Navi militari all’Egitto: chiediamo un voto in Parlamento

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Foto: Unsplash.com

Ci sono due versioni sull’autorizzazione all’esportazione all’Egitto delle fregate multiruolo Fremm, la Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi, originariamente destinate alla Marina Militare italiana. Autorizzazione che è parte di un più consistente affare militare del valore tra 9 e 11 miliardi di euro in corso tra Roma e Il Cairo, di cui dirò a breve.

La prima versione, quella istituzionale, l’ha fornita il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, rispondendo ieri ad una interrogazione di Nicola Fratoianni (LeU) durante il Question Time alla Camera (qui il resoconto stenografico in .pdf). “E’ bene precisare – ha detto il ministro – che la procedura autorizzativa alla conclusione delle trattative per le fregate Fremm Fincantieri è tuttora in corso. Oltre al vaglio di natura tecnico-giuridica, il Governo ovviamente ha ritenuto di svolgere una valutazione politica, che è in corso a livello di delegazione di Governo sotto la guida del Presidente del Consiglio dei ministri”. Niente quindi è stato già definitivamente deciso, o almeno così viene fatto capire.

La versione dell’Ansa e del Corriere: affare concluso

Le parole del ministro Di Maio sembrerebbero pertanto smentire quanto riportato dall’Ansa due giorni prima. Lunedì scorso l’agenzia di stampa aveva infatti annunciato “il via libera alla vendita di due fregate Fremm all’Egitto”. “Il disco verde – scriveva l’Ansa – è arrivato in queste ore, all’indomani della telefonata tra il premier Giuseppe Conte e il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, dedicata principalmente al dossier libico e al caso Regeni”. “La decisione del governo sarebbe stata condivisa con i vertici di Fincantieri, che era in trattativa con Il Cairo e attendeva appunto l’autorizzazione all’esportazione delle due navi, la Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi, per un valore stimato di circa 1,2 miliardi di euro: si tratta di due fregate realizzate per la Marina Militare italiana, che dovranno quindi essere rimpiazzate con altre due navi di nuova costruzione” – aggiungeva l’Ansa.

La versione dell’Ansa ha trovato ieri in serata conferma anche da “una fonte qualificata del governo” che ha confidato al Corriere che “la partita è chiusa, non è possibile tornare indietro”. A chi credere, dunque? Al ministro degli Esteri o alle fonti di stampa?

Le associazioni chiedono un dibattito in Parlamento

Un modo per saperlo con certezza c’è. Porre la materia all’attenzione del Parlamento e esigere che tutte le forze politiche si esprimano e votino riguardo all’affare militare. Lo hanno proposto Rete Italiana per il Disarmo, Rete della Pace insieme a Amnesty International chiedendo a deputati e senatori di “pretendere un dibattito aperto e chiaro in Parlamento”. Le associazioni hanno perciò lanciato una mobilitazione sui social media denominata “#StopArmiEgitto” con la quale chiedono alle forze politiche di bloccare qualsiasi ipotesi di nuove forniture militari all’Egitto. Il dettagliato documento accluso riporta con chiarezza i motivi della necessità della consultazione parlamentare e dell’opposizione all’affare militare: “Questa nuova fornitura militare non solo è in chiara violazione delle norme vigenti, ma rappresenta un esplicito sostegno al regime repressivo instaurato dal generale Al Sisi all’indomani del colpo di Stato del luglio 2013” – scrivono le associazioni.

Un affare che imbarazza il Governo

La vendita delle due fregate Fremm è, infatti, solo una parte di un più ampia trattativa tra Roma e il Cairo. Un maxi-contratto tra 9 e 11 miliardi di euro che prevede altre quattro fregate missilistiche, 20 pattugliatori (che potrebbero essere costruiti nei cantieri egiziani), 24 caccia multiruolo Eurofighter e altrettanti aerei addestratori M-346. Negli ambienti del settore militare-industriale lo chiamano già “il contratto del secolo”.

Se andasse in porto diventerebbe il maggiore contratto mai rilasciato dall’Italia dal dopoguerra e farebbe dell’Egitto il principale acquirente di sistemi militari italiani. Concederne l’autorizzazione non è questione da prendere alla leggera e men che meno solo sulla base di presunti ritorni economici o occupazionali: è una decisione che influisce direttamente sulla politica estera e di difesa dell’Italia. Decisione che impegnerà non solo l’attuale esecutivo ma anche i futuri governi del nostro Paese. Decisione che, pertanto, non può essere lasciata alla discrezione di quattro capi-partito in conciliabolo coi vertici delle aziende armiere (Leonardo e Fincantieri) e di qualche esperto militare. I cittadini italiani hanno il diritto di sapere cosa pensano i partiti di questo affare militare con l’Egitto. A cominciare dalla famiglia Regeni. Quale paese venderebbe mai un così ampio arsenale militare ad un autocrate che ha permesso l’assassinio di un suo cittadino? Anche questa è una domanda a cui il governo e le forze politiche devono rispondere. Alla luce del sole. In parlamento.

Giorgio Beretta  
[email protected]

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