa per motivi legati al loro lavoro. Significa un morto ogni quindici secondi. Ovvero circa una decina da quando il lettore ha approcciato la lettura di questo articolo.

«Sono solo alcuni dei numeri di questo “crimine in tempo di pace”. Una “guerra” che coinvolge anche l’Italia dove nel 2021 sono morte 1221 persone, il 12% in più rispetto alla situazione pre pandemia», aggiunge il direttore di società INformazione. La regione più colpita è stata la Lombardia con il 24% delle vittime sul totale italiano. Qui nei primi due mesi del 2022, secondo i dati raccolti dalla Cgil di Milano, si è registrato un aumento del 40% degli infortuni rispetto ai livelli del 2020.

Una strage in tempo di pace che ha precise responsabilità

Le morti del lavoro sembrano essere così gli effetti di una guerra senza eserciti né nemici, non i risultati di un sistema che in Italia costringe un grande numero di persone a vivere in condizioni tossiche e a lavorare correndo rischi mortali. Nel nostro Paese, ma succede su scala globale, i governi collaborano alla spoliticizzazione del significato della mortalità del lavoro e la trasformano in un problema amministrativo, statistico o tecnico: «Siam davanti ad una forma di vittimizzazione secondaria di morti al lavoro e per lavoro, che vengono considerati responsabili di non applicare le norme di sicurezza che spesso non sono previste dalle imprese.

Questa strage in tempo di pace ha precise responsabilità, ma resta sempre impunita proprio perché viene attribuita la colpa alla vittima, quando tra le sue cause c’è anche il superlavoro, lo stress e liberi professionisti che fanno i salti mortali tra una posizione di lavoro e l’altra», spiega Sergio Segio.

L’obiettivo di diminuire gli incidenti, e di accrescere la sicurezza sul posto di lavoro, è quindi dichiarato da tutti, ma gli strumenti per realizzarlo sono diversi e loro efficacia non è garantita in un mercato del lavoro polverizzato e aleatorio, con i sistemi di controllo e prevenzione e le risorse necessarie mantenute dolosamente insufficienti, quando non inesistenti...

Segue su: Vita.it

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