In Cina è tornato Mao?

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La corruzione è un problema in Italia? Di certo. Ma immaginate livelli di corruzione analoghi, se non più alti, in uno Stato di oltre 1 miliardo e 375 milioni di persone: la sua governabilità sarebbe a rischio, così come i servizi erogati dallo Stato ai cittadini. Quel Paese esiste, ed è la Cina, così come esiste il problema della corruzione dilagante, secondo il Pew Research Centre percepita da più dell’80% della popolazione come il problema numero 1 del sistema statale.

È per questa ragione che il sesto Plenum del Partito Popolare Cinese (PPC), riunitosi a porte chiuse con i suoi 376 membri del comitato centrale dal 24 al 27 ottobre a Pechino, ha posto al centro del dibattito la volontà di “governare il Partito in una maniera stringente”. Ciò comporta nei fatti la necessità di varare nuove regole di condotta per i quadri del partito, ma anche per i rappresentanti dell’esercito e i membri del governo, rafforzando o tarando diversamente la campagna lanciata dal presidente Xi Jinping fin dal 2013 alla sua nomina. Allora Xi Jinping aveva promesso di colpire “tigri e mosche”, ossia tanto persone potenti quanto piccoli funzionari con l’obiettivo di liberare il PPC dall’accusa di corruzione e restituirgli il senso della moralità e del servizio. Poi nel febbraio del 2015 il presidente aveva lanciato il programma dei “Quattro complessivi” per “una complessiva costruzione di una società moderatamente prospera, il complessivo approfondimento delle riforme, il complessivo Stato di diritto, la complessiva realizzazione della disciplina di partito”.

In quest’ultimo Plenum, ci si è dunque concentrati sull’ultimo dei quattro complessivi: l’esame della campagna anticorruzione si è affiancata all’ideazione di nuove regole interne del Partito. A dispetto delle indiscrezioni precedenti il Plenum, non c’è stato l’innalzamento dell’età del pensionamento per le figure pubbliche, che rimane ferma a 68 anni. L’abolizione nasceva, infatti, dall’esigenza di allungare la “vita politica” di alcuni uomini di fiducia del presidente, primo fra tutti Wang Qishan, il politico a capo della potentissima Commissione anticorruzione, che nel 2017 compirà i 69 anni e, in prospettiva, anche del ruolo dello stesso Xi Jinping oltre il 2021, data dell’imposto abbandono della carica per il superamento del limite anagrafico.

Non ci si è invece stupiti che il presidente, che da anni sta accentrando su di sé molti poteri a dispetto della governance collettiva imposta su carta, sia riuscito a far sancire l’invito a tutti i membri del Partito a “unirsi più vicino intorno al Comitato centrale del PCC con il compagno Xi Jinping come centro”. Nel comunicato finale si parla propriamente di “core”, un termine traducibile come “nucleo”, in passato usato solo per Mao Zedong, Deng Xiaoping e Jiang Zemin. Se però nel caso di Deng Xiaoping il leader aveva il ruolo di “nucleo” nell’adozione della linea di riforme e aperture economiche che hanno dato via allo sviluppo economico della Cina e nel caso di Jiang Zemin si trattava di un “nucleo” della terza generazione di leader che ha guidato il Paese negli anni Novanta, la posizione di Xi Jinping non è stata specificata: è un leader supremo come Mao, nucleo del Partito e del Paese finché è in vita. Ciò ben sintetizza, tra l’altro, il potere assoluto assunto dal presidente sulle dimissioni e/o sulle promozioni del Comitato centrale del Partito. Proprio la campagna anticorruzione in corso ormai da 4-5 anni e le conseguenti numerose epurazioni nonché la necessità di un rimescolamento completo del Comitato centrale e dell’ufficio centrale del Politburo hanno eliminato i rivali potenziali di Xi Jinping e gli hanno consentito di accentrare i poteri e selezionare in maniera del tutto discrezionale il nuovo gruppo dirigente.

Ma non è tutto oro quel che luccica. Non pochi analisti mettono in luce che la stessa lotta alla corruzione può essere un elemento di debolezza, in primis perché il presidente si pone al vertice di un enorme apparato senza avere alleati e, in secondo luogo, perché rischia di indebolire pesantemente l’apparato amministrativo laddove risultano molti i quadri che fanno resistenza passiva, di fatto non agendo nel timore di essere indagati per corruzione. Le conseguenze sociali ed economiche di questo clima di lotta senza quartiere e di sospetto sono certamente comprensibili, seppur limitatamente tangibili dall’esterno.

In attesa del XIX congresso del Partito Comunista Cinese che si terrà nella seconda metà del 2017, tanti temi restano senza una risposta. Tra questi la centrale questione della riforma delle aziende di Stato, ancora in alto mare ma fortemente promossa dal presidente anche a costo di grossi malumori da parte di quanti perderanno ruoli di potere e ingenti ricavi. La successione di Xi Jinping resta un altro tema di forte dibattito ma sinora senza risposta, al di là delle voci sul possibile prolungamento del suo mandato dopo il 2021. Il Plenum si è limitato ad acconsentire al potenziamento dell’azione del presidente a cui è affidato ogni potere nella costruzione della Cina del futuro… a sua discrezione chiaramente.

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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