Pace: in marcia a Trento, Europa "maneggio della guerra"

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Erano più di mille le persone, provenienti da tutta Italia, che nel pomeriggio dell'ultimo dell'anno hanno riempito lentamente il palazzetto dello sport di Gardolo, punto di partenza della marcia nazionale della pace, promossa da Pax Christi e dalla Cei e realizzata grazie a un tavolo di lavoro al quale hanno partecipato numerose realtà ecclesiali locali. L'ha ricordata anche papa Benedetto XVI: "Voglio ricordare - ha detto il Papa durante l'Angelus - la marcia organizzata dalla Cei e da Pax Christi, che si è svolta a Trento". L'iniziativa, che si svolge ogni anno in una città diversa, anche quest'anno ha visto la presenza di monsignor Luigi Bettazzi , vescovo emerito di Ivrea e già presidente della sezione italiana di Pax Christi, il quale ha partecipato a tutte le trentotto edizioni della marcia per la pace.

Particolarmente fitto il programma del pomeriggio, seguito anche in diretta televisiva dalla trasmissione RAI "A Sua immagine". Dopo il saluto del vescovo di Trento mons. Luigi Bressan che ha ricordato il ruolo della città di Trento come ponte fra culture e religioni diverse, e quello del presidente della Provincia, Lorenzo Dellai che ha ricordato l'impegno delle istituzioni nella cooperazione internazionale, nello studio e nella ricerca di risoluzioni non violente ai conflitti, nell'accoglienza degli immigrati, è stato il sindaco di Trento, Alberto Pacher a portare il saluto della città, ricordando che Trento è stata la città delle "mille e mille bandiere per la pace spiegate alle finestre e ai balconi dietro alle quali c'erano donne e uomini con percorsi diversi, ma accomunati da un sentire comune", da un ritrovarsi assieme attorno a valori come la giustizia, la solidarietà, la pace, la cooperazione.

È toccato poi a Monsignor Arrigo Miglio, vescovo di Ivrea e presidente della Commissione per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato della Cei, il compito di ripercorrere durante un momento di preghiera i tratti fondamentali del messaggio di Benedetto XVI per la giornata mondiale della pace: "Uno dei punti qualificanti di questo messaggio, ha affermato Miglio, è la presentazione della menzogna come nemico fondamentale della pace, perché mette le persone nella condizione di fare dei passi falsi, con delle cadute rovinose". E ricordando la guerra in Iraq ha continuato: "Tutti sappiamo con quali menzogne si è cercato il pretesto per iniziare questa guerra". Miglio ha concluso riprendendo i "segni di speranza" che il messaggio indica: "L'anelito alla pace, che è scritto nel cuore di ogni uomo, la presenza dell'Onu, che va rinnovato ma che ha una funzione essenziale nella costruzione della pace, e infine il calo numerico dei conflitti armati".

Sono stati invece i tre giornalisti che hanno partecipato ad una breve tavola rotonda a porre l'attenzione sul rapporto fra verità, comunicazione e pace. Prendendo lo spunto dal recente rapporto sui conflitti dimenticati, curato da Caritas Italiana, Famiglia Cristiana e Il Regno (Guerre alla finestra, Il Mulino, 2005), Paolo Beccegato (responsabile dell'area internazionale della Caritas), Alberto Bobbio (inviato speciale di Famiglia Cristiana) e Nicola Colasuonno (direttore di Missione Oggi), hanno risposto alle provocazioni di Umberto Folena, giornalista dell'Avvenire e conduttore della serata.

Dal dibattito è emerso un quadro inquietante sul rapporto fra informazione e conflitti. Beccegato ha sottolineato l'importanza del tema della verità nella comunicazione relativa alla guerra, perché la "prima vittima della guerra è sempre la verità". In questo senso è importante ricordare che esiste un giornalismo di pace e un giornalismo di guerra, un giornalismo che tenta di fare un servizio alla memoria delle vittime e alla pace, attingendo a più fonti e tentando di entrare nei fatti per cercarne la verità, e un giornalismo che è appiattito sulle fonti ufficiali; c'è un'informazione che tenta di approfondire le cause, e un'informazione episodica, superficiale, che non approfondisce e non permette così di capire le ragioni dei conflitti. Ma c'è di più: dopo l'11 settembre è cambiato anche il vocabolario e "si è usata ad esempio la definizione "terrorista" nei confronti di chi è in lotta contro il governo". In tale condizione per fare un servizio alla verità è necessario cominciare a disarmare anche il linguaggio stesso.

