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La strategia 2020 per la povertà: qual è l’anello mancante?
Lavoro
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Lavoro precario, povertà lavorativa, “mini jobs”; sono alcune delle questioni di cui si è discusso al Parlamento europeo durante la conferenza “L’anello mancante della Strategia 2020. Che strada percorrere?” organizzata dal gruppo dei Socialisti e dei Democratici (S&D) in vista della revisione della strategia 2020 contro la povertà. L’evento ha riunito istituzioni europee, sindacati e organizzazioni non governative.
“È importante affrontare ora questi temi”, ha affermato l’europarlamentare S&D Judith Kirton-Darling, che ha presieduto l’incontro organizzato in previsione della revisione di medio termine della strategia 2020 sulla povertà. “I nuovi commissari europei sono stati nominati, e se vogliamo mettere in atto un’Europa sociale, è necessario parlarne durante le loro udienze”. L’ europarlamentare ha inoltre illustrato le priorità del gruppo S&D nel campo dell’impiego, che comprendono l’introduzione dei salari minimi, delle nuove strategie per la disoccupazione giovanile e l’utilizzo della contrattazione collettiva per i salari.
La strategia 2020, adottata dalla Commissione Ue nel 2010, si poneva come obiettivo la riduzione del numero di persone a rischio di povertà e di esclusione sociale di 20 milioni entro il 2020. Ora che siamo quasi a metà strada però, il numero dei poveri continua ad aumentare. “La strategia 2020 sta fallendo” ha affermato durante l’incontro Luca Visentini della Confederazione dei sindacati europei ETUC, che ha aggiunto: “In particolare il punto sulla povertà è un immenso fallimento”. Secondo Visentini la strategia 2020 era già sorpassata al momento della sua creazione, poiché dall’inizio non ha preso in considerazione la crisi ed era quindi “completamente scollegata dalla realtà”.
Gli obiettivi della strategia 2020 contro la povertà sono stati suddivisi a livello nazionale, ma dal suo lancio solo una piccola minoranza dei paesi Ue ha fatto dei passi in avanti. Tra questi ci sono Germania e Romania, che hanno raggiunto i propri obiettivi già nel 2011. Per la maggior parte degli altri stati la meta rimane invece ancora molto lontana. In Italia, secondo gli ultimi dati Istat, ammontano a circa 10 milioni i poveri relativi e tra questi sono 6 milioni i poveri assoluti, vale a dire le persone che non hanno i mezzi finanziari per condurre una vita dignitosa. Si parla quindi di un italiano circa su dieci che non può permettersi beni e servizi di base. Sebbene tra il 2012 e il 2013 l’incidenza di povertà relativa tra le famiglie italiane sia rimasta stabile (dal 12,7% al 12,6%), l’incidenza di povertà assoluta è aumentata.
A marzo 2014 la Commissione Ue ha pubblicato un primo bilancio della strategia Europa 2020, in cui si legge: “L’UE sta per raggiungere o è vicina al raggiungimento degli obiettivi in materia di istruzione, clima e energia, mentre è ancora lontana dagli obiettivi su occupazione, ricerca e sviluppo e riduzione della povertà”. Per preparare i lavori di revisione di medio termine della strategia è stata avviata da maggio 2014 e resterà aperta fino alla fine di ottobre una consultazione pubblica.
Secondo Visentini però, anche la revisione di medio termine sarà con tutta probabilità un fallimento se non saremo in grado di cambiare il contesto macroeconomico. Saranno necessari, secondo ETUC, nuovi investimenti, senza i quali sarà impossibile creare nuovi posti di lavoro, e neanche la garanzia giovani sarà pienamente efficace se non accompagnata dalla creazione di nuovi posti di lavoro di qualità, per far fronte non solo alla disoccupazione ma anche alla povertà lavorativa.
Il problema della povertà dei lavoratori e dell’impiego “non di qualità” è stato sollevato ugualmente da Hélder Ferreira del network europeo contro la povertà (EAPN), che ha criticato come a livello europeo non si metta ancora in dubbio l’idea dell’impiego tout court come strumento principale di uscita dalla povertà. Secondo l’EAPN solo l’ impiego “di qualità” è da considerarsi come una sicura via d’uscita dalla povertà. La piaga della povertà lavorativa costringe infatti una grande fetta della popolazione europea a dover sommare vari lavori per arrivare alla fine del mese. Ferreira ha ricordato che le ripercussioni sulla sfera privata e sociale di chi svolge diversi lavori e di chi è in continua ricerca lavorativa perché precario non devono essere sottovalutate; tra le varie conseguenze ha ricordato la concentrazione della quotidianità dell’individuo interamente sul lavoro che porta all’isolamento dalla vita della comunità.
Nel caso tedesco, ha dichiarato durante la conferenza Friederike Posselt della confederazione dei sindacati tedeschi, “abbiamo visto per anni la diminuzione dei salari da una parte e l’aumento dei cosiddetti mini-jobs dall’altra”. Dopo anni di campagne sindacali, la legge per il salario minimo è stata approvata a giugno del 2014 ed entrerà in vigore a gennaio 2015. L’introduzione del salario minimo è “un cambiamento storico in Germania” ha affermato Friederike Posselt, secondo cui però bisogna ancora darsi da fare dal momento che alcune categorie , come i minorenni e gli apprendisti, sono state classificate come “eccezioni” e non saranno tutelate dalla legge del salario minimo.
Twitter: @vale_pava