Alberto Bobbio ha posto il problema delle fonti, sottolineando come le informazioni siano ormai veicolate dagli stati maggiori degli eserciti delle parti in lotta. Ne risulta un "giornalismo non detonante", che cioè non è più in grado di cambiare le scelte politiche o sociali. Un esempio molto importante è costituito dal filmato della battaglia dei ponti di Nassirya, che non è stato girato dai giornalisti, ma dagli stessi militari. Paradossalmente, continua Bobbio, le informazioni più aderenti alla realtà derivano più dai blog dei soldati che non dai giornalisti, i quali semplicemente non hanno più accesso alle zone di guerra. Accade così che "a Nassirya si racconta quello che vuole lo Stato Maggiore italiano e a Bassora quello che vuole quello inglese. Probabilmente l'ultima guerra veramente seguita direttamente dall'informazione è stata la guerra nella ex Jugoslavia" che è costata la vita a 46 giornalisti internazionali e a chissà quanti locali.

Nicola Colasuonno ha posto l'attenzione invece sul problema della qualità dell'informazione, che appare oggi sbilanciata sul "gossip" ed è più attenta alla spettacolarizzazione delle notizie, che alle notizie relative al mondo fuori dell'Europa. Sarebbe invece necessario uno sforzo maggiore per fare informazione a tutti i livelli, come si è fatto ad esempio nell'anno del Giubileo sul debito estero. Anche sulle cause della guerra è importante fare informazione. Secondo Beccegato, "quando ci sono recessione economica, iniqua distribuzione delle ricchezze, alta povertà assoluta e forte dipendenza da poche materie prime, è molto facile che esplodano conflitti". E Alberto Bobbio aggiunge che purtroppo spesso le notizie vanno cercate su canali alternativi, come internet. E, chiedendosi se ci troviamo di fronte realmente a una missione di pace, cita i costi della missione italiana in Iraq, ignorati dalla maggior parte della stampa, che sono di 450 milioni di euro l'anno di cui solo quattro destinati a interventi per la popolazione locale.

Hanno chiuso la serata, animata dai canti del gruppo Melipal di Rovereto e della cantautrice di Caserta Agnese Ginocchio, gli interventi di Gianni Bonvicini e del vescovo trentino in Brasile Mariano Manzana. Bonvicini si è soffermato sul ruolo dell'Unione europea nella politica internazione richiamando alla necessità di estendere le precondizioni della pace, quali la libertà, la tutela dei diritti, la democrazia, mettendo al centro le due grandi sfide che l'Europa deve affrontare: la questione dei Balcani e quella dell'Africa.

Monsignor Manzana, giunto direttamente dal Brasile, ha voluto ricordare, accanto a grandi segni di speranza come la Campagna di Fraternità dedicata quest'anno in Brasile al tema della solidarietà e della pace, il dramma della diffusione delle armi da fuoco nel grande Paese latinoamericano. Attualmente ci sono in Brasile 175 milioni di armi leggere, solo il 10% delle quali è nelle mani della polizia. Nel 2003 sono state uccise da queste armi 168 persone al giorno: l'omicidio è così la prima causa di morte fra i giovani e i giovani adulti. La chiesa ha scelto di schierarsi per questo a favore del referendum contro le armi, purtroppo recentemente fallito. Un piccolo fuori programma ha chiuso la serata: uno dei presenti è salito sul palco e, preso il microfono, ha dichiarato tutta la sua amarezza per la mancanza di uno dei relatori inizialmente previsti dal programma, fratel Arturo Paoli. Un episodio che ha richiamato ancora una volta l'attenzione sull'acceso dibattito delle ultime settimane.

La marcia si è conclusa con la celebrazione eucaristica in cattedrale, che è stata preceduta dagli interventi di monsignor Tommaso Valentinetti, vescovo di Pescara e presidente di Pax Christi, e di padre Gabriele Ferrari, da molti anni missionario in Burundi. Valentinetti si è soffermato sul rapporto fra verità e riconciliazione, richiamando l'attenzione sulla necessità di identificare le ragioni dei conflitti e la responsabilità personale.

Padre Gabriele Ferrari, invece, ha affrontato il tema del martirio introdotto da alcuni testi di monsignor Oscar Romero. Guardando alla regione dei Grandi Laghi, dove "la pace è ancora incerta come una fiammella nel vento", ha raccontato la storia di tanti martiri, come il vescovo di Bukavu, ucciso "per aver chiesto in nome di Dio di deporre le armi", o quella di tanti uomini e donne di pace che hanno perso la vita a causa del loro servizio alla verità e alla pace. Ferrari ha invitato a non parlare mai con leggerezza del martirio, una realtà dura e drammatica per chiunque viva in situazioni di conflitto; e ha ricordato che tuttavia la radice del martirio sta per i cristiani nel dovere di amare i fratelli fino alla fine. In questo senso i cristiani non devono aver paura di essere definiti pacifisti, poiché il pacifismo "è inscritto nel loro stesso Dna".

Il vescovo Bressan ha denunciato nell'omelia l'immane spreco di risorse per le spese in armamenti (160 dollari per abitante della terra all'anno!), e ha richiamato ad un impegno più convinto, a tutti i livelli, per l'affermazione di una cultura e di una politica di pace. E alla fine, a mezzanotte, tutti in piazza sotto la neve, a festeggiare l'anno nuovo con la consapevolezza che la pace ci riguarda da vicino.

Dopo le polemiche con la CEI che lo ha escluso Pax Christi ha 'recuperato' fratel Paoli. Alla fine il messaggio di Arturo Paoli a Trento è passato lo stesso. Nonostante i distinguo della Cei, nonostante le polemiche che hanno accompagnato l'organizzazione della marcia, Pax Christi ha deciso che la straordinaria testimonianza del grande vecchio della chiesa dei poveri dovesse risuonare forte nel giorno dedicato alla pace. E così è stato.

Il convegno "Infaticabili provocatori di nonviolenza ", promosso da Pax Christi il 30 e il 31 al centro Mariapoli di Cadine, come introduzione alla marcia, si è chiuso con un video intervista in cui le parole del piccolo fratello di Charles de Foucauld, hanno sollevato le contraddizioni di un mondo "perverso", in cui tre quarti dell'umanità è impoverita da logiche strutturali dell'economia e di un'Europa che osa dirsi cristiana ospitando dentro di sè il "maneggio della guerra". "Come mai - si è chiesto Paoli - proprio nel cuore dell'Europa cristiana sono state provocate due guerre mondiali? E come mai nel perimetro dell'occidente cristiano si sono sprigionate le ultime guerre del nuovo millennio?". E la risposta c'è: "Perché abbiamo sempre vissuto un cristianesimo alienato dalla storia, un cristianesimo che non si è mai preoccupato di assumere su di sè il volto dell'altro, la vita di miliardi persone emarginate, violentate, oppresse". È stato il momento più intenso del convegno, forse il più commovente. Arturo Paoli, appena rientrato dal Brasile, aveva anche fatto pervenire agli "amici di Pax Christi" il suo saluto e il ringraziamento per gli attestati di stima che gli sono giunti da tante parti d'Italia.

Il convegno si è aperto il 29 sera con uno spettacolo di alcuni giovani sulla tragedia del Ruanda ed è proseguito il 30 con una riflessione di Enrico Peyretti, studioso di tematiche della pace, che ha presentato il suo ultimo libro "Gandhi e la verità della nonviolenza": "Non solo un movimento cattolico come Pax Christi - ha detto Peyretti - ma tutti i cristiani responsabilmente impegnati per la giustizia che fonda la pace, devono avere la franchezza e la libertà profetica anche severa e dissacratrice, civilmente disobbediente quando occorre, ma su tutto devono - dobbiamo - essere secondo la beatitudine che Gesù ci ha annunciato, operatori e costruttori di pace". Un momento di riflessione è stato dedicato al conflitto israelo-palestinese e allo scandalo del muro. Il giornalista di "Avvenire", Giorgio Bernardelli ha raccontato alcune storie di uomini e gruppi che tentano di superare il muro di separazione per unirsi nella elaborazione del lutto. Molto intenso il dialogo fra Lidia Menapace e don Vittorio Cristelli sul ruolo "politico" dei movimenti di base per la trasformazione della società, mentre il presidente di Pax Christi, il vescovo Tommaso Valentinetti, ha affrontato i nodi una chiesa che cerca di farsi voce della pace nella società, nodi complessi come il ruolo dei cappellani militari e dell'ordinariato militare.

di ALBERTO CONCI »Copyright L'Adige

